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Ne uccide più l’odio irreligioso che la fede

di Marcello Veneziani - 02/10/2025

Ne uccide più l’odio irreligioso che la fede

Fonte: Marcello Veneziani

Per carità, non nominate il nome di Dio invano, non trascinatelo nella lotta politica e nelle campagne elettorali e civili dei nostri giorni. Ha ragione Carlo Verdelli sul Corriere della sera a perorare questa petizione di principio e di buon senso. Però quando poi vedi l’uso politico che fa di questa condivisibile preoccupazione, comprendi che qualcosa non funziona. Per cominciare, l’occasione è data dall’omicidio di Charlie Kirk, dove è successo qualcosa che è esattamente il contrario di quel che denuncia Verdelli: l’uccisione di Kirk non è stata armata dalla rabbiosa intolleranza degli integralisti cristiani, di chi trascina Dio in politica e nella vita privata, ma il contrario: un credente e praticante in Dio e nella fede applicata anche nella vita civile è stato assassinato dai suoi nemici che pensano e credono esattamente all’opposto e vogliono impedire a chi non la pensa come loro di esprimersi e perfino di vivere. Dovremmo dire che l’ateismo ha ucciso un credente, e un fanatico nemico di Dio patria e famiglia ha usato l’estrema violenza per eliminare un testimone a viso aperto di quella fede. E non si tratta di un caso o una deviazione di percorso: almeno dalla Rivoluzione francese in poi, i fautori della tolleranza e i nemici della fede, uccidono, ghigliottinano, massacrano coloro che invece credono in Dio, in Cristo e nella religione. C’è chi uccide in nome di Dio (oggi lo fanno soprattutto gli islamici) e c’è chi uccide i seguaci di Dio. Il sottinteso della tesi di Verdelli è che il colpevole sia la vittima, cioè che sia stato Kirk e quelli come lui ad alzare la tensione e dunque a provocare l’assassino. Tesi che non voglio nemmeno commentare, e che Verdelli del resto ha il pudore di non esplicitare.

In secondo luogo, l’uso e l’abuso politico e ideologico della fede non è solo di chi trascina Dio nella battaglia contro l’aborto o la dissoluzione delle famiglie e della società tradizionale; ma anche di chi nel nome di Dio accogliente apre le porte ai migranti, giustifica le violenze nate dalla povertà e dal disagio, giustifica i crimini se sono compiuti da neri o da rom e traduce la religione in una specie di sindacalismo trascendentale, fino a confondere Cristo con Spartacus, e Dio con una Ong celeste. Anche questa, come quella, è una traduzione del cristianesimo nella propria ideologia, con la pretesa di parlare nel nome di Dio; anche in questo caso c’è abuso di fede e strumentalizzazione del Vangelo ai fini della lotta politica e sociale.

In realtà, la storia dell’umanità, anche solo a limitarla ai duemila anni di cristianesimo, è sempre stata un intreccio di sacro e profano, di religione come instrumentum regni, di fede combinata col consenso dei popoli o per legittimare il potere dei re e di massacri compiuti in nome di Dio o contro di Lui.

Che sia un male è evidente ma il suo opposto non è il trionfo del bene, del giusto e del vero. Una società che bandisce il riferimento a Dio e alla costellazione di principi che vengono di solito semplificati nella triade Dio patria e famiglia, è solitamente preda di idoli, ideologie, egoismi, interessi, patologie e pretese che non sono certo migliori di quelli a cui si oppongono. Lo dimostra l’esperienza della storia, ma lo conferma soprattutto il nostro presente. Eliminando quei principi si eliminano i fondamenti di una vita civile: perché quei principi insegnano innanzitutto il senso dei nostri limiti e dei nostri confini; in secondo luogo generano uno spirito comunitario e un sistema di relazioni indispensabili alla vita, allontanando la prospettiva dell’isolamento o della guerra di tutti contro tutti. In terzo luogo sono il fondamento di una civiltà e di un sistema sociale fondato su comuni principi e comuni appartenenze; quasi tutto quel che ha generato una civiltà, dai muri di cinta agli edifici sacri e civili, dalle cerimonie ai simboli, dai riti alle liturgie, dall’arte all’ispirazione poetica, dalle leggi ai diritti e al mutuo soccorso, è nata da quei fondamenti. E se la nostra società annega nel peggior individualismo, lo dobbiamo proprio all’aver rimosso e negato quei principi che ci inserivano e ci proiettavano in un noi comunitario, uscendo dalla prigione dell’Io. Quei principi ci insegnano a rispondere dei nostri comportamenti, a non sentirci onnipotenti e liberi di fare tutto quel che vogliamo, ci educano alla responsabilità.

Nel nostro tempo è d’uso giudicare il senso della famiglia, l’amor patrio e il senso religioso solo alla luce delle loro degenerazioni in familismo e abusi domestici, nazionalismo guerrafondaio e fanatismo religioso. Ma non si possono cancellare i principi fondativi di ogni civiltà nel nome del loro cattivo uso o delle loro espressioni degradate, che pure esistono e vanno combattute. Sarebbe come cancellare l’amore perché ci sono tanti casi di abusi, violenze e prevaricazioni nel nome dell’amore.

In realtà, anche la società contemporanea ha bisogno di riconoscersi in principi superiori e in valori comuni, cercando un punto di equilibrio tra libertà e autorità, ordine e flessibilità, essere e divenire, unità e differenze, tradizione e mutazione. E una società sopraffatta dalla rapidità dei cambiamenti, fluida, mutante, tendenzialmente anarchica e individualista, ha ancora più bisogno di solidi contrappesi in quella direzione. Certo, un conto è ispirarsi a principi trascendenti, un altro è professare fedi e regimi teocratici; una cosa è amare la verità, un’altra è armare la verità e pretenderne di averne il monopolio e il possesso esclusivo (pretesa oggi assai diffusa soprattutto in ambito radical-progressista, molto più che tra conservatori, tradizionalisti o credenti). Anche la verità come l’amore è una ricerca e un’aspirazione; se diventa un possesso rinnega se stessa.

Se cancelli la religione dalla vita, non cancelli la dipendenza ma la trasferisci in altri ambiti o la affidi ad altre agenzie: oggi, per esempio, la psicanalisi ha trasferito la fede nella terapia, e il ruolo del sacerdote in quello dello psicoterapeuta. Ma è solo un esempio tra i tanti. Frank Furedi nel suo saggio Contro la psicologia sottolineava la deriva terapeutica negli Stati Uniti che rende vulnerabili e dipendenti individui e società. Anziché curare, acuisce la fragilità e dunque la dipendenza della gente. Altro che la religione. Si capisce Kirk e il mondo che in lui si riconosce se si capisce la preoccupante rilevanza di fenomeni come questi negli Usa. Per non parlare di altre peggiori dipendenze tossiche di cui è infestata l’America.

Come tutto questo venga poi tradotto nella politica contemporanea è naturalmente oggetto di giudizi contrastanti e di valutazioni opposte. Gli abusi e le distorsioni sono sotto gli occhi di tutti; ma c’è chi continua a vedere abusi solo da una parte e a considerare di quei principi solo i loro abusi. Così precipitiamo nella miseria del dibattito quotidiano, meschino, orbo e manicheo. Prima di condannare la discesa forzata di Dio in politica, chiedetevi quali voragini va a colmare e quali demoni ci sono dalla parte opposta.