Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Occorre schiodare vassalli, valvassori e valvassini

Occorre schiodare vassalli, valvassori e valvassini

di Francesco Lamendola - 20/01/2019

Occorre schiodare vassalli, valvassori e valvassini

Fonte: Accademia nuova Italia

Le elezioni dello scorso 5 marzo 2018 hanno avuto un duplice merito: uno, sostanziale e politico, di mandare finalmente a casa i signori che erano andati illecitamente al potere nel 2011, sull’onda di un colpo di Stato manovrato a distanza dalla BCE e dalla Massoneria, e che aveva portato il massone Napolitano a incaricare del governo il massone Monti, cosa preparata con mesi di anticipo ma allora fatta passare per una emergenza del tutto imprevista; e uno secondario e umoristico, consistente nell’offrire agli italiani il comico spettacolo del furore impotente e rabbioso, del delirio scomposto e farneticante, degli eccessi di paranoia e degli schizzi di veleno che la vecchia classe dirigente, costretta a sedere sui banchi dell’opposizione, ma tutt’altro che allontanata, per ora, dalle poltrone che contano davvero, dalla Rai all’INPS, dalle autostrade alla Banca d’Italia, esibisce quotidianamente per la tremenda ingiustizia storica che è stata costretta a subire. Al massone Monti, poi, hanno fatto seguito ben altri tre capi di governo non eletti dal popolo italiano: Letta, Renzi e Gentiloni (l’ultimo deciso dal presidente Mattarella): tutti all’ombra della Massoneria, come si vede dal fatto che il bandito della finanza internazionale George Soros è stato ricevuto in pompa magna dal nostro Gentiloni, evidentemente per ringraziarlo di quando, nel 2013, speculò a danno del nostro Paese, guadagnandoci qualcosa come un miliardo di dollari in un giorno solo. Dollari che ora utilizza per finanziare le navi delle organizzazioni “umanitarie” che ci sommergono d’invasori camuffati da profughi.

Ora questa gente è stata estromessa dal governo, ma non è andata a casa, tutt’altro; anzi scalpita e le sta pensando tutte per rioccupare le poltrone temporaneamente perdute. Non solo occupa ancora una bella fetta del Parlamento, con il rincalzo di ciò che resta di Forza Italia (i loro ultimi sostenitori, dal Nazareno in poi: contenti loro, contenti tutti), ma hanno l’appoggio pressoché unanime dei mass-media, della cultura ufficiale, degli intellettuali politicamente corretti (cioè tutti quelli che hanno visibilità mediatica), delle case editrici e delle università. Inoltre, essi hanno incistato nei gangli vitali dello Stato i loro uomini, i loro amici e gli amici degli amici: nei posti chiave della magistratura, della pubblica amministrazione, della sanità, della scuola, dell’esercito. Ce li hanno messi con dei contratti blindati, impossibile licenziarli, impossibile rimuoverli, spostarli,  e anche solo toccare i loro privilegi: impossibile soprattutto impedir loro di fare politica, benché non ne abbiano alcun diritto e benché non siano affatto pagati (più che profumatamente, peraltro) per quello. Tito Boeri è stato messo alla testa dell’Inps per fare politica? No, ma per occuparsi delle pensioni. Però lui dice e ripete che l’Italia ha bisogno dei migranti, e che i flussi migratori continuino, altrimenti – ecco la scusa per invadere un ambito non suo – lo Stato non ce la farà più a pagare le pensioni ai cittadini. Ma questo è fare politica; e, quel che è peggio, è farla pubblicamente. Non è pagato per questo. Ammesso e non concesso che esista un legame fra le due cose, i migranti e le pensioni, e che sia del tipo che lui afferma, resta il fatto che il suo compito è fare in modo che le pensioni siano pagate regolarmente: se teme che si vada verso una situazione in cui lo Stato non sarà più in grado di farlo, ebbene, il suo compito consiste, matita alla mano, nel mostrare che questo è effettivamente il rischio che si prospetta. A lui non compete individuare una soluzione politica, come quella di aprire le frontiere all’immigrazione, selvaggia o regolare che sia: questo è un tema politico, e lui non è pagato per stabilire la politica dell’Italia. È pagato per assicurare le pensioni agli italiani. Se pensa di non riuscire a farlo, che si dimetta; poi, dopo essersi dimesso, spieghi perché lo ha fatto. Ma restare sulla poltrona – e col suo lauto stipendio – che gli è stata data per pagare le pensioni agli italiani, e intanto annunciare come dovrà essere la politica italiana sull’immigrazione, pena la bancarotta, è fare politica e, nello stesso tempo, fare del terrorismo psicologico nei confronti degli italiani. Gli italiani si sono sentiti presi in giro, oltre che intimiditi: gli italiani di oltre sessant’anni, che hanno lavorato quarant’anni e più, si indignano a sentire quelle parole. Quelle parole non devono uscire dalla bocca di uno che ha semplicemente la responsabilità di far quadrare i conti delle pensioni.

Ovunque si assiste allo stesso spettacolo; i tecnici che fanno politica, invece di occuparsi dei problemi tecnici per i quali sono pagati; i pubblici amministratori che fanno politica, invece di occuparsi della amministrazione delle loro città e delle loro regioni, dei trasporti urbani, dello smaltimento dei rifiuti, eccetera; i magistrati che fanno politica, invece di occuparsi della giustizia, delle inchieste, dei processi e delle sentenze. Ciascuno di essi fa politica al posto dei politici, e sfrutta la propria posizione di visibilità e di potere per invadere un ambito in cui non dovrebbe avere la benché minima voce in capitolo. In democrazia, la politica la fanno i politici: non perché siano più belli o più bravi degli altri, ma perché sono stati eletti dal popolo. La politica, in democrazia, esiste per quello: per mandare in Parlamento, e di lì al governo, i rappresentanti scelti dal popolo. Certo, questo è lo schema teorico; in pratica, i partiti si sono appropriati dei meccanismi della rappresentanza popolare, creando una casta che si sovrappone, non di rado, agli elettori, e nemmeno si prende il disturbo di consultarli. Tale il caso dei governi “nominati” di Monti, Letta, Renzi e Gentiloni; e tale anche il caso di alcune decisioni vitali della politica, come quella sull’ingresso nella zona euro, o come quella sulle migrazioni/invasioni, prese non dopo aver consultato la base elettorale, ma secondo la volontà delle direzioni dei partiti, cioè di pochissime persone (nel caso di Forza Italia, di una persona sola). I quali vertici dei partiti, a loro volta, fanno gli interessi dei grandi gruppi industriali e soprattutto finanziari, non solo italiani, ma anche e soprattutto internazionali: e a quel punto, cosa resta della democrazia, se non la facciata? Nondimeno, rimane il principio che la politica la fanno i politici, in quanto – teoricamente almeno – eletti dal popolo, che è il vero soggetto della sovranità: non la fanno, né la devono fare, i magistrati, i funzionari statali o i sindaci. Ora, il problema è che il Pd, nel corso degli ultimi anni, non solo ha messo i suoi uomini e i suoi amici in ciascuno di questi settori, e specialmente nei posti più strategici; non solo li ha blindati mediante contratti-capestri che rendono pressoché impossibile al governo (cioè, se va al potere un governo diverso: come ora è accaduto) licenziarli, senza dover sborsare penali milionarie; ma li ha anche aiutati e incoraggiati a creare delle posizioni di potere semi-indipendenti, cioè, in pratica, feudali, cedendo, di fatto, quote di sovranità dello Stato a loro favore, e trasformandoli così in suoi vassalli, valvassori e valvassini.

Ora tutti questi vassalli, valvassori e valvassini sono rimasti nei loro feudi, e fungono da quinte colonne contro il governo in carica: il governo si è formato in seguito al voto popolare del 5 marzo scorso, ma i vassalli, valvassori e valvassini sono lì da prima, da molto prima: sono lì da anni, e hanno trasformato i loro feudi da elettivi in ereditari, trasmettendoseli come fossero cosa privata. Questo è il problema numero uno di chi governa l’Italia, beninteso se vuol governarla davvero, cioè se vuol servire gli interessi reali del popolo italiano, e non fungere da luogotenente al servizio di poteri industriali e finanziari, in gran parte stranieri, magari gli stessi che hanno spolpato l’economia italiana e che seguitano a farlo (vedi quanto detto su Soros/Gentiloni). Questo è, per fare un altro esempio ancora più chiaro, il caso della BCE: un organismo speculativo privato la cui funzione è fare quattrini a danno dei popoli europei, quindi anche a danno del popolo italiano. Ora, la BCE non è scesa dal pianeta Marte; è il centro direzionale dell’UE: dunque, chi ha voluto l’UE ha voluto anche la BCE, e non l’ha voluta per caso, ma per una ragione precisa. Ne consegue che restare o uscire dall’UE è una questione politica, che appartiene al giudizio del popolo italiano, fino a prova contraria; ma ecco che i presidenti della Repubblica, Napolitano e Mattarella, dicono e ripetono in continuazione che l’UE è il destino dell’Italia, che il futuro dell’Italia è impensabile fuori della UE, che bisogna rafforzare a ogni costo sia l’UE, sia l’adesione ad essa dell’Italia. Domandiamo: Napolitano e Mattarella hanno giurato sulla Costituzione della UE o sulla Costituzione della Repubblica italiana? Seconda domanda: perché Napolitano e Mattarella fanno politica? Dire quelle cose è fare politica; ma il presidente della Repubblica italiana, per statuto, non deve fare politica; al contrario, lui è politicamente irresponsabile, proprio perché deve essere il garante della politica. Per questo viene eletto dal Parlamento, e non per altro: non per fare politica, pro o contro l’UE, e quindi, inevitabilmente, pro o contro i partiti italiani che si schierano pro o contro l’UE; ma per vigilare sulla correttezza dei procedimenti costituzionali. Se fa politica, tradisce il suo ruolo e il suo mandato; se si schiera per la UE, cioè per la BCE, tradisce il suo ruolo e il suo mandato: che è quello di fare gli interessi dell’Italia e difendere il bene del popolo italiano, non difendere gli interessi della UE, né di fare il bene della BCE. Un presidente che scende nell’agone politico, fa esattamente quel che fanno i magistrati, i funzionari e gli amministratori quando esorbitano dalle loro funzioni: si schiera; ma non è suo compito schierarsi. Il presidente della Repubblica è il presidente di tutti gli italiani, e lo è ai termini della Costituzione. Un capo di governo è auspicabile che abbia sempre di mira il bene di tutti gli italiani, ma, in pratica, essendo il capo di un governo formato dal Parlamento, a sua volta eletto dal popolo mediante il sistema dei partiti, sarà sempre il capo di una parte degli italiani. Questa è la differenza fra la politica e le istituzioni: la politica fa gli interessi di una parte (la buona politica fa gli interessi della maggior parte possibile), mentre le istituzioni fanno gli interessi di tutti. Il magistrato, il sindaco, il funzionario pubblico, sono lì per servire l’interesse generale, non l’interesse particolare. Al magistrato o al sindaco non deve interessare se i cittadini che ha di fronte sono iscritti a questo o quel partito: sono cittadini e basta. I cittadini che entrano in un’aula di giustizia, attendono di ricevere giustizia; i cittadini che abitano in un quartiere, attendono che il comune risolva i loro problemi. Se i rifiuti non vengono smaltiti, se si accumulano sulla strada, il problema è di tutti, e il sindaco è lì per risolverlo: senza chiedere se gli  abitanti di quel quartiere e di quella città hanno votato per lui.

Tuttavia ci sono dei sindaci che non sanno risolvere neppure i problemi fondamentali della vita cittadina, come lo smaltimento dei rifiuti; lasciano che montagne di spazzatura si accumulino sui marciapiedi, rifiuti che poi vengono incendiati, la notte, non si sa bene da chi, se dai cittadini infuriati o da uomini della malavita interessati a pescare nel torbido; e non solo non si dimettono, ma usano le loro poltrone di sindaci per fare politica, addirittura la politica nazionale e internazionale. Fanno annunci pubblici, tengono discorsi e rilasciano interviste in cui si rivolgono al mondo intero, promettendo che essi, nelle loro rispettive città, agiranno in senso perfettamente contrario a ciò che ha deciso il governo regolarmente eletto dal popolo italiano. Queste situazioni sono assurde, grottesche e vergognose, eppure sono frequenti: sono l’indice di un sistema di governo e di una mentalità che si sono incancreniti nel corso degli anni. Prendiamo il caso di un giornalista Rai: è stato assunto dietro indicazione dei partiti, pertanto è intoccabile. Non si sente obbligato verso lo Stato, che gli paga lo stipendio, né verso i telespettatori, che in teoria dovrebbe informare,  ma verso il partito che lo ha raccomandato. Questa fedeltà privata traspare dal suo modo di svolgere, e prima ancora di concepire, il proprio lavoro: dal modo di esprimersi, dal modo di costruire i servizi giornalistici. Chi glielo spiega, a Giovanna Botteri, che lei non è la giornalista del Pd, ma della Rai, e che la Rai è l’azienda pubblica radiotelevisiva, cioè del popolo italiano? Che se il suo stipendio glielo paga il popolo italiano, lei deve servire l’interesse di tutti, e quindi costruire dei servizi che rispecchino la verità dei fatti e non le sue private opinioni politiche o quelle dei suoi amici democratici statunitensi? Questo è solo un esempio; ma se ne potrebbero fare cento, mille; e non solo per la Rai, ma per ogni ambito della vita pubblica, scuola compresa. Chi glielo spiega, a tanti e tanti professori, specialmente quelli di storia e di filosofia, che il loro compito è fornire agli studenti gli strumenti per sapere e soprattutto per pensare e capire, e non indottrinarli secondo i loro umori politici? E che, se usano la cattedra e il registro per diffondere, o imporre, le loro opinioni politiche, guadagnano malissimo il loro stipendio, pagato dallo Stato, cioè da tutti i cittadini, e non solo da quelli di una certa parte politica? Pure, sono cattive abitudini talmente frequenti e talmente inveterate, che i più finiscono per considerarle normali. Ma non sono normali. Un Paese normale, o che voglia diventare tale, non le può accettare, non le può subire. Infatti, in nessun Paese normale, in nessun Paese serio, tali cose vengono tollerate.

Il primo passo è stato fatto: mandare all’opposizione il blocco del Nazareno; ma è solo l’inizio. A quei signori resta in mano tutto il resto, ogni apparato statale. Bisogna por mano ai loro feudi, uno per uno, comprese le cooperative e molte o.n.g. Occorre schiodarli dai loro feudi, uno dopo l’altro: cacciare i vassalli, valvassori e valvassini e sostituirli con dei veri tecnici e veri servitori dello Stato.