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Macron vince, ma la frattura sociale interna della Francia è insanabile

di Luigi Tedeschi - 26/04/2022

Macron vince, ma la frattura sociale interna della Francia è insanabile

Fonte: Italicum

Macron ha vinto e ha sconfitto la minaccia sovranista, illiberale e putiniana della Le Pen. Macron è dunque l’eroe della crociata eurocratica contro il demone dissolutore sovranista? No, la UE vuole solo preservare se stessa e il suo immobilismo cadaverico, rivelando la sua totale avversità al cambiamento, in un contesto geopolitico mondiale in fase di trasformazione. Le presidenziali francesi, almeno per quanto concerne l’immagine mediatica, sono state presentate come un referendum in cui fosse in gioco la sopravvivenza stessa dell’Europa. O la UE (e la Nato), o la dissoluzione dell’Europa stessa (e dell’Occidente). O con la Nato o con Putin. Attraverso tali contrapposizioni, dall’effetto mediatico devastante, si è dato luogo ad una campagna di autentica demonizzazione del sovranismo lepenista.

Macron ha vinto, come era ampiamente prevedibile. Ma, riproponendo una vecchia battuta di Altan, “il trucco c’è, si vede e non gliene frega niente a nessuno”. E’ del tutto evidente che il processo di progressiva decomposizione delle istituzioni democratiche in Europa è ormai allo stato avanzato. La dissoluzione dei partiti tradizionali (socialisti e gollisti), in Francia è una realtà incontestabile, così come in Italia. Sulle ceneri della vecchia contrapposizione tra destra e sinistra, si è resa necessaria la creazione di un partito artificiale come “En Marche” e un nuovo leader, Macron, già membro della banca d’affari Rothschild & Cie Banque.

Dunque un partito istituzionale, idoneo a creare una coalizione repubblicana in opposizione al “nemico assoluto” sovranista e putiniano, i cui contenuti politici si riassumono nello slogan “Tutti tranne Le Pen”. Pertanto, Macron e il suo partito hanno la loro ragion d’essere quali garanti dell’ordine eurocratico e della fedeltà della Francia alla Nato.

Questi infatti sono i valori che conferiscono legittimità democratica ai governi dei paesi della UE. Analoga funzione è assolta in Italia dal PD, partito minoritario ma radicato nelle istituzioni politiche ed economiche italiane. Al PD infatti è stata delegata la governance dell’Italia dalla UE e dalla Nato.

Anche in caso di vittoria della Le Pen, non sarebbe stato di certo consentito allo schieramento sovranista di governare il paese. Infatti, esso si sarebbe trovato a fronteggiare quotidianamente il bombardamento mediatico del mainstream, che avrebbe evocato il pericolo di una fantomatica guerra civile, un sistema giudiziario ostile, una UE dominata dal rigorismo finanziario tedesco e soprattutto sarebbe stato in breve destabilizzato dal giudizio avverso dei mercati, unici detentori di un potere economico che può conferire o meno “legittimità democratica” ai governi, nel contesto di un sistema neoliberista che ha esautorato il consenso popolare. L’esperienza del governo gialloverde in Italia è una tragica testimonianza della struttura tecnocratica e finanziaria dominante in Europa. Non a caso, nella settimana precedente il ballottaggio, alla Le Pen è stata imputata l’accusa di presunta frode finanziaria riguardo a fondi pubblici europei indebitamente spesi per 600mila euro.

Macron ha vinto in virtù del sostegno dell’establishment economico – finanziario, del mainstream e della elite degli intellettuali ideologicamente schierata con i liberal anglosassoni. Macron ha ottenuto 18,7 milioni di voti (il 58,55%) e la Le Pen 13,3 milioni di voti (il 41,45%). Ma il dato più rilevante è costituito dalla percentuale degli astenuti (il 28%), cioè il livello più alto dal ballottaggio del 1969. L’astensionismo da record è divenuto una marea montante, che incide profondamente sulla credibilità e sulla rappresentatività della classe politica nel sistema liberaldemocratico occidentale. La frattura insanabile tra i popoli e le istituzioni è evidente: la sommatoria tra voto sovranista e astenuti supera largamente il 50% dell’elettorato.

Si rileva inoltre l’orientamento marcatamente classista assunto dal voto alle presidenziali francesi. Esso rispecchia la stratificazione sociale generata dal modello neoliberista, i cui prevalgono sempre più accentuate diseguaglianze e la proletarizzazione dilagante dei ceti medi, cioè degli sconfitti della globalizzazione. Il voto per Macron si è infatti concentrato nella borghesia e nei ceti colti delle grandi città, mentre quello della Le Pen nelle aree del nord falcidiate dalla deindustrializzazione e nella immensa provincia agricola francese, sempre più depauperata e spopolata.

La prima presidenza di Macron era iniziata sotto gli auspici di un riformismo liberista delle istituzioni e dell’economia che si è fatalmente scontrato con il malessere sociale crescente, emerso prima con la rivolta dei gilet gialli, poi con la crisi pandemica e in seguito con la crisi russo – ucraina. Non sappiamo come Macron riuscirà ad imporre nuove riforme liberiste dinanzi ad uno scontro sociale tra popolo ed elite, tra centro e periferia che si riproporrà ulteriormente. La frattura interna della Francia è ormai insanabile. Analogo scenario si riproporrà presto anche in Italia. Non si vede proprio come la visione politica liberista di Macron potrà sanarla. Il governo Macron, così come quello di Draghi in Italia, sono espressione di un sistema che vuole preservare gli equilibri sociali elitari in Europa, in aperto conflitto con e classi popolari: la UE è un organismo reazionario e repressivo che difende solo la propria sussistenza.

Per quanto riguarda l’Europa, le proposte della Le Pen, orientate per una riforma delle politiche pubbliche europee, che prevedrebbe il rimpatrio di poteri già devoluti dagli stati alla UE, una più efficace politica anti immigrazione e la prevalenza del diritto nazionale rispetto a quello europeo, occorre rilevare che lo stesso Macron si è trovato ad affrontare molteplici conflittualità tra gli interessi nazionali e quelli europei. Il progetto di “integrazione differenziata” dei paesi membri della UE non ha avuto successo. Macron è riuscito ad imporre alla Germania il varo del Next Generation E.U., ma ha incontrato il veto dei paesi frugali del Nord circa la riforma del patto di stabilità (progetto condiviso con Draghi) e la proposta di condivisione del debito contratto dagli stati in occasione della crisi pandemica.

Le stesse proposte di Macron per la creazione di una forza autonoma di difesa europea non hanno ottenuto risultati, data la conclamata indisponibilità dei paesi dell’est e del nord dell’Europa, che invece pretendono un rafforzamento della Nato. Lo stesso ruolo preminente della Francia in Europa nel campo della difesa, quale unico paese della UE (a seguito della Brexit), dotato di armamenti nucleari e membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU potrebbe essere messo in discussione dalle prospettive di riarmo della Germania. La presidenza della UE e le iniziative diplomatiche di Macron nella crisi russo – ucraina non registrano risultati di rilievo. Il bilancio complessivo della prima presidenza Macron risulta dunque negativo, come rilevato pochi giorni prima del ballottaggio da Giulio Sapelli: “Se Macron vincerà le elezioni, com’è fortemente probabile, la riduzione di potenza internazionale della Francia continuerà a essere penosa e profonda e trascinerà con sé sempre più tutta l’Europa, prima che l’Ue. La presidenza francese dell’Ue è stata già un fallimento che solo la guerra di aggressione russa e la crisi energetica possono dissimulare. Il macronismo è la distruzione della forza civica della Francia attraverso la distruzione delle sue storiche roccaforti politiche e istituzionali: lo stato napoleonico e l’Armé. 

Le lacerazioni tra le nazioni europee sono profondissime e si acuiranno per l’incapacità di Macron di sviluppare una politica di potenza francese che ricordi solo lontanamente l’orgoglio gollista e il radicalismo repubblicano di Jean-Pierre Chevènement: i due soli grandi leader, De Gaulle e Chevènement che la Francia ha prodotto nel secondo dopoguerra, oscurati dalla fumoseria letteraria fascinosissima di Mitterrand. Macron ha fatto in Francia ciò che in Italia ha fatto la liberalizzazione dall’alto voluta dagli Usa e dal Regno Unito usando la magistratura e la crisi morale di una nazione già esausta dalla confusione istituzionale e dall’incapacità espansiva a livello internazionale della sua alta borghesia industriale e statual-finanziaria”. 

L’Europa si dibatte in una crisi politico - istituzionale senza soluzioni, perché il sistema liberal democratico si è rivelato irriformabile. Perché con la Ue la democrazia è degenerata in liberal democrazia. Liberalismo e democrazia non si sono dimostrati compatibili. La democrazia liberale è basata sull’individuo, disconosce la comunità, tutela i diritti umani e le libertà individuali, ma il valore del bene comune, proprio della democrazia antica, le è estraneo. Pertanto, nella liberal democrazia la rappresentanza politica è il rispecchiamento dei rapporti tra i gruppi di interessi che dominano la società civile. Connaturata alla liberal democrazia è l’ideologia del progresso. Il potere politico è dunque sempre più devoluto ad oligarchie tecnocratiche. La liberal democrazia è quindi un sistema destinato a trasformarsi in oligarchia. La inevitabile deriva elitaria della liberal democrazia è così analizzata da Alain de Benoist nel suo saggio “La crisi attuale della democrazia”: “L’espressione «democrazia liberale» associa due termini posti come complementari, mentre sono contraddittori. Questa contraddizione, manifestandosi pienamente oggi, minaccia le fondamenta stesse della democrazia. «Il liberalismo mette in crisi la democrazia», dice ancora Gauchet. Chantal Mouffe ha osservato giustamente che «da un lato, abbiamo la tradizione liberale costituita dallo Stato di diritto, dalla difesa dei diritti dell’uomo e dal rispetto della libertà individuale; dall’altro, la tradizione democratica le cui idee principali sono quelle di uguaglianza, dell’identità tra governati e governanti, e della sovranità popolare. Non c’è un rapporto necessario tra queste due diverse tradizioni, solo un’articolazione storica contingente». Chi non vede questa distinzione non può capire nulla dell’attuale crisi della democrazia, che è proprio una crisi sistemica di questa «articolazione storica contingente». Democrazia e liberalismo non sono affatto sinonimi; anzi, sui punti importanti, sono anche nozioni opposte. Possono esserci democrazie non liberali (democrazie tout court) e forme di governo liberale che non hanno assolutamente nulla di democratico. Carl Schmitt è arrivato al punto di dire che più una democrazia è liberale, meno è democratica”.