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Socialista? No, censore. Espellendo Fico il Pse mostra il suo vero volto

di Alessio Mannino - 22/10/2025

Socialista? No, censore. Espellendo Fico il Pse mostra il suo vero volto

Fonte: Insideover

Venerdì 17 non è stato un giorno sfortunato, per il presidente slovacco Robert Fico (si legge “fizo”, n.d.a.). La decisione del Partito Socialista Europeo, sigla che riunisce le forze di sinistra moderata del continente, di espellere il suo, che di nome fa Smer (“Direzione”), a guardar bene si rivela un’operazione-verità. Perché effettivamente, fra la famiglia che si auto qualifica ancora come “socialista” e il partito da lui fondato nel 1999, e con il quale è al suo quarto anche se non consecutivo mandato, l’incompatibilità si era fatta palese. A dare la spinta finale a una china già da parecchio avviata alla separazione, è stata la recente riforma della Costituzione in cui si stabilisce che “la Repubblica slovacca riconosce solo il sesso biologico di un uomo e di una donna”, e che “i genitori di un bambino sono la madre e il padre; la madre del bambino è una donna e il padre del bambino è un uomo”. E difatti Fico, dal suo punto di vista, ha avuto buon gioco a rivendicarla e farne motivo di vanto: “Se la mia espulsione”, ha dichiarato, “è dovuta alla consacrazione nella nostra Costituzione dei generi maschile e femminile, allora sono orgoglioso di questa esclusione”.
Ma c’è un’altra causa che ha portato il Pse e il suo segretario generale Giacomo Fillibeck ad annunciare la cacciata degli slovacchi, durante il congresso di Amsterdam dei giorni scorsi: la politica di amicizia della Slovacchia verso la Russia. Covava da tempo, ma attendeva di essere suggellata da una motivazione più smaccatamente scandalosa, agli occhi dei socialisti d’Europa, come il ripudio costituzionale delle idee lgbtq+. Il posizionamento filo-russo del piccolo Stato centro-europeo non è una novità. L’avvicinamento a Vladimir Putin cominciò fin dal suo primo governo, nel 2006. Per tutta una serie di ragioni: dall’“afasia comunitaria” dell’Ue, come scriveva Limes in un articolo del 2009, alla dipendenza energetica dal gas russo, per arrivare alla questione che già allora si profilava all’orizzonte: il terreno di sfida fra Est e Ovest rappresentato dall’Ucraina.
Con la guerra scoppiata nel 2022, e specialmente dopo il cambio di linea del presidente americano Trump, Fico ha accelerato il passo in direzione Cremlino, opponendosi ai ripetuti pacchetti di sanzioni di Bruxelles e recandosi lo scorso maggio a Mosca per l’ottantesimo della vittoria sui nazisti (di cui, per la verità, la Slovacchia di monsignor Tiso era alleata). Non solo: unico fra i leader europei, ha presenziato anche alla parata militare di quest’anno della Repubblica Popolare Cinese, gradito ospite di Xi Jinping.   
Neppure erano bastate, almeno sino all’altro giorno, le plurime sospensioni che lo Smer ha più di una volta subìto dal Pse. Tutte dovute alla scelta di una coalizione, come si dice, “rossobruna” con il partito di destra radicale Sns. La prima fu proprio nel 2006, e Fico e i suoi furono riammessi due anni dopo, previo invio di una lettera, cofirmata anche dal capo del Sns, in cui si ribadiva il rispetto dei valori europei, dei diritti umani e delle minoranze etniche. Seconda sospensione nell’ottobre 2023, sempre per l’alleanza con il Sns. Quell’anno Fico, che era uscito dimissionario dalla crisi seguita all’omicidio nel 2018 del giornalista Ján Kuciak, si riprese il governo e la rivincita sull’ex compagno di partito Peter Pellegrini, autore di una scissione che ha portato alla creazione di Hlas, forza di segno più filo-europeista.
Dopo tale rottura, l’indirizzo trasversale di Smer è andato facendosi sempre più netto, combinando un tendenziale anti-liberismo in economia con un programma conservatore sui temi etici. Così, una tassa sulle transazioni finanziarie fra imprese si accompagna alla condanna dell’utero in affitto, l’ostilità agli immigrati di fede musulmana alla critica agli Stati Uniti, che con l’ex presidente Biden avrebbero, per interposta Ucraina, creato le condizioni di una guerra per procura contro la Russia. Il tutto coronato da una legge che ha obbligato le Ong internazionali a rendere trasparenti i propri finanziatori. La strategia di fondo si spiega con la composizione sociale dell’elettorato di Fico, che non è urbano come quello, in media, degli altri socialdemocratici europei, ma è radicato in un territorio prevalentemente rurale, fortemente cattolico, e ancorato a valori tradizionali. Giusto o sbagliato, è un indirizzo politico che ha la sua ragion d’essere specifica, e che non a caso, almeno finora, ha pagato.
Alla fine, i censori del Partito Socialista Europeo sono stati, dal canto loro, coerenti. Nella loro piattaforma, leggibile sul sito in versione italiana alla pagina “le nostre priorità”, tolto un primo punto su “alloggi accessibili e dignitosi per tutti” (deo gratias), il secondo chiarisce immediatamente, e col punto esclamativo, ciò che sta più a cuore ai compagni della sinistra liberal: “dalla parte dell’Ucraina!”. Quello successivo non poteva che professare “l’uguaglianza di genere”, e poi, va da sé, il “Green Deal”, un’“Europa digitale inclusiva” e la “lotta al fascismo e all’estrema destra”. A stupire non è perché oggi abbiano messo alla porta la sinistra sovranista e conservatrice di Fico, ma perché non lo abbiano fatto prima.
A chiudere il cortocircuito ideologico, per finire, c’è da osservare un fatto. Tranne che per il salario minimo (che preso da solo, e senza una legislazione anti-precarietà, resterebbe comunque insufficiente) e messa pure in conto una congerie di frasi fatte e genericamente “sociali” (“le banche e i governi devono agire per proteggere i più vulnerabili”) che avvicinano il Pse a una specie di Codacons (“vogliamo rendere i consumatori europei consapevoli della logica che si cela dietro al dynamic pricing e dei suoi pericoli”), di socialista, questo partito che si definisce socialista, non ha niente. A parte non citare mai lo storico contraltare economico e filosofico, il capitalismo, i presunti socialisti non offrono una proposta che sia una che come obiettivo di lungo periodo si ponga un riequilibrio strutturale dei rapporti di potere a favore dei più poveri. Al massimo, prevedono una modulazione fiscale più progressiva o mirata.
Per carità: non che non si sappia, che a partire dalla famosa “terza via” di Blair, Clinton (e D’Alema) negli anni Novanta, ciò che comunemente si intende per sinistra in Europa non è che una Ong in formato elezioni, con abbondante innaffiata di politicamente corretto. Ma almeno che si togliessero quel nome abusivo e si denominassero per quello che sono: liberali, seppur variante sinistra. O la coerenza vale solo su Fico?