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The iranian job.

di Attilio de Castris - 15/04/2007

La tv iraniana mostra la visita medica del diplomatico sequestrato a Baghdad che accusa la Cia
 
 
Nell'infuocato dibattito parlamentare sui retroscena del sequestro Mastrogiacomo del 12 aprile scorso, il ministro degli Esteri italiano Massimo D'Alema ha citato il silenzio che, in altri paesi, avvolge eventuali trattative per ostaggi all'estero. Il riferimento, seppur implicito, era diretto alla liberazione dei 15 marinai britannici arrestati dai pasdaran iraniani il 23 marzo scorso nello stretto dello Shatt el Arab e liberati il 4 aprile scorso.

il diplomatico iraniano jalal sharafiUn mistero irrisolto. A prima vista non si coglie il collegamento tra due episodi così differenti, ma un nesso esiste, e ruota attorno alla figura di Jalal Sharafi, segretario dell'ambasciata iraniana in Iraq. Il diplomatico era stato rapito il 4 febbraio scorso, mentre faceva spese a Baghdad. Un commando armato, che secondo Sharafi mostrava tesserini di riconoscimento del ministero della Difesa iracheno, lo aveva prelevato con la forza e di lui si era persa ogni traccia. Nessuna richiesta di riscatto era mai stata presentata. Sharafi ricompare all'improvviso, il 3 aprile scorso, un giorno prima della liberazione dei militari britannici. Una coincidenza? Non sembra proprio, anche se a livello ufficiale il premier britannico Tony Blair ha smentito qualsiasi scambio con Teheran e il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha definito il rilascio “un regalo personale al popolo britannico”. In realtà sembra che la storia sia andata diversamente, e il commento caustico di D'Alema sembra confermare la tesi dello scambio: la liberazione di Sharafi in cambio di quella dei militari. Sharafi, il 7 aprile, ha dichiarato di essere stato rapito e torturato dalle forze Usa in Iraq, con la complicità dei servizi segreti iracheni. “Mi hanno portato in una base militare, vicino all'aeroporto. Alcuni agenti della Cia - ha dichiarato il diplomatico - facevano domande sull'influenza dell'Iran in Iraq, e volevano avere notizie sugli aiuti di Teheran al governo di al-Maliki, ai gruppi sciiti, sunniti e curdi. Quando ho parlato loro delle relazioni ufficiali tra i governi iraniano e iracheno, mi hanno torturato ancora più duramente, giorno e notte”.

i 15 militari britannici dopo la liberazioneMossa e contromossa. Sharafi ha concluso il suo racconto dichiarando di “essere venuto a sapere che, grazie alle pressioni delle autorità irachene, dovevano liberarmi”. Poco dopo, ha aggiunto, è stato lasciato libero vicino all'aeroporto di Baghdad, da dove ha poi raggiunto l'ambasciata iraniana.
Il 13 aprile scorso, la televisione di Stato iraniana ha trasmesso le immagini della visita medica alla quale la Croce Rossa Internazionale ha sottoposto Jalal Sharafi, alla presenza dell'ambasciatore iraniano in Iraq. Peter Stocker, il medico che ha esaminato il diplomatico iraniano, ha dichiarato che Sharafi portava sul corpo i segni di una lunga detenzione, compresi quelli delle catene che lo tenevano prigioniero. “Non posso dire dov'è accaduto e chi l'ha fatto”, ha commentato Stocker, “posso solo confermare le violenze subite durante la prigionia”. Il medico iraniano di Sharafi ha rincarato la dose, dichiarando di aver riscontrato evidenti segni di torture sul suo assistito: lesioni ed emorragie interne, oltre a una frattura la naso. Stocker non si è spinto così in là, e le immagini non riescono a chiarire quello che è accaduto. Gli Stati Uniti, nel caso di Sharafi e in quello di altre misteriose sparizioni che negli ultimi tempi hanno riguardato militari e diplomatici iraniani, hanno sempre negato qualsiasi coinvolgimento. Il legame tra la liberazione di Sharafi e quella dei militari britannici resta tutto da dimostrare, ma lo scacchiere mediorientale appare sempre più complesso, nel quale i sequestro sembrano uno strumento diplomatico come gli altri.