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Può la barca affondare l'acqua? Scene di miseria dalle campagne cinesi (recensione)

di Edoarda Masi - 03/04/2007

Edita da Marsilio, l'inchiesta di Chen Guidi e Wu Chuntao «Può la barca affondare l'acqua?» mette l'accento sulla corruzione delle autorità locali, sottovalutando le pesanti responsabilità di Pechino


Nel 2003 i giornalisti Chen Guidi e Wu Chuntao pubblicarono una «Inchiesta sui contadini cinesi» (Zhongguo nongmin diaocha) da loro condotta per tre anni nello Anhui. Il libro - un esempio fra i tanti dell'attività di giornalisti indipendenti, avvocati e studiosi che, pur fra mille difficoltà e qualche rischio personale, hanno deciso di mettersi «al servizio del popolo» - ebbe subito un grande successo e compare ora anche in Italia in una traduzione (dall'americano) col titolo Può la barca affondare l'acqua? Vita dei contadini cinesi (Marsilio 2007, pp. 237, euro 15).
Al centro dell'opera, in realtà, non sono le condizioni di vita dei contadini in generale, quanto gli abusi praticati in una delle regioni rurali più povere, in particolare rispetto alla pratica delle tassazioni illegali. Ma al di là del tema specifico (in gran parte superato, dal momento che le tasse sul reddito agricolo sono state soppresse), dall'inchiesta emerge un quadro di sopraffazione intollerabile da parte dei burocrati locali e di resistenza ostinata e coraggiosa dei contadini, che getta luce sulla situazione dell'intera fascia rurale - circa due terzi della popolazione cinese.
Gli abusi nella riscossione delle tasse non sono un fenomeno nuovo nella Cina rurale: anzi, evocano inevitabilmente quanto è avvenuto nel corso dei lunghi secoli della Cina imperiale, quando la base principale dell'economia era la rendita agraria e i liberi coltivatori erano soggetti alle angherie della classe dirigente locale. Fenomeni come questi - intrinseci all'esercizio di una gerarchia dispotica di cui proprietari e funzionari locali erano fra gli ultimi anelli - venivano però condannati come violazione dell'ordine morale confuciano, così come dell'ordine politico (il potere dello stato imperiale), ed erano indicati fra le cause della «perdita del mandato» e della caduta delle dinastie. La grande rivoluzione dello scorso secolo, che ha liberato i contadini dal peso della proprietà terriera, ha stabilito un nuovo mandato: non ha cancellato nel popolo una visione del mondo dove politica e morale sono intrecciate, e lo stato e i suoi funzionari fungono da garanti del bene comune. La bandiera rossa davanti alla quale i contadini dello Amhui si inginocchiano in piazza Tian'anmen, in un episodio di questo reportage, è simbolo del nuovo patto. La morale-politica è centrale nelle coscienze dei contadini, e anche degli autori del reportage, nella forma della tradizione ora fusa con elementi nuovi, in primo luogo il riferimento al comunismo.
Pur contenendo una verità, questa coscienza comune può ostacolare la comprensione piena della realtà attuale. Sembra perduta la memoria delle lotte politiche e teoriche dei primi trent'anni: la causa dei mali viene attribuita moralisticamente alla condotta degli individui, e sembrano ripetersi, in una antica e perenne maledizione, le condizioni di ricchezza e povertà, di soggezione e sopraffazione. L'intero periodo della Repubblica popolare appare qui senza storia, così che si cade in contraddizioni inevitabili. Nel capitolo «Breve storia del carico fiscale dei contadini cinesi», si rileva correttamente che dagli anni Cinquanta l'accumulazione del capitale avvenne a carico dell'agricoltura, ma si dà una versione forzata (vicina a quella oggi ufficiosa) della prima collettivizzazione in cooperative, omettendo però che, nel conflitto politico ai vertici del partito che l'accompagnò, la fazione favorevole all'accumulazione forzata era quella contraria alla collettivizzazione. E non si ricorda che il grande balzo (un grave errore, che portò alla carestia) avrebbe avuto come scopo il superamento dell'abisso che divideva i contadini dal mondo urbano. Anche le comuni agricole vengono presentate in termini del tutto negativi, ma nel capitolo «Tanti cappelli da funzionario», l'amministrazione locale nei primi trent'anni della Repubblica popolare viene invece descritta realisticamente, e positivamente, riconoscendo che lo smantellamento delle comuni segnò l'inizio del disastro.
Contrapponendo ai malvagi funzionari locali il moderno imperatore garante dei diritti (l'irraggiungibile Pechino), si nasconde il fatto che nell'ultima ventina d'anni al decentramento verso le unità produttive è stato sostituito, ad opera della dirigenza centrale, il decentramento verso le amministrazioni locali. E proprio grazie al confluire degli interessi degli amministratori locali con quelli del capitale privato interno e internazionale, si sono compiuti passi da gigante verso quel passaggio al neoliberismo che l'amministrazione centrale ha inteso favorire pur senza assumerlo in proprio. Lo sfruttamento estremo della mano d'opera nelle zone rurali non è la ripetizione di un antico male né un fenomeno residuale, ma la condizione primaria per i brillanti risultati del «socialismo di mercato».
È paradossale che a non rendersi conto di questa situazione siano degli intellettuali cinesi, quando proprio in Cina, negli anni Sessanta e Settanta, il conflitto fra le classi nel periodo «postmoderno» si era manifestato per la prima volta in forma esplicita. Nella critica al «socialismo reale» dell'Urss, che tendeva a ripetersi in Cina, i comunisti cinesi dell'ala sinistra avevano individuato la figura della classe in cui il capitale si incarna in coloro che lo gestiscono, piuttosto che in proprietari privati puramente nominali. L'assunzione della logica del capitale da parte dei suoi gestori, inclusi gli amministratori pubblici e statali, era apparsa chiara e aveva condotto a una frattura radicale fra i comunisti.
Morto Mao Zedong, la fazione dei dirigenti «sulla via del capitalismo» ebbe la meglio. Finché, un passo alla volta, proprietà e gestione privata e pubblica tendono a coincidere - ma nello smarrimento delle coscienze, di fronte alla drammatica contraddittorietà fra un regime che fa riferimento a una cultura politica socialista e la realtà di una strada, imboccata da tempo, che va in tutt'altra direzione. Nonostante la buona fede, mettere l'accento sulla corruzione degli amministratori locali in contrapposizione alle buone direttive del «centro», è un escamotage che cela carattere e funzione strutturali di comportamenti che formalmente appaiono come angherie. La ripetizione apparente di forme di oppressione proprie di sistemi di potere del passato, quali la tassazione abusiva (opportunamente corretta dal potere centrale) è solo uno dei casi in cui pratiche tradizionali sono acquisite e rese funzionali a fini «moderni» o postmoderni. Non dissimili da quelli propri dei luoghi ritenuti più «avanzati».