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Sono figlio di Terra e di Cielo stellato

di Giuseppe Gorlani - 14/09/2020

Sono figlio di Terra e di Cielo stellato

Fonte: Arianna editrice

È evidente come questa civiltà sia agli sgoccioli. Morirà, poiché ha divelto le proprie radici, sia in Cielo che in Terra. Che soltanto un’esigua minoranza se ne stia rendendo conto non può che confermarlo. Gli uomini odierni vivono in una inconsapevolezza pressoché completa, storditi da un abuso di medicinali-droghe, da conoscenze distorte o false e da stimoli artificiali continui, fisici e mentali. Nel Dhammapada si legge: “Come cogliesse fiori, la morte va cogliendo gli uomini attaccati al desiderio: impetuoso torrente su di un addormentato villaggio”.[1] Oggi il desiderio ha perso ogni misura, è uscito dall’alveo naturale, si è fatto cieco, adharmico, incapace di vedere la connessione delle cose tra loro, privo di pietas e di compassione. La menzogna dietro la quale esso si nasconde è un’orribile maschera, negatrice di bellezza.

Scriveva il russo Nicolaj Berdjaev nella prima metà del secolo scorso: «I princìpi spirituali della modernità sono logorati, le sue forze spirituali esaurite. […] ci avviciniamo alla notte. […] Cadono i veli che coprono la menzogna, rivelando la nudità del bene e del male. […] La notte è più prossima alle cose prime e agli elementi della natura di quanto lo sia il giorno». Sulla menzogna Berdjaev ha scritto pagine mirabili; ne trascrivo un’unica riflessione di estrema attualità: «La menzogna è il fondamento primo dei cosidetti Stati totalitari, che senza la menzogna organizzata non avrebbero mai potuto essere edificati. La menzogna viene inculcata  come un sacro dovere, un dovere nei confronti della razza eletta, della potenza dello Stato, della classe eletta. E non la si riconosce neppure come menzogna».[2]

Negli anni ’60 – che per certi versi hanno segnato un ulteriore passo verso le barbarie e per altri l’estremo tentativo di trovare alternative al precipitare nel baratro – alcuni giovani vedevano chiaramente i segni della fine imminente; uno tra questi scriveva: «Se tagliate un albero dalla base nascono nuovi polloni, così esistiamo noi, figli della Luce di sempre, noi che, pur immersi nel falso benessere di una società iper-tecnologica, abbiamo già imparato a vivere usando acqua, fuoco, erbe, frutti selvatici, cereali e a onorare gli Dei. La morte di questa civiltà non ci farà impazzire; per noi è già morta».

René Guénon pubblicò La crise du monde moderne addirittura nel 1927. Tuttavia i segni iniziali della catabasi vengono da assai più lontano. Senza bisogno di scomodare la profezia, una simile preveggenza è soltanto espressione di intelligenza.

Non sarà la mancanza d’energia fossile, né il sovrastare degli impulsi ferini nell’umanità a determinare il crollo definitivo del mondo moderno e neppure il tentativo inconscio dell’Ecosfera di difendersi dal suo peggior nemico, l’uomo, bensì l’abbandono della metafisica, fonte di ogni soteriologia religiosa autentica. Il che equivale a fare il vuoto sotto i propri piedi; o, per usare una significativa immagine taoista, nel conservare soltanto la terra su cui i piedi poggiano, eliminando tutto il resto.

Secondo la visione orfica, la persona che in vita non si preoccupa di elevare i propri pensieri oltre la contingenza, interrogandosi sul significato ultimo, al momento della morte ineluttabilmente berrà alla fonte del Lethe contrassegnata da un cipresso bianco, spegnendo, insieme alla sete, la memoria della propria origine divina. Per contro, quelli che avranno sentito la necessità di riflettere profondamente, gli iniziati ai Misteri, andranno alla fonte di Mnemosyne, proclamando: «Sono figlio di Terra e di Cielo stellato e la mia stirpe è celeste».[3] Costoro in realtà non morranno e procederanno lungo la Via degli Dei.

Molti giovani oggi non ambiscono nemmeno a immortalarsi nei figli. Ciò significa che non considerano il vivere nella condizione presente un bene da trasmettere. Senza metafisica e senza la contemplazione che ne deriva, persino le forme maggiormente ricche di bellezza e amore si disseccano, spegnendo ogni aspirazione alla creatività. Per Berdjaev, una tra le maggiori tragedie del mondo attuale è che «l’uomo si è stancato di se stesso».[4]

L'anthropos è senza dubbio una tra le numerose specie esistenti sul Pianeta; tra esse rappresenta la coscienza e si differenzia per la sua capacità di riflettere in termini metempirici. Egli sa intuire la Realtà come coniunctio oppositorum e cioè quale Intelligenza totale, trascendente e immanente ad un tempo. Se si rimuovono l’Intelligenza, la coscienza e il Sovrasensibile, l’esistenza si trasforma in un deserto squallido e disperante. Soltanto un folle, affatto malcontento del suo modo di stare con se stesso, può decidere di rinchiudere i propri orizzonti entro i confini angusti di un radicale agnosticismo.

La Natura naturans che sostiene il cosmo non è una forza cieca, ma espressione dell’Intelligenza alla quale si è testé accennato. Kosmos vuol dire “ordine”, e dove c’è ordine c’è intelligenza. “Cosmocentrismo” (espressione cara a molti rappresentanti dell’ecologia profonda e opposta ad antropocentrismo) significa dunque porre al centro l’Intellettibile da cui procede il molteplice. E poi, anche qualora simili dottrine fossero elaborazioni artificiose e opinabili, finalizzate all’auto-conforto, una cosa è certa: l’uomo necessariamente ama (l’odio non è che una diminuzione sfigurante dell’amore) e aspira a svelare l’Assoluto non oggetto di conoscenza mentale o sensoriale, sotteso al divenire. Non saranno dunque aride riflessioni di tipo scientistico a trasformare il breve arco dell’esistenza umana in un omaggio armonico alla totalità, bensì la riflessione sull’Ineffabile che la permea, ovvero l’ascolto della Voce del Silenzio oltre la mente.

Parrà una contraddizione: l’estensore delle presenti note, pur ritenendo certa la fine di questa civiltà sovvertita e corrotta, non si comporta da disfattista, ma cerca puntualmente di adeguarsi all’adagio latino: «Ex malis eligere minima», ovvero: fra i mali si deve scegliere il minore. Perciò egli esercita il proprio “diritto” al voto (non per il prossimo referendum inutile), cercando di privilegiare quei movimenti politici che si oppongono anche solo parzialmente alla rovina immediata, non certo indolore. Nella casa in cui vive ci sono cinque giovani, ragazzi e ragazze, i quali, pur essendo stati discretamente educati all’autonomia del pensiero, non possono fare a meno di smartphone e computer, dai quali sono rimasti affascinati, subendo in parte, senza accorgersene, il plagio mediatico. Spesso parliamo insieme ed è innanzitutto per loro che cerco di promuovere il perseguimento del minimamente accettabile, orientandoli per quanto possibile verso il pensiero profondo, l’amore per la cultura classica e per i lavori agricoli. In tutta onestà, alcuni validi risultati lasciano ben sperare.

In conclusione, non penso possa esservi ribellione alla barbarie tanto efficace quanto il rimettere al loro giusto posto i vari momenti esistenziali secondo una gerarchia sapienziale immutabile: ante omnia va collocata la speculazione metafisica, o quanto meno una autentica religio, cui è dato accedere con l’Intelligenza del Cuore. Questa non ha niente di emozionale o di sentimentalistico, piuttosto rimanda a un prendere dentro di sé o, meglio, a un trovare nel Cuore, appunto, centro della coscienza, gli enti che ci circondano, giacché abbiamo in comune con tutti l’Essere. Financo il peggior assassino – la cui libertà andrà limitata o che, in casi di estrema necessità, andrà ucciso – non potrà essere odiato, pena l’esecrare la verità che ci sostanzia e che al Manifesto intero ci accomuna.

Alcune vie di emancipazione dalla schiavitù esistono, bisogna solo liberarsi dalla miopia e saperle vedere. La schiavitù esterna è spesso il riflesso di quella interna, perciò occorre cominciare a risolvere la seconda. Impegnarsi a spezzare la catena con la quale un aguzzino immobilizza il nostro braccio sinistro è una buona cosa; nondimeno ciò servirà a ben poco se il braccio destro resterà immobilizzato alla parete con un ferro di cui noi teniamo in pugno la chiave senza utilizzarla.

 

 

 

 

 

 

 



[1] Dhammapada, Puppha vagga, 47, To 1967.

[2] Le citazioni di Berdjaev sono tratte da Pensieri controcorrente, Mi 2007.

[3] Eleusis e Orfismo, Mi 2017, p. 463.

[4] Op. già cit.