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Varianti del nichilismo incarnate nei personaggi di Dostoevskij (recensione)

di Mario Pezzella - 06/04/2007

Un saggio di Sergio Givone per Laterza sulla Weltanschauung del grande scrittore russo

È concepibile una decisione morale se Dio non esiste? È l'interrogativo di molti personaggi di Dostoevskij, e in particolare di Ivan Karamazov, come ricorda Sergio Givone nel suo libro, Dostoevskij e la filosofia (Laterza). L'inesistenza di Dio è provata, secondo Ivan, dalla sofferenza gratuita e inutile delle creature e in particolare di quelle più innocenti, i bambini.
Simile alla concezione nietzschiana del nichilismo, quella di Dostoevskij giunge però a un esito diverso, componendosi di tre elementi decisivi. Intanto, lo splendore dell'istante, che caratterizza la sua estetica, e che è espresso in primo luogo da Kirillov, nei Dèmoni: se Dio non esiste, ogni istante è affidato irreversibilmente alla sua unicità e caducità, confrontato immediatamente con la sua prossima morte. Di fronte al destino che lo sovrasta e lo cancella, ogni istante - anche il più doloroso - assume allora il fascino dell'irrevocabile, una giustificazione che rende superfluo ogni rinvio a un senso della vita, al di là della vita stessa. Il secondo carattere è la decisione senza fondamento, variante etica del nichilismo espressa soprattutto da Raskolnikov, in Delitto e castigo. Se non c'è più senso della vita oltre la vita stessa, allora siamo noi a creare qui e ora il senso del presente, con la nostra azione. Nulla può orientarci verso un contenuto piuttosto che un altro: conta piuttosto l'efficacia e l'energia della risoluzione, la volontà di potenza che essa è capace di esprimere. Come la decisione di cui parleranno Schmitt e Jünger, «immediatamente, la decisione vuole se stessa. Il suo contenuto le è indifferente» - scrive Givone.
Quanto al piano teoretico-politico, un ulteriore aspetto del nichilismo sta nel totalitarismo. La sua descrizione più compiuta si trova nella leggenda del Santo Inquisitore, raccontata nei Fratelli Karamazov. Se non c'è più alcun Dio, e dunque alcuna redenzione dal dolore presente, questo mondo diviene infinitamente mutabile e manipolabile: l'uomo senza Dio può concentrarsi nella creazione di uno Stato o di una Chiesa, compiutamente immanenti, da cui sia esclusa la causa maggiore di ogni infelicità: il tragico peso della libertà, la possibilità di compiere il male piuttosto che il bene. Infine, c'è una versione debole e derivata del nichilismo, quella esposta da Versilov nell'Adolescente, che Givone definisce «un cimiteriale rapporto con la tradizione», dove si dà per scontato il fallimento delle altre forme di nichilismo, mostrato da Dostoevskij a conclusione della parabola dei suoi personaggi: lo splendore dell'istante è un fantasma che coincide con l'imminenza del suicidio e della malattia; la decisione infondata si rivela in realtà sorretta da una inconsapevole coazione a ripetere; lo stato totalitario si afferma come regno del Terrore. Di fronte a ciò, Versiliov si rifugia nella contemplazione malinconica e disincantata del passato, sperando che la riconosciuta insensatezza del mondo porti almeno allo stemperarsi dei conflitti e a una accettazione pacifica della mediocrità umana. Il senso della vita non c'è, può essere solo decostruito quando pretende di presentarsi come tale: ma la soluzione «debole» di Versilov è solo una pausa di stanchezza, che prelude al ripresentarsi ciclico delle altre forme di nichilismo e della sua ratio fondamentale: la manipolabilità illimitata e arbitraria del vivente.
Secondo Givone, il fallimento del nichilismo è mostrato da Dostoevskij non meno del suo dispiegamento, e dipende dalla cancellazione di ogni senso dell'alterità e del possibile. L'istante eternizzato di Kirillov, la decisione infondata di Raskolnikov, lo Stato totalitario di Sigalev, suppongono un abbandono radicale alla situazione e all'essere nella sua attualità inalterabile. Che si può manipolare e mutare indefinitamente, nella sua sempre uguale opacità. Protesta estrema e radicale di questa alterità è la fede di Dostoevskij in un Dio che assuma radicalmente su di sè il carico dell'oscurità e del male; fino a laciar supporre un fondo oscuro e antinomico nella sua stessa essenza, una compresenza del male e della libertà nella sua stessa natura.
Il più enigmatico dei personaggi di Dostoevskij, il principe Myskin dell'Idiota, viene paragonato in alcune note preparatorie e in qualche lettera di Dostoevskij a Cristo stesso; ma anche a Don Chisciotte. Sembra animato da una forza che pur volendo costantemente il bene, produce immancabilmente il male. Nonostante la sua assoluta bontà, o forse proprio perciò, il principe Myskin non può evitare la catastrofe che colpisce tutte le altre figure del romanzo. La sua non-violenza, la sua incapacità ad assumere la più lieve colpa, la sua radicale forma di non resistenza al male, si traducono paradossalmente nell'accettazione dell'accadere in tutta la sua negatività. Anch'egli è affascinato dallo «splendore dell'istante», che però gli viene concesso unicamente dalla malattia di cui soffre. Privo di colpe, egli è però anche incapace di un'azione responsabile, che potrebbe interrompere la catena fatale degli eventi.