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Un sussulto di sovranità

di Stefano De Rosa - 11/05/2020

Un sussulto di sovranità

Fonte: Italicum

 

 Il 5 maggio 2020 la Corte costituzionale tedesca, Bundesverfassunsgericht (Bvg), ha emesso una sentenza in merito alla legittimità delle operazioni di acquisto del debito pubblico degli Stati della zona euro, meglio conosciute come quantitative easing, poste in essere dalla Banca centrale europea al fine di calmierare le dinamiche rialziste dei tassi e le conseguenti spinte speculative dei mercati finanziari.

 Nella pronuncia, i giudici di Karlsruhe, città dove ha sede il Tribunale, hanno stabilito, per la prima volta nella storia, che la Corte europea di giustizia (Ecj), con sede in Lussemburgo, nell’emettere nel 2018 una sentenza sull’acquisto del debito pubblico (pur confermando il non aggiramento del divieto di finanziamento dei deficit nazionali), travalicò l’ambito delle sue competenze, poiché – secondo la Bvg – gli acquisti sono legittimi solo se vengono rispettate determinate soglie e non oltrepassati certi limiti istituzionali. Hanno, inoltre, disposto che quella sentenza illegittima non è applicabile in Germania e concesso tre mesi di tempo alla Bce per giustificare i suoi acquisti di titoli sovrani.

 La portata della sentenza tedesca è stata dirompente. C’è stato – almeno in Italia – chi ha parlato di terremoto, chi di dinamite, chi di colpo terribile al sistema euro. Procediamo con ordine. Occorre innanzitutto premettere che competente a giudicare l’attività della Banca centrale europea è la Ecj di Lussemburgo.

 

Alcuni anni fa il Tribunale costituzionale tedesco chiese alla Corte europea di giustizia di esprimersi sul programma di acquisto del debito pubblico da parte della Bce presieduta da Mario Draghi relativo all’anno 2015. La Corte lussemburghese emise la sentenza pronunciata in via pregiudiziale nel dicembre 2018. I suoi giudici si astennero circa il merito delle decisioni adottate dalla Bce e circoscrissero il giudizio alla forma, reputando giusti gli obiettivi perseguiti dal programma di acquisto del debito pubblico, senza, dunque, entrare nel merito degli effetti economici di quelle decisioni.

 A distanza di  quasi un anno e mezzo la Bvg ha deciso che la Banca centrale europea può comprare debito solo se dimostra e giustifica scrupolosamente la proporzionalità tra l’aspetto monetario dell’operazione e i suoi effetti economici. In difetto di questa relazione proporzionale, cioè se la Bce sconfina nell’ambito della politica economica, la Bundesbank – la Banca centrale tedesca – non parteciperebbe più a piani di acquisto ritenuti illegittimi, viziati da eccesso di potere (ultra vires).

 Con la sentenza del 5 maggio, secondo la Corte di Karlsruhe, sia la Banca centrale europea sia la Corte di giustizia europea hanno agito al di là delle rispettive competenze, finendo per erodere sovranità allo Stato tedesco. E per questo dichiarando inapplicabile in Germania la pronuncia del 2018. O almeno sospendendo il giudizio fino al prossimo mese di agosto.

 La reazione dell’Unione europea non si è fatta attendere. È di pochi giorni fa la risposta della Corte europea di giustizia secondo la quale “in base a una giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia, una sentenza pronunciata in via pregiudiziale da questa Corte vincola il giudice nazionale per la soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente”, e che “per garantire un’applicazione uniforme del diritto dell’Unione, solo la Corte di giustizia, istituita a tal fine dagli Stati membri, è competente a constatare che un atto di un’istituzione dell’Unione è contrario al diritto dell’Unione”. Non solo: “Eventuali divergenze tra i giudici degli Stati membri in merito alla validità di atti del genere potrebbero compromettere l’unità dell’ordinamento giuridico dell’Unione e pregiudicare la certezza del diritto Al pari di altre autorità degli Stati membri, i giudici nazionali sono obbligati a garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione. Solo in questo modo può essere garantita l’uguaglianza degli Stati membri nell’Unione da essi creata”.

 È del 10 maggio la notizia che la presidente tedesca della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in una lettera di risposta ad un deputato verde inviata con valenza simbolica il 9 Maggio, anniversario dell’atto di nascita dell’Europa comunitaria, ha rincarato la dose affermando che la Commissione sta valutando una procedura di infrazione contro la Germania. Fin qui i fatti.

 Subito dopo la diffusione dell’esplosiva sentenza della Corte costituzionale tedesca tutti i commenti dei media e le dichiarazioni del mondo politico ed economico hanno condiviso un monotono registro: la condanna unanime e senza appello della Corte federale basata su un unico criterio interpretativo, quello della Germania potenza predominante nell’area euro ed espressione delle virtù monetariste. A nostro avviso la questione potrebbe risultare più complessa ed implicare la considerazioni di ulteriori interessanti elementi.

 Limitarsi ad inquadrare la sentenza di Karlsruhe all’interno di una cornice di esclusivo rigore economico – con effetti peraltro amplificati dal punto di caduta temporale della decisione in piena emergenza finanziaria da coronavirus – finalizzata all’esercizio di un dominio egemonico tedesco sull’Europa rischierebbe di rivelarsi parziale e non capace di cogliere, invece, aspetti politicamente più rilevanti del giudizio dei magistrati costituzionali tedeschi.

 La forza della provocatoria sentenza consiste nell’aver clamorosamente denunciato la scarsa legittimazione democratica delle istituzioni europee. Essa ha strappato il velo di ipocrisia che ammanta il potere putativo dell’Unione europea, con un parlamento poco più che simbolico, una commissione ridotta a stanza di compensazione di aree geografiche ed interessi governativi ed un consiglio bloccato dai poteri di veto e di quorum. L’unico centro autonomo di sovranità europeo ha sede a Francoforte. Ed è lì che il giudice di Karlsruhe ha colpito per palesare il vulnus democratico unionista.

 Chi scrive ha sempre sostenuto – e sostiene ancora – le politiche di quantitative easing, fin dai tempi, dieci anni fa, in cui queste furono perseguite dalla Federal Reserve statunitense. Indubbio è il beneficio per i conti del Tesoro e l’ostacolo per le aggressioni speculative. In Italia il ricordo dell’attacco del 2011 era ancora vivo nella carne e nella memoria di chi aveva appena visto calpestare la democrazia parlamentare quando, nel luglio del 2012, venne pronunciato il famoso whatever it takes di Draghi che pose fine alla dittatura dello spread.

 La questione posta il 5 maggio sul QE non può essere solo finanziaria, il punto non è se gli interventi della Bce da monetari sconfinino nel campo della politica economica o fiscale degli stati nazionali. Il nodo è politico ed attiene alla sfera della sovranità nazionale, che uno stato serio non può vedersi sottrarre da un trattato internazionale, da una sentenza sfavorevole, dalla sovversione della gerarchia delle fonti o dallo spirito del tempo. Ma che ha il dovere di difendere fieramente da antistoriche tentazioni federaliste. Nella sentenza di Karlsruhe si colga allora la capacità di produrre pensiero critico, non sottoposto all’uniformità di giudizio. E si intraveda in essa un cammino di fecondo dissenso politico. Nazionale e popolare.