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San Francesco grazie a Dio, non fu un italiano-tipo

di Marcello Veneziani - 27/09/2025

San Francesco grazie a Dio, non fu un italiano-tipo

Fonte: Marcello Veneziani

Ricordati di santificare le feste. Semel in anno, una volta all’anno la politica italiana s’inchina ai santi e ai poeti, e si ricorda che siamo un paese di antica civiltà cristiana. Come sapete, il giorno di San Francesco, il 4 ottobre, sta tornando festa nazionale. L’iter parlamentare procede tra consensi quasi unanimi, bipartisan. L’occasione è il prossimo anniversario, ottocento anni dalla morte del santo: il braccio politico dell’iniziativa è stato il piccolo partito di Noi Moderati, guidato da Lupi, che come ricordiamo, San Francesco riusciva miracolosamente ad ammansire, fino a renderli moderati. A promuoverlo è stato il poeta Davide Rondoni che presiede il comitato per le celebrazioni dell’anniversario francescano. Finalmente un santo in Parlamento, e un santo che mette d’accordo tutti, credenti e laici, carnivori e vegani. Piace ai cattolici, naturalmente, perché è santo, converte alla santità e alla carità, è cristianissimo, ha pure le stimmate. Non dispiace ai filo-islamici perché dialogava col sultano e i seguaci di Allah al tempo delle Crociate. Piace ai comunisti, socialisti e loro derivati perché è coi poveri e i bisognosi ma il suo è l’unico comunismo che ammiriamo tutti, perché è volontario e personale, scontato sulla propria pelle e non imposto agli altri con la violenza da un sistema o da una dittatura. Piace ai mistici e ai credenti perché la sua scelta di povertà non nasce dal pauperismo ideologico o dalla rivolta sociale ma è una rinuncia ai beni del mondo, spogliarsi di tutto per entrare nudi e puri nel regno dei cieli al cospetto di Dio. Piaceva ai fascisti e ai nazionalisti perché è il Santo Patrono d’Italia e Mussolini lo definì “il più italiano dei santi, il più santo degli italiani”, esaltando in lui lo spirito di rinuncia e dedizione, fino a diventare un modello di sacrificio nei giorni dell’Autarchia. Piace ai laici perché era in conflitto col potere clericale e fu a suo modo un obiettore di coscienza; piace ai pacifisti anche non credenti, che non a caso marciano su Assisi, da Aldo Capitini in poi e piace a tutti i dialoganti con altre fedi. Piace alle femministe perché aveva un rapporto paritario nella santità con Chiara. Piace agli ambientalisti, ai salutisti e agli animalisti perché fu il primo a difendere la Natura, cantare il creato, amare l’acqua, la terra e parlava con gli animali, anche feroci. Piace ai critici del consumismo perché è un esempio vivente di decrescita felice. E’ il perfetto testimonial per i sacrifici imposti dalle crisi, modello di lieta austerity con lo spirito del giullare di Dio. E mette d’accordo tutti perché non è padano, non è terrone, non è romano, ma cammina per tutta l’Italia, a nord e a sud, avvistato perfino sul Gargano, oltre che in Medio Oriente. E’ il precursore di tutti i ribelli e i viandanti, andò on the road prima di Kerouac e dei vagabondi del Dharma; è un irrequieto alla Chatwin, è il Siddharta nostrano e cristiano, senza rifarsi a Buddha e a Hermann Hesse. Unisce fedi, culture, generazioni, pensieri opposti, cammini divergenti. Francesco fu forse il primo poeta italiano, e il suo Cantico, il suo Laudato sì mio Signore, è una gioiosa accettazione della vita, del creato e pure della morte – sora nostra Morte corporale; è la versione cristiana dell’Amor fati. Celebrò in semplicità e in povertà le nozze tra il naturale e il soprannaturale. Chesterton, nel libro che gli dedicò, definì Francesco un innamorato di Dio e degli uomini, ma non era un filantropo. Perché l’amore per gli uomini era in lui il riflesso dell’amore per Dio e si estendeva alle altre creature. Non a caso un gesuita astuto e piacione come Bergoglio scelse il suo nome come Papa. E fu subito successo, prima di farsi conoscere. Allora, Fraticelli d’Italia, perché non ripartire da Assisi e da San Francesco?
In vista dell’anniversario tanti hanno scritto o stanno pubblicando un libro su san Francesco: poeti, sacerdoti, frati, letterati, storici, giornalisti, artisti. A giudicare dai frutti appena usciti, si annuncia un anniversario glassato, piuttosto stucchevole, di quelli che non piacevano al brusco frate di Assisi. Poi, quando si metteranno pure le istituzioni, gli alti patrocini, le melense prediche, allora salirà di molto il livello di glucosio e di nausea. Sarà un presepe capovolto, non come quello umile e vero che realizzò per la prima volta San Francesco a Greccio; piuttosto un day pride, e ci sarà qualcuno che lo definirà Frocesco nel nome del papa, dei gay e dello spirito di patata.
Davanti a questo diluvio universale di zucchero e miele, lasciate che vi dica una cosa: San Francesco non fu un tenero, un dolciastro e un permissivo; fu tosto, aspro, assai esigente. C’è una gara a definire Francesco il prototipo dell’italiano, il primo italiano, l’italiano vero (non nel senso di Toto Cutugno); curiosamente l’iniziatore di questa vulgata fu il deprecato Duce, che – come dicevamo – definì Francesco il più italiano dei santi. Invece, lasciatemi dire una cosa che ci ferisce il cuore: Francesco fu tutto meno che il prototipo verace di un italiano. Non lo era probabilmente nemmeno al suo tempo, non lo è sicuramente nel nostro. San Francesco non amava i compromessi, i sotterfugi, le mezze verità, i doppi giochi e i doppi inganni, la vita comoda e le grandi magnate, le piccole viltà, le scorciatoie, il familismo amorale, il fasto, il lusso, la sciccheria, gli egoismi piccini. Era dunque il contrario di un italiano, il suo comportamento era agli antipodi del conformismo nazionale in vil pelle; era un eretico rispetto all’italiano medio, canonico, credente per finta, cristiano per cerimonia, scansa sacrifici e aspirante alla dolce vita. Se vogliamo, con Francesco nasce quella tempra d’italiani di carattere che furono fieramente antitaliani: come Dante, padre della civiltà italiana ma anche primo critico della sventurata patria, servile e indecorosa. E dopo di lui, per restare nei cieli della poesia, Giacomo Leopardi, che descrisse gli italiani con una acuta e impietosa diagnosi, in cui ancora riconosciamo l’immagine deteriore del nostro paese.
La miglior Italia nasce dopo un bagno gelido nel fiume impetuoso degli antiitaliani; solo quando prende lezione da loro e si regola di conseguenza, l’Italia si fa grande. Perciò questo ritorno del Santo d’Assisi nel nostro calendario festivo, non prendetelo solo come un bonus vacanziero o come un autoelogio, fino alla santificazione degli italiani; ma come un compito, un monito, uno schiaffo per cambiare passo, stile e propositi. Amate San Francesco non perché fu uno di noi, ma al contrario, perché non si rassegnò ad esserlo. Francesco ci insegnò come essere migliori senza fare gli italiani.