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Italia terra di conquista

di Paolo Emiliani - 20/04/2007

 


Da un po’ di anni a questa parte in Italia si è diffuso un nuovo culto, quello della “privatizzazione”. La gente è stata bombardata di messaggi tutti nella stessa direzione: privato è bello e pubblico è brutto, anzi bruttissimo.
La parola “utente” è stata di fatto cancellata dal vocabolario, sostituita da “cliente” e la gente ha creduto, almeno per un po’, che bastasse questo per pagare meno i servizi un tempo pubblici e per vedere migliorata la qualità del servizio offerto.
Nulla di più sbagliato.
Facciamo qualche esempio in un settore oggi nell’occhio del ciclone, la telefonia.
La nazionalizzata Sip (unificare e portare sotto il controllo dello Stato i gestori telefonici fu veramente un successo) forse non brillava per tempestività nella fornitura di nuovi allacci, ma la tecnologia del tempo era quel che era ed in fondo in nessuna parte del mondo le cose andavano molto meglio.
Sip però garantiva a tutti il servizio pubblico ed a tutti con lo stesso costo di allaccio, sia agli abitanti delle metropoli sia a quelli che vivono in cima ad una montagna. Stesso discorso per la telefonia pubblica. Non esisteva località, nemmeno la più sperduta, che non avesse la sua cabina telefonica o comunque un telefono pubblico magari allocato nell’unico esercizio commerciale del paese. Appena avviata la privatizzazione si manifestarono i primi inquietanti segnali.
I telefonici pubblici poco remunerativi scomparvero rapidamente, con la scusa che ormai esisteva il telefonino, anche nelle scuole, negli ospedali, nei centri anziani. Chi lo voleva doveva garantire un giro d’affari minimo, poi non tanto minimo.
Per i nuovi allacci di telefonia fissa si passò poi a costi proporzionali alla lunghezza della nuova rete da costruire. Un tanto al metro e se sei una vecchina in pizzo ad un monte poco importa, pagare o niente telefono.
La vecchia Sip era un’azienda del Gruppo Stet, a sua volta inserito nel gruppo IRI e sia come Sip sia poi come Telecom ha sempre cercato di conquistare una dimensione internazionale nella consapevolezza che nel mondo ci fosse spazio solo per un certo numero di grandi gestori internazionali: due sicuramente americani, almeno uno asiatico e due europei. Sip era in grado di gareggiare da pari a pari con France Telecom, British Telecom e Deutsche Telekom (di proprietà del ministero delle poste tedesco), in posizione infinitamente superiore a quella della Telefonica spagnola. Sip (e Stet) investiva all’estero, acquisendo la gestione di reti importanti in Europa (per esempio Grecia ed Ungheria) e nel resto del mondo (come Cuba, Brasile, Argentina). Oggi la privatizzata Telecom rischia di passare addirittura sotto il controllo di una società telefonica messicana. Insomma, mentre un tempo l’Italia guardava ai mercati da conquistare oggi è diventata terra di conquista per gli altri ed anzi, proprio come un Paese del Terzo Mondo, invita gli stranieri a venire in Italia.
Il presidente del consiglio, Romano Prodi, ha annunciato ieri, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il presidente sud-coreano Roh Moo-hyun, l'intenzione del suo governo di mettere a punto un programma per agevolare l'arrivo di aziende straniere in Italia. C’è allo studio “un programma organico per favorire investimenti stranieri” ha detto il Professore.
L'obiettivo del governo è favorire investimenti stranieri del tipo 'green field', cioè volti a installare con capitale straniero aziende in Italia. Sui tempi ancora non ci sono decisioni prese, ma l'idea è che il pacchetto debba vedere la luce già nei prossimi mesi.
La logica mondialista fa però privilegiare gli investimenti laddove il costo del lavoro è più basso e le garanzie sindacali modeste. Cosa altro hanno in mente questi sinistri governanti?
Per invogliare i capitali sud coreani cosa altro Prodi pensa di combinare agli italiani?
Bisogna tornare alle nazionalizzazioni. Subito, prima che sia troppo tardi, con buona pace dei pescicani della finanza di tutto il mondo.