Se l’Intelligenza Artificiale si converte
di Marcello Veneziani - 09/07/2025
Fonte: Marcello Veneziani
Dio, Io e IA di Cristiano Ceresani è un dialogo suggestivo e serafico tra l’uomo e l’intelligenza artificiale al cospetto del mistero divino. Un dialogo in cui la macchina gioca per così dire di rimessa, non esprime idee proprie, originali e creative, e tantomeno contrasta l’intelligenza umana ma si limita a replicare le idee, a confermarle col suo sapere enciclopedico, in sintonia con l’interlocutore umano, della cui mente è un’espansione.
Non entrerò nel merito del dialogo, che lascio alla lettura, senza bisogno di mediazioni. Mi soffermerò invece sul suo antefatto epocale, ovvero sul momento speciale che stiamo vivendo davanti all’espansione rapida e incessante dell’Intelligenza Artificiale e delle sue applicazioni.
Per richiamare il senso triangolare di questo libro, dirò che l’IA si presenta nella realtà dei nostri giorni da un verso come la sostituzione dell’umano, dopo avere allargato le sue possibilità, e dall’altro come la sostituzione del divino, di cui diventa il surrogato tecnologico. L’Intelligenza Artificiale tende infatti a essere concepita nella nostra epoca come una specie di Intelligenza Suprema, invisibile, infallibile, onnisciente, onnipresente, quasi onnipotente, collocata nei cieli del cloud ma anche “qui” e in ogni luogo: ha dunque tutti i requisiti che di solito attribuiamo al divino.
In una Società senza eredi, come la definisco in un libro recente, ovvero in una società che cancella i maestri, la memoria storica, il patrimonio della tradizione, l’Intelligenza Artificiale diventa l’erede universale di ogni sapere. Un immenso magazzino dati in cui far confluire tutto il patrimonio di conoscenze dell’umanità; con la possibilità di combinare i saperi e produrre nuovi esiti. In realtà Big Data non sostituisce la Cultura Universale perché non è sapere ma informazione globale, flusso e assemblaggio di dati; è sapere liofilizzato, stoccaggio di biblioteche e archivi, trasferite sulla grande nuvola immateriale, il cloud. Le applicazioni e soprattutto le implicazioni pratiche dell’intelligenza artificiale sono sconvolgenti. Quel che più colpisce è l’accelerazione con cui avvengono i mutamenti e che non danno il tempo di metabolizzarli, di capirne la portata e gli effetti. È quello che il filosofo Gunther Anders chiamava “il dislivello prometeico”, ovvero la tecnica corre e la cultura, il pensiero, l’intelligenza non stanno al suo passo; perciò si crea una forbice tra la crescita della tecnologia e la decrescita della cultura.
Non si tratta di fermare l’Intelligenza Artificiale, scrivevo ne l’Amore necessario, ma di regolarla, dotarsi di contrappesi per bilanciarla, distinguere gli ambiti e i limiti del suo uso, in modo che non diventi abuso; che resti nella sfera dei mezzi, e non intacchi o vanifichi i fini, il senso, il destino della vita. L’intelligenza critica è il vero filtro per distinguere gl’influssi benefici da quelli malefici. Esattamente come si distingue tra l’uso dell’energia nucleare e la bomba atomica. La tecnica oltre che strumento prodigioso e salutare per mille cose, che benediciamo ogni giorno, è anche un mezzo di distruzione e di alienazione.
L’uso illimitato della tecnica, lo sviluppo incondizionato dei suoi strumenti, diventa un’arma letale, bisogna avere il coraggio di negoziare il suo disarmo e circoscrivere le sue applicazioni. Lo dicono anche eminenti maghi dell’intelligenza artificiale, operatori pentiti, imprenditori, ricercatori ed esperti del settore. Denunciano il pericolo anche figure globali e rappresentative come Elon Musk, Bill Gates, Jack Ma di Alibaba e lo scienziato Stephen Hawking, prima che morisse. O i padrini dell’IA che ora denunciano gli usi invasivi dell’intelligenza artificiale, paragonandola alla tossicodipendenza. I fondatori della stessa AI lanciano da tempo denunce accorate e compiono esercizi di rimorso e di pentimento. Ad esempio il premio Nobel per la fisica del 2024 Geoffrey Hinton, uno dei padri dell’Intelligenza artificiale, teme che la rapidità con cui si sviluppa l’IA provochi nel giro di trent’anni l’estinzione dell’umanità.
L’Intelligenza Artificiale sta sostituendo l’intelligenza umana e va frenata, come si frenano le armi chimiche o letali. Intanto siamo sempre più indifesi dall’uso distorto o malvagio dell’IA da parte di hacker privati, di imprenditori solitari e di organismi pubblici, servizi segreti, stati canaglia, dittatori. Il fatto che l’IA cancellerà migliaia di posti di lavoro è già una grave conseguenza sociale, ma può essere compensata con strategie lungimiranti di ricollocazione e riconversione; più irreparabili sono i danni che può produrre sul piano della sicurezza, della libertà, dell’indipendenza, della salute e soprattutto dell’intelligenza umana, della sua libertà e dignità.
Allora qual è il discrimine di fondo da adottare? Trovare il punto d’equilibrio tra volere, potere e sapere, stabilire i limiti, subordinare la volontà di potenza al bene comune. E soprattutto distinguere tra il miglioramento reale delle condizioni di vita e la sostituzione dell’umano. Per farlo occorre un confronto incessante tra scienziati, tecnici, statisti, politici, manager, pensatori e saggi rappresentativi delle più significative tradizioni religiose; una specie di riscontro incrociato, difficile da realizzarsi e da regolarsi, ma rinunciandovi in partenza abbiamo già perduto la scommessa e ci consegniamo inermi ad una sovranità cieca e assoluta. Da tempo ripeto che non mi preoccupa l’avanzata dell’intelligenza artificiale ma la ritirata dell’intelligenza naturale umana che dovrebbe guidarla.
Dietro il problema e la minaccia della sostituzione dell’umano, resta il tema teologico, la sostituzione del divino. L’Intelligenza Artificiale è quel dio ignoto della metafisica, è la sua ultima rappresentazione in un mondo che ha cancellato la trascendenza e che identifica Dio con la Tecnica, in un viaggio dall’umano al transumano.
Se non verrà orientata e governata col sapere e il potere umano, l’Intelligenza Artificiale prima renderà obsoleto l’umano e poi lo sostituirà; e dopo aver sostituito l’umano sostituirà il divino, e dissiperà il mistero, il senso, il destino dell’essere. La fine dell’umano coinciderà allora con la fine del divino. La tecnologia si farà teologia. A quel punto, ci azzardiamo a pensare, avverrà qualcosa d’imprevisto che sorgerà dal fondo imperscrutabile del mistero, e ricondurrà a un ordine superiore emanato da un’Intelligenza Soprannaturale.
Il dialogo di Ceresani è tutt’altro che conflittuale tra l’uomo e la macchina, anzi estremamente cordiale e collaborativo, forse con tratti eccessivamente compiaciuti e autocompiaciuti; l’IA sembra essere lo specchio tecnologico in cui si riflette l’Io umano e il suo pensiero. Pone una serie di questioni di ordine religioso, teologico, ecclesiale, in rapporto all’IA, al transumanesimo inteso come teologia acefala, senza Dio, fino ai rapporti con le nuove scienze, i grandi temi dell’umanità e della fede, le cadute ideologiche della nostra epoca. Infine sottolinea la necessità di una teologia profetica ed escatologica, riscoprendo la centralità della fede e della persona umana. Alla fine del viaggio hai l’impressione che l’Intelligenza Artificiale si sia definitivamente convertita all’umano e alla fede. Un happy end celestiale, che in mezzo a tante sciagurate profezie e cupi scenari apocalittici, magari conforta, rianima e infonde fiducia. Purché non si dimentichi la realtà e il lato in ombra più preoccupante della tecnologia illimitata. Fiat Lux.