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Grande distribuzione rapace

di Lello Ragni - 21/04/2007

 

Da tempo la diffusione dei centri commerciali, collegati ai grandi conglomerati multinazionali, sta attuando la distruzione sistematica dei piccoli esercizi situati nei centri storici o lungo la strada o sotto casa nostra. A parte qualche centesimo in meno sui principali beni di largo consumo, non ci sono sostanziali vantaggi per i consumatori. Anzi, subendo il meccanismo di induzione al consumo - pubblicità subliminare, attraente disposizione delle merci sugli scaffali, presunti sconti tipo 3x2 - la gente finisce per comprare cose che non aveva nella lista della spesa, per cui finisce con lo spendere più del previsto senza accorgersene se non a fine mese.
L’Iperion è uno di queste megastratture. Inaugurato nel 2002 a Caserta nel quartiere Cerasola, in un’area destinata a verde pubblico e spazi sportivi, è un caso emblematico di come la volontà popolare sia sacrificata agli interessi clientelari della precedente giunta di centrodestra, il cui operato è stato prima debolmente osteggiato ed alla fine ipocritamente avallato dalla stessa sinistra, che ora governa la città.
Riepiloghiamo la prima fase della vicenda iniziata nel 1997: 1) la società Iperion ottiene dalla giunta di centrosinistra una concessione edilizia su un suolo attraversato da una strada prevista dl Piano Regolatore (Prg) di cui si impegna a rispettarne il tracciato. La successiva giunta di centrodestra concede una serie di varianti in corso d’opera. Viene costruita una strada sinuosa soltanto a titolo provvisorio, dapprima illuminata a spese del Comune e poi diventata definitiva; 2) ad un primo sopralluogo il Comune certifica che parte dei lavori realizzati sono abusivi. Non ne ordina l’abbattimento, ma concede alla società una sanatoria; 3) tramite convenzione vengono cedute al Comune tutte le aree esterne al centro commerciale, compreso alcuni campi di calcetto. Con una variante al piano regolatore, questi campi vengono trasformati in parcheggi e vanno a collocarsi sul tracciato rettilineo della strada all’origine prevista dal Prg; 4) perdurando i lavori di costrizione del complesso, è concessa l’agibilità parziale di una sua parte senza che siano allegati né il parere igienico dell’ASL, né quello sanitario, né quello dei vigili del fuoco. Segue l’autorizzazione all’apertura del supermercato Famila e viene trasferita nei locali dichiarati agibili la licenza commerciale dell’Upim, licenza decaduta ed illegittimamente prorogata per ben 4 anni. Si giunge a tanto nel 2001, nonostante nel frattempo la legge 114/1998 abbia imposto una moratoria nei confronti dei centri commerciali e la legge regionale 1/2000 abbia disciplinato ex novo la procedura amministrativa per la loro apertura, prevedendo una vera e propria fase paraconcorsuale, con la necessità di una preventiva conferenza di servizi in cui la Regione può esercitare il diritto di veto. Inoltre, il centro commerciale è sorto in zona F3, cioè in territorio destinato a verde pubblico. Eccezionalmente, su queste zone, possono essere realizzate attrezzature commerciali, purchè compatibili con l’uso pubblico. L’apertura di 50 servizi commerciali è stata permessa sull’errato presupposto che non si realizzi nella fattispecie l’ipotesi del centro commerciale ma un centro integrato di servizi e tempo libero. Pertanto, secondo questo artifizio dialettico: non occorre alcun nulla osta preventivo a norma dell’art. 27 delle legge 426/1971, il caso non rientra nella moratoria prevista dalla 114/1998
nè nelle disposizioni previste dalla 1/2000.
Essendo stato definito in modo diverso, il centro commerciale non viene censito nel Piano di Commercio (Siad), che viene approvato sia dal Comune che dalla Regione, nonostante gli esposti di commercianti della zona e del comitato di quartiere. Con la complicità della Regione di centrosinistra il sindaco di centrodestra ha cercato di sanare la situazione di illegalità venutasi a creare. Ma nel 2003 il Tar ha ordinato la chiusura e l’abbattimento del centro commerciale.
A questo punto, con tutto il sistema bipolare imbrigliato nell’Iperiongate, sono stati mobilitati i circa 200 lavoratori del centro commerciale in nome del sostegno all’occupazione. Partiti, sindacati, mediocri opinionisti locali, tutti si sono schierati a difesa del malaffare, facendosi scudo dei lavoratori. Nessuno al contrario ha osato sostenere le istanze dei comuni cittadini e dei piccoli commercianti locali, all’epoca già danneggiati dal piano traffico - poi abolito per le proteste popolari, giacchè penalizzava, con una girandola di sensi unici, tutto il quartiere Cerasola - e costantemente offesi dalla impunità con cui i camion in uscita dalle cave dei monti Tifatini, a ridosso della frazione di San Clemente, attraversano lo stesso martoriato quartiere. A tutti coloro che dicono di voler salvaguardare l’occupazione, ed in particolare: ai partiti che hanno difeso quei posti di lavoro, che pare siano stati da loro stessi distribuiti con criteri clientelari; ai sindacati collusi coi partiti coinvolti nella vicenda, che non si preoccupano di quanti piccoli esercizi, coi relativi posti di lavoro, vengono distrutti dalla diffusione dei centri commerciali; alle 4 società satelliti della Iperion in cui pare siano cointeressati alcuni personaggi che ricoprono cariche pubbliche, società a loro volta spaccottate in 50 contratti di fitto di ramo d’azienda, sottoscritti con i galleristi; al Comune che consente ai clienti dell’Iperion di parcheggiare gratuitamente, mentre impone il grattino ad ogni potenziale cliente dei negozianti del centro storico contribuendo cosi ad orientare i consumatori verso il centro commerciale incriminato; agli esponenti della sinistra che hanno cominciato la battaglia contro la giunta di centrodestra e poi si sono defilati non appena la Regione, governata da gente dei loro partiti, ha avallato le scelte del Sindaco.
A tutti costoro abbiamo rivolto pubblicamente e più volte, senza ottenere risposta, le seguenti domande: state difendendo l’occupazione oppure state proteggendo una delle tante aree di clientelismo e di precariato? Come sono stanti assunti i dipendenti dell’Iperion? Quanti dipendenti hanno contratti a tempo indeterminato e quanti beneficiano di contratti flessibili? Quante ore al giorno lavorano, in media, quei lavoratori? Viene loro regolarmente pagato lo straordinario?
Se hanno cambiato nome al centro commerciale, allora chiamino diversamente anche quel qualcosa per cui tanto si sono agitati in questi anni, e lo chiamino col vero nome: sfruttamento.
La logica del meglio che niente è la stessa che regge le zone franche del Terzo Mondo dove per un salario di due dollari al giorno masse di impoveriti producono articoli sportivi, giocattoli, tessuti, componentistica, per conto di grandi conglomerati finanziari. Il Consiglio di Stato ha confermato l’annullamento dell’autorizzazione commerciale all’Iperion, condannando, inoltre, il Comune di Caserta al pagamento delle spese di giudizio e affermando nella sentenza che: “L’Iperion è carente di qualsiasi titolo che legittimi la costruzione e l’apertura”, ma i politicantucoli casertani continuano a far finta di niente...
Chissà se prima o poi si renderanno conto di essere soltanto gli ultimi ingranaggi di un meccanismo molto più grande di loro, un sistema criminale che umilia la nostra gente con la loro complicità.