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Ratzinger nel mirino del nuovo ordine mondiale

di Stefano De Rosa - 24/01/2022

Ratzinger nel mirino del nuovo ordine mondiale

Fonte: Italicum

Mentre le cronache politiche italiane sono inflazionate da indiscrezioni e retroscena su sterili negoziati per l’elezione del Presidente della Repubblica, una notizia dirompente è deflagrata sui media nazionali ed internazionali. Il 20 gennaio lo studio legale bavarese Westpfahl Spilker Wastl in una conferenza stampa ha diffuso i risultati (contenuti in circa mille pagine) di una ricerca – commissionata dall’arcidiocesi di Monaco di Baviera nel febbraio del 2020 – che ha individuato 497 vittime di presunti abusi sessuali compiuti da 235 persone (tra cui 173 preti, 9 diaconi e 5 operatori pastorali) in un arco temporale che abbraccia gli anni 1945-2019 nell’ambito della stessa arcidiocesi di Monaco e Frisinga, che dal 2007 è guidata dal “progressista” Reinhard Marx.

La notizia, in sé, si inserisce in un quadro di repulisti che la Chiesa cattolica sta compiendo al suo interno per (cercare di) sanare quelle ferite fisiche, morali, psicologiche e di credibilità che il comportamento dissennato di alcuni suoi esponenti ha prodotto nel tempo. Recenti inchieste su analoghi scandali hanno interessato le Chiese di Francia, Stati Uniti, Spagna e Cile.

I settantacinque anni presi in esame, scandagliati attraverso interviste e colloqui e finiti sotto la severa lente di osservazione, sembrerebbero conferire all’inchiesta un carattere distaccato, scientifico, oggettivo. In realtà le speculazioni dei media – non del committente, ovviamente – si sono subito concentrate sul quinquennio 1977-1982, anni nei quali Joseph Ratzinger fu arcivescovo di Monaco. E con altrettanta solerzia il novantaquattrenne Papa Benedetto XVI è stato prontamente accusato di comportamenti scorretti rilevati in quattro occasioni. Cioè di aver coperto casi di matrice pedofila. Nel maggio 2021 il cardinale Marx presentò all’attuale pontefice le dimissioni da arcivescovo, motivate proprio dagli abusi sessuali della specie commessi nei decenni precedenti. Ma le stesse – ça va sans dire – furono prontamente respinte da Bergoglio.

Papa Benedetto in una memoria di oltre 80 pagine ha respinto addebiti ed accuse basate sul discutibile e poco giuridico principio del “non poteva non sapere”. Opportuno, al proposito, è ricordare che nel maggio 2001 il cardinale Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, firmò la lettera De delictis gravioribus nella quale, tra l’altro, la Congregazione rinunciava a riservarsi il giudizio in seconda istanza per i diritti contro la morale previsti dalla Crimen sollicitationis (adescamento durante la confessione), tranne che per gli “atti contro il Sesto Comandamento del Decalogo commessi da un membro del clero con un minore di anni 18”, innalzando di due anni il precedente limite di 16 anni. Stabilì anche i termini della prescrizione canonica in dieci anni dalla maggiore età del minore oggetto di abuso, rispetto al termine dei dieci anni dal crimine.

Papa Ratzinger, inoltre, è stato il primo pontefice – nell’omelia dell’11 giugno 2010 – a chiedere pubblicamente perdono per la pedofilia nel clero. “Anche noi – disse – chiediamo insistentemente perdono a Dio ed alle persone coinvolte, mentre intendiamo promettere di voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più”. Insomma, un avversario rigoroso degli abusi nella Chiesa.

Attaccare Ratzinger su questo punto denota malafede, ma principalmente l’intento pretestuoso di pregiudicarne l’onore, la rispettabilità e, dunque, il magistero con un’operazione di killeraggio mediatico ammantata di veste scientifica. Quasi a volerne screditare l’intransigenza dottrinaria, svilire lo spessore culturale e soprattutto anticipare la damnatio memoriae. La circostanza che, nell’occasione, il Vaticano non abbia sentito il dovere di difendere un papa, benché non in carica, ancora vivente è l’indicatore di ciò che la Chiesa da nove anni è miseramente diventata o, meglio, del ruolo subalterno che essa si è resa disponibile a svolgere.

Da un quarto di secolo la globalizzazione ha infettato i processi economici, le dinamiche sociali ed i rapporti politici del mondo intero. Non c’è angolo del pianeta che – dai tempi dell’Ulivo mondiale e dell’esportazione della democrazia – non sia stato sconvolto dalle accelerazioni impresse dalle “magnifiche sorti e progressive” di un mondialismo messianico spacciato da governanti e media asserviti come panacea di ogni disuguaglianza nelle risorse ed asimmetria nelle opportunità.

Ma la globalizzazione non ha travolto – e non riguarda – soltanto la superficiale, benché vasta, dimensione socio-economica. Il suo obiettivo strategico, soprattutto in Europa, è profondo, culturale, metapolitico, condotto sotto l’egida di un “governo” sovranazionale, diffuso, occulto, privo di qualsiasi legittimazione democratica e realizzato su una duplice direttrice di azione a tenaglia. Da una parte, politico-istituzionale; da perseguire con il superamento degli stati nazionali, attraverso lo smantellamento della sovranità monetaria e politica – la prima già realizzata con l’euro, la seconda da perseguire con il progetto federalista. Dall’altra, culturale e di mentalità; da ottenere attraverso l’eradicazione di qualsiasi retaggio identitario, etnico, storico, religioso, tradizionale. La cancel culture ne costituisce uno dei più tristi e pericolosi fenomeni.

L’elezione nell’aprile del 2005, in piena temperie globalista, di S.E. Joseph Ratzinger al soglio di Pietro rappresentò l’intollerabile granello di polvere tradizionalista nell’ennesima “gioiosa macchina da guerra” progressista. La lotta al relativismo dottrinario, sul piano teologico, e la tutela papale dell’Ordo Missae pre-conciliare, sul piano liturgico, furono due esemplari ambiti di intervento di Benedetto XVI. E non solo.

Il discorso del Santo Padre tenuto a Ratisbona nel settembre 2006, in occasione dell’Incontro con i rappresentanti della Scienza – pietra miliare del suo insegnamento –, marchia, a nostro avviso, il destino di Benedetto. L’erudito passaggio sulle differenze tra fede cristiana ed islam esprimeva l’essenza del sistema valoriale, comunicativo e teologico che il suo pontificato interpretava. Un sistema giudicato inammissibile, un ostacolo da rimuovere sulla strada del progresso unidirezionale della Storia e dello Zeitgeist globalista. Inevitabile quindi la frattura insanabile tra poteri finanziari e sinistra apolide, felicemente abbracciati, e magistero benedettino che ebbe il suo inverosimile esito – come un ordigno caricato ad orologeria – nell’infausto febbraio 2013.

Sotto questa chiave di lettura, la sostituzione di Papa Benedetto XVI e l’elezione di Bergoglio ha costituito un caposaldo funzionale agli assetti del Nuovo Ordine Mondiale liberista e progressista, verbo divenuto à la page nei sacri palazzi. Il rinnovato corso pontificio si è così perfettamente allineato ai desiderata delle forze globalizzatrici e del pensiero “unico”, a proprio agio con il relativismo imperante (“Chi sono io per giudicare?”).

Con il transito dalla Tradizione alla secolarizzazione la Chiesa di Roma si è resa complice non solo del processo di allontanamento dal Sacro (significativo il passaggio dalla salvezza delle anime alla sanificazione dei corpi) e di uno scivolamento epocale verso il post-cattolicesimo, ma soprattutto ha offerto all’obiettivo metapolitico della globalizzazione, stante la tradizione ecclesiastica bimillenaria, un’indispensabile e gradita giustificazione morale. L’ignobile attacco a Joseph Ratzinger – che dal suo eremo fa ancora sentire la sua voce di guida spirituale – condotto da un sedicente studio legale indipendente si inserisce in questo solco di odio e getta paradossalmente qualche luce sulle ragioni di una scelta sofferta che il Tempo si incaricherà di svelare pienamente.