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Meloni: il governo della deindustrializzazione italiana. E la sinistra esorcizza i suoi tradimenti con il genocidio di Gaza

di Luigi Tedeschi - 06/10/2025

Meloni: il governo della deindustrializzazione italiana. E la sinistra esorcizza i suoi tradimenti con il genocidio di Gaza

Fonte: Italicum

Se esaminiamo la politica economica del governo Meloni alla luce del processo di dismissione delle imprese strategiche in atto, i risultati si rivelano devastanti. Assistiamo infatti alla progressiva decomposizione della struttura industriale italiana, con la cessione da parte dello Stato di imprese essenziali alla salvaguardia della sovranità e dello sviluppo economico del paese, con pesanti ricadute per la crescita e l’occupazione.
Appare evidente che per le esigenze di equilibrio dei conti pubblici, l’azione governativa è finalizzata a fare cassa. Il governo Meloni non ha implementato alcuna strategia di sviluppo per l’economia italiana. Vogliamo dunque proporre un elenco sommario delle più rilevanti dismissioni industriali messe in atto dal governo negli ultimi tempi.
1) Ilva. Trattasi della seconda acciaieria europea per dimensioni produttive. Il suo destino appare oscuro. Dopo l’arresto di Emilio Riva e il susseguente commissariamento statale, fu ceduta nel 2017 all’indiana Arcelor Mittal , a cui subentrò nel 2021 l’agenzia governativa Invitalia e fu rinominata “Acciaierie d’Italia S.p.a”. Il governo non ha programmato piani di ristrutturazione dell’ex Ilva, essendo intenzionato a procedere ad una nuova cessione. La recente offerta del fondo americano Bedrock Industries, prevede tagli occupazionali per 7.000 unità, con l’onere per lo Stato di corrispondere finanziamenti per 700 milioni per la decarbonizzazione. La paventata cessione dell’ex Ilva avviene peraltro in un contesto economico in cui la domanda di acciaio è in forte crescita nei mercati internazionali in virtù della politica di riarmo europeo. Occorre rilevare inoltre, che l’industria manifatturiera italiana ha subito un grave danno dalla crisi dell’acciaieria, essendosi resa dipendente da fornitori esteri. 
2) Tim. Nel luglio 2024 Tim ha ceduto il ramo della rete fissa ad un consorzio guidato dal fondo americano KKR. La vendita ha comportato una riduzione dei dipendenti della Tim da 37.000 a 17.300. La Tim inoltre corrisponderà a KKR un canone annuo per l’affitto della rete. L’operazione Tim - KKR è particolarmente rilevante per il nostro paese, dato che il possesso da parte dello Stato della rete fissa assume una essenziale importanza sia strategica che economica nei rapporti tra l’Italia e i paesi del Medioceano. Lo Stato, che detiene comunque una quota di minoranza, percepirà gli utili di gestione, ma le strategie imprenditoriali saranno decise da KKR, con indirizzi di carattere finanziario, finalizzati cioè alla distribuzione di dividendi e alla speculazione in borsa, non certo ad effettuare investimenti e allo sviluppo occupazionale. 
3) ITA. Sulle ceneri di Alitalia, nel 2021 è nata ITA, nuova compagnia di bandiera italiana. Fu approvata nel 2022 la privatizzazione della compagnia. Si è poi proceduto nel gennaio 2025 alla cessione delle sue quote per il 41% a Lufthansa. Sebbene Meloni avesse spergiurato che la maggioranza delle quote sarebbe restata italiana, è stato concluso un accordo che prevede la cessione integrale di ITA a Lufthansa nei prossimi due anni. Aggiungasi poi che è prossima la scadenza della c.i.g. per 2.000 lavoratori ex Alitalia non riassorbiti da ITA. Il governo non ha predisposto, allo stato attuale, alcun piano di ricollocamento.
4) IP. Il marchio IP (Italiana Petroli), del gruppo API, nasce nel 1974 e, integrato nel gruppo ENI, procedette alla acquisizione della Shell Italia. Nel 2017 acquisì anche la rete italiana della Total Erg. Attualmente posseduto dalla famiglia Brachetti Peretti, è in procinto di essere ceduto al gruppo azero Socar per 3 miliardi. L’operazione potrebbe essere bloccata, qualora il governo opponesse il suo veto con l’esercizio del golden share, ma non sembra orientato in tal senso. Il governo peraltro sembra intenzionato ad acquisire nuove forniture energetiche dall’Azerbaigian. Le conseguenze economiche devastanti della sciagurata politica filo – Nato italiana che, con le sanzioni ha fatto venir meno le forniture energetiche russe, si moltiplicano sempre di più.
5) MPS. La vicenda MPS è esplicativa dello scarso senso dello Stato che pervade le politiche governative italiane. Il MPS, in dissesto nel 2010, a causa della cattiva gestione e di speculazioni finanziarie rivelatesi fallimentari, nel 2017 fu nazionalizzato e risanato mediante l’erogazione di fondi pubblici per 5,4 miliardi. A seguito della ristrutturazione pubblica, MPS è tornato in attivo dal 2023 in poi. Ma il governo ha perseguito una politica di privatizzazione della banca (sulla base delle direttive UE), cedendo progressivamente le sue quote di partecipazione, che si sono ridotte dal 62,5% iniziale all’attuale 11,7%. La recente fusione MPS – Mediobanca, si è rivelata una gigantesca manovra speculativa con cui Delfin (famiglia Del Vecchio), ha guadagnato 850 milioni, il gruppo Caltagirone 430 milioni e il fondo americano BlackRock 172 milioni. Aggiungasi poi che Delfin e il gruppo Caltagirone hanno rispettivamente sede a Gibilterra e Lussemburgo, paesi a fiscalità agevolata. Particolare rilievo assume la presenza di un socio ingombrante come BlackRock, che assumerà un ruolo determinante nelle future politiche bancarie, che saranno improntate in misura rilevante alla speculazione finanziaria. Si sarebbe potuto preservare il controllo statale su MPS mediante il coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti, ma ci si è ben guardati dal farlo. MPS poteva diventare un grande gruppo bancario sotto il controllo pubblico, strategicamente essenziale per la tutela del risparmio e l’erogazione del credito ad imprese e cittadini. Un’occasione maldestramente mancata.
6) Stellantis. La politica industriale di Stellantis è in perfetta continuità con quella della Fiat: privatizzazione degli utili e nazionalizzazione delle perdite. Stellantis è da anni intenzionata a dismettere la produzione in  Italia. Negli ultimi anni, nonostante le sue fallimentari scelte imprenditoriali (vedi auto elettrica), ha distribuito dividendi, ottenuti mediante la delocalizzazione produttiva con relativa compressione salariale, acquisizione di contributi pubblici e usufruendo delle minime aliquote di tassazione nei paradisi fiscali. La produzione e l’occupazione in Italia rischia di essere falcidiata con la creazione di un polo industriale a Saragozza, una gigafactory realizzata con i fondi europei in collaborazione con la cinese CATL per la produzione di batterie elettriche, con l’impiego di personale cinese. Stellantis, dopo che Exor ha ceduto la sua partecipazione in Iveco all’indiana Tata Motors (divisione veicoli commerciali), e a Leonardo (divisione difesa, in partnership con la tedesca Rheinmetall), è in procinto di vendere la VM a Marval (posseduta dal fondo private equity Azzurra Capital). Sono a rischio oltre 10.000 posti di lavoro. Il governo inoltre prevede di riconvertire l’automotive in produzione bellica, mediante l’erogazione di contributi pubblici a Stellantis, che non ha sede in Italia e paga imposte assai ridotte in Olanda. 
7) Eni – Enel. Si rileva infine che il governo ha proceduto anche alla cessione di parte delle sue quote in Eni ed Enel, nel contesto di una politica di privatizzazione delle partecipazioni statali finalizzata solo a far cassa. 
E’ in corso un processo di deindustrializzazione dell’Italia, che rischia di divenire un paese condannato al sottosviluppo.
A fronte della arrendevolezza dimostrata nelle dismissioni degli asset strategici dell’economia italiana, il governo Meloni pretende tuttavia di assumere un ruolo rilevante nel contesto internazionale con la  partecipazione italiana ai progetti di ricostruzione dell’Ucraina, che per nel perdurare dello stato di guerra, si dimostrano del tutto irrealizzabili. Ha concluso nel 2024, in virtù del suo fondamentale filo – sionismo, un accordo con Israele per lo sfruttamento dei giacimenti situati nelle acque palestinesi tuttora occupate dallo stato ebraico. Il governo si è infine proposto di inserire l’Italia nella ricostruzione di Gaza, nel contesto di un progetto di spregevole speculazione immobiliare del Tony Blair Istitute.
Dinanzi a questa politica di sistematica dismissione degli asset strategici, sia pubblici che privati, dell’industria italiana, messa in atto da un governo che peraltro si autodefinisce di destra sovranista, l’opposizione di sinistra ha brillato per il suo assordante silenzio. La politica economica del governo non incontra alcuna opposizione. E’ giunto alle sue estreme conseguenze quel processo di progressiva dissoluzione della sovranità nazionale, iniziato con la liquidazione – svendita del patrimonio dell’IRI, patrocinato dalla sinistra e messo in atto dal duo Prodi – Draghi sul panfilo Britannia. 
Appare dunque evidente la continuità delle politiche economiche susseguitesi in Italia da 30 anni, al di là del colore politico dei governi, siano essi stati di centrodestra o di centrosinistra. Politiche del tutto conformi ai progetti di riforma della UE prefigurati da Draghi, che comportano la finanziarizzazione dell’economia e la privatizzazione dello Stato. 
Nella stessa politica estera, non si è mai registrata alcuna rilevante contrapposizione nelle fondamentali alle scelte filo – atlantiche ed europeiste del governo Meloni. Le uniche differenze consistono nella più accentuata russofobia della sinistra e nel più marcato filo – sionismo della destra. Ma che entrambe siano russofobe e filo – sioniste, in quanto atlantiste, non vi è dubbio. Atlantismo peraltro declinato dalla destra nella versione filo – trumpiana e dalla sinistra in quella filo – neocon dei democratici americani. La riprova di tutto ciò si è manifestata chiaramente nel voto sul progetto di pace – capestro per i palestinesi presentato congiuntamente da Trump e Netanyahu. Al voto favorevole del centro destra, ha fatto riscontro l’ipocrita astensione della sinistra. Nessun parlamentare italiano ha espresso un voto contrario.
Ma il tradimento perpetrato dalla CGIL nei confronti della classe lavoratrice, omologatasi alla svolta neoliberista del PD, appare assai più rilevante. Dopo 2 anni di assordante silenzio sul genocidio di Gaza, strumentalizzando la protesta popolare, la CGIL di Landini vuole autoassolversi dalle sue responsabilità inerenti la devastazione dello stato sociale messa in atto dai governi (specie di sinistra), sin dal sorgere della seconda repubblica. 
Il salari sono fermi da 30 anni e, dinanzi all’impoverimento generalizzato del popolo italiano, la dissoluzione del ceto medio e le diseguaglianze crescenti, il sindacato si è dimostrato nei fatti del tutto acquiescente alle politiche neoliberiste dei governi. Le riforme che hanno via via distrutto lo stato sociale (specie nella sanità e nella previdenza), e fatto strage dei diritti sindacali dei lavoratori, approvate dai governi Prodi, Monti, Renzi, Draghi (comunque sostenuti dal PD), quali la legge Biagi, il pacchetto Treu, la riforma Dini, la legge Fornero, il Job Act, non hanno incontrato che una protesta sindacale di facciata. Salvo poi promuovere un referendum su punti marginali del Job Act (made in PD), in opposizione al governo Meloni. Ma non fu il Job Act, approvato con l’acquiescenza della CGIL ad abrogare sacrosanti diritti e tutele del lavoro sanciti dallo Statuto dei Lavoratori? E’ poi del tutto evidente la politica assai moderata adottata da Landini nei confronti di Stellantis, dato che Elkann è l’editore di Repubblica.
Quale strategia di contrasto sindacale propone la CGIL di Landini a fronte della deindustrializzazione in atto e della politica di riarmo, da cui scaturiranno il dilagare della disoccupazione e nuovi tagli devastanti al welfare? 
Con la protesta per il genocidio di Gaza (che è comunque sacrosanta), la CGIL di Landini vuole occultare il ruolo trentennale di supporto sociale del sindacato al sistema neoliberista imposto dalla UE, con il consenso dei governi italiani. Con la riproposizione della logica stantia degli opposti estremismi, si vuole innescare una contrapposizione tra fans della sinistra contro il “nemico assoluto” di turno Salvini / Meloni e i fans della destra che invocano ordine e sicurezza contro la farsesca “rivolta sociale” di Landini e contro virtuali pericoli di invasione islamica. Una islamofobia del tutto funzionale al sionismo. In tal modo la protesta contro il sionismo e l’imperialismo americano verrebbe svuotata dei suoi contenuti originari e ricondotta nei parametri di destra / e sinistra interni al sistema.
La protesta pro – pal di Landini ha dunque una funzione ben precisa: assorbire il dissenso onde coinvolgerlo nella logica del sistema dominante, al fine di scongiurare la nascita di movimenti anti – sistema, che, sulla base della protesta per Gaza, inneschino conflitti sociali di più vasta portata, che abbiano come obiettivo la UE ed il sistema neoliberista occidentale nel suo complesso. La sinistra vuole solo esorcizzare il proprio tradimento nei confronti dei lavoratori con la protesta contro il genocidio di Gaza.