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Un centenario ignorato

di Simone Torresani - 22/03/2017

Un centenario ignorato

Fonte: Il giornale del Ribelle

 

 

 

Non esiste giornata, nel calendario odierno, in cui non ci sia la commemorazione o il ricordo di qualcuno o qualcosa: dalle vittime del terrorismo e di mafia passando per le varie giornate anticancro, antisclerosi multipla, antirazzismo, antifascismo, ogni scusa è buona per celebrare il nulla retorico. Eppure in questa orgia di celebrazioni spicca l'assenza plateale di un anniversario non indifferente, i cui riflessi hanno contribuito -e non poco!- a plasmare il mondo attuale. Stiamo parlando del centesimo anniversario della "Rivoluzione di Febbraio" (che per il calendario giuliano cadde a marzo) che fece ruzzolare lo zarismo in Russia, preludio alla più ben nota "Rivoluzione d' Ottobre", l'"assalto al cielo" che portò alla costruzione dello Stato Sovietico. Si potrebbe obiettare che ottobre 2017 è ancora lontano, ma senza le giornate di febbraio l'ascesa dei bolscevichi al governo non sarebbe mai avvenuta: la Rivoluzione russa fu, per l'appunto, l'unione di due avvenimenti fondamentali nello stesso anno, l'uno all' altro legati.

 

Vi stupite della cosa? Noi no, perchè la "damnatio memoriae" del sistema imperante del Capitalismo Assoluto è in atto. E poiché il socialismo scientifico ed il comunismo furono nient' altro che la coscienza infelice della borghesia legata al capitalismo, poichè il sistema comunista è stato totalmente rottamato e annullato, ormai uno spauracchio mitologico per le élites al potere, tanto vale rimuoverlo. Si sa che lo studio del passato e specialmente del pensiero filosofico è dannoso al Sistema imperante, non per altro la tendenza è di comprimere nei programmi di studio le materie umanistiche: fanno pensare troppo, meglio liquidarle. Cent' anni dopo il preludio alla "ouverture" che portò alla applicazione duratura delle teorie socialiste e comuniste, cosa possiamo concludere noi?

 

È lecito sperare anche oggi in una coscienza infelice della struttura di sviluppo capitalista oppure in una contraddizione -per usare termini marxiani che paiono desueti invece sono tremendamente attuali- delle forze insite nella struttura stessa, che generino alla lunga un cambio di paradigma? Entrambe le risposte sono purtroppo negative. Non possono esistere coscienze infelici in un capitalismo che, con una seconda rivoluzione meno cruenta ma dieci volte più letale, nel 1968, portò il capitalismo stesso a separarsi dapprima e a divorare poi la borghesia.   Il sistema attuale avrebbe potuto venir intaccato da tutto l'insieme dei valori di cui la borghesia fu depositaria stessa e che fanno a pugni con il mondo globalizzato, ultratecnologico, mondialista, anarco-capitalista: il senso dell'onore, il culto della famiglia, la sobrietà, la serietà, la rigidità dei costumi sessuali, il rispetto delle gerarchie e mettiamoci pure un certo buon gusto estetico nelle arti. Seppur antiborghese, il comunismo -scisma della Chiesa Capitalista come il luteranesimo e il calvinismo furono scismi del Cattolicesimo- fu un fenomeno squisitamente borghese. Tutti i pensatori socialisti utopisti e scientifici, da Owen a Fournier a Marx ad Engels e allo stesso Lenin provennero da famiglie più o meno borghesi. Gli operai, le "masse" (come si soleva dire) furono semplicemente trascinate da queste borghesi teste pensanti. Il "Capitale" e il "Che fare?" lo scrissero gli intellettuali borghesi, non di certo gli operai delle Officine Putilov o della Krupp. Tra i mentori della prima generazione della costruzione dello Stato Sovietico, l'unico membro delle classi basse fu un certo Stalin (tra l'altro parrebbe che Lenin prima di morire non ne disse proprio bene del figlio di calzolai di Gori…): i Krusciov e i Ceausescu vennero in un secondo tempo. Con un "turbocapitalismo" che ha abbracciato la finanza a discapito dell’ industria -e di conseguenza della "classe operaia", ormai sparita in Occidente, minacciata dai robot e dall' automazione in Oriente- e la distruzione dei vecchi valori borghesi, che a sua volta sostituirono e/o si fusero a quelli aristocratici e feudali, non vediamo proprio alcuna forza in grado di mettere in discussione la baracca. Poca, pochissima se non scarsissima fiducia pure nelle "vie alternative"( o "terze vie" o qual si voglia chiamarle) che stringi stringi altro non sono che deviazioni o esperimenti dei due lati della stessa medaglia degli ultimi due secoli e mezzo: capitalismo e comunismo.

 

Parafrasando Lenin, allora… che fare? Ben poco, se non stare in una vigile attesa: il capitalismo attuale morirà non per cause endogene ma esogene. Saranno i fattori esterni, i limiti dello sviluppo, le risorse finite del Pianeta, la rescissione del legame tra Uomo e Biosfera, la devastazione selvaggia ambientale e altro a fare collassare il tutto come un castello di sabbia sulla riva del mare. Vigilare, vivere ancora in maniera umana, agire con rettitudine e con gli antichi valori universali, essere "con un occhio solo in una terra di ciechi"(per citare una bella frase biblica), agire con una rivoluzione interiore in noi stessi e osservare gli avvenimenti senza mai entrare nel flusso del pensiero dominante ma restandone nel limite del possibile sempre all'esterno- soprattutto come stili di vita e pensiero. Ad ogni civiltà collassata ne è sempre nata un'altra, in ogni epoca e molte volte senza che si fossero scritti trattati o dogmi. Vigiliamo e restiamo pronti a quel momento.