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Propaganda ai tempi dell’“accoglienza”: il ritorno di Kunta Kinte

di Enrico Galoppini - 06/12/2016

Propaganda ai tempi dell’“accoglienza”: il ritorno di Kunta Kinte

Fonte: Il Discrimine

 

Apprendo da un lancio d’agenzia che è in arrivo il rifacimento dello sceneggiato “Radici”, tratto dall’omonimo romanzo di Alex Haley.

Tutti, quarant’anni fa, conobbero il personaggio di Kunta Kinte, il mandingo deportato in America, dal natio Gambia, per essere venduto ad un proprietario terriero.

Il libro andò a ruba anche in Italia, tanto che anche i servizi librari per corrispondenza (gli antesignani delle odierne librerie on line) davano grande risalto a questa storia, un po’ vera e un po’ romanzata, dalle evidenti implicazioni “sociali”.

Ma eravamo lontani anni luce dal clima politico e culturale di oggigiorno. Il “negro”, infatti, dopo la fine del colonialismo italiano, restava più che altro confinato nell’immaginario. In Italia era quasi impossibile incontrarne uno, tanto che ricordo benissimo il mio stupore nel vedere per la prima volta dal vero un individuo nerissimo, impiegato come “maschera” di un circo, messo lì evidentemente a rendere più pittoresca e ‘magica’ l’entrata nel tendone; così come nella commedia italiana degli anni Settanta-Ottanta l’attore dalla pelle nera serviva ad impersonare uno stereotipato inserviente “negretto”, come Andrew Omokaro in Grand Hotel Excelsior (1982). Nessuno si scandalizzava, ma non perché all’epoca la gente fosse più “razzista”, e cioè peggiore, ma solo perché era meno ipocrita e moralista.

Così poteva anche ‘sopportare’ una storia come quella di Kunta Kinte, nella quale sopra ogni altra cosa emergeva l’aspetto biografico e penoso di gente strappata dalla sua terra e suoi modi di vita per fungere da braccia a buon mercato in quello che tutta una propaganda che però doveva scontrarsi con quella concorrente filo-comunista presentava come un “nuovo mondo” dalle favolose opportunità. Quello dei “liberatori” di appena trent’anni addietro, che solo due lustri prima dell’uscita di “Radici” stavano ancora impelagati in un segregazionismo di Stato che noialtri, sempre pronti a sputarci in faccia, non ci sognammo manco per idea nemmeno all’epoca di “Faccetta nera”.

grillo_te_la_do_io_americaQualche critica all’America e alla sua ideologia, però, prima degli anni Novanta (quando gli Usa dettero il via al tentativo d’instaurare un “New World Order”), era evidentemente possibile. Intendo sui media ufficiali. Così Beppe Grillo metteva alla berlina vizi e paranoie dell’americano medio in “Te la do io l’America”, Fidel Castro entrava positivamente nelle case degli italiani grazie a Gianni Minà, e ancora, per condannare senz’appello una cosa folle ed esagerata, si usava il termine “americanata”.

Poca roba, si dirà, mentre da noi imperversava – come da direttive anglo-americane con annessi “attentati” – un feroce antifascismo di Stato, e ciò che veniva tollerato dei “reduci di Salò” era irretito nell’operazione Msi-Destra Nazionale. Per gli anti-americani veri, insomma, non c’era posto, ieri come oggi.

E la mannaia del politicamente corretto colpiva inesorabilmente, quando avvertiva nitidamente il pericolo proveniente da un libro o da un film.

addio_zio_tomÈ il caso di “Addio Zio Tom”, di Jacopetti e Prosperi (1971), sottoposto al fuoco concentrico della contestazione “studentesca” e della repressione giudiziaria della Repubblica antifascista. Ma chi volesse davvero capire qualcosa, attraverso un film, di ciò che è stata la “tratta dei negri” farebbe meglio a visionarne attentamente la prima versione, non censurata, nella quale è come se si facessero i nomi e i cognomi dei beneficiari della turpe operazione schiavistica. Chi cerca trova, ma bisogna avvertire che si tratta di una pellicola quasi introvabile (e semisconosciuta) perché, oltre a dire come stavano le cose al riguardo di questo “commercio”, criticava radicalmente sia la “società multirazziale” sia il mito del “buon selvaggio”.

Oggi, quando persino un Papa sale in “cattedra” per mandare metaforicamente (?) all’Inferno chi non “accoglie” e dalle “istituzioni” sale un unanime belato pro-immigrazione, solo un pazzo votato alla morte civile realizzerebbe un film così scevro da ipocrisia ed onesto intellettualmente. Meglio ripropinare “Radici”, quasi di sicuro aggiornato con appositi “messaggi” adatti ai tempi: tanto, mica servirà ad inchiodare alle sue responsabilità chi ha lucrato per secoli su quest’infame commercio (e cioè i ricchi possidenti americani ed i grandi mercanti di carne umana, sui quali vige la consegna del silenzio perché la verità farebbe troppo male). La nuova versione del film verrà così sbattuta in faccia agli europei per intimare loro, una volta di più, che devono assolutamente – tutti quanti, nessuno escluso – sentirsi in colpa e dunque… “accogliere” senza battere ciglio!