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L’Europa e la mancanza di coscienza geopolitica

di Tiberio Graziani - 29/04/2007


If Europe has a foreign policy, I wish someone would tell me its phone number!”, con quest’incisiva espressione, Henry Kissinger descriveva, oltre trent’anni fa, la condizione dell’Europa in materia di politica estera. Con sense of humor, misto forse ad un certo compiacimento o, al contrario, ad una certa frustrazione, secondo la sensibilità degli osservatori dell’epoca e gli interessi in quel momento in campo, l’allora segretario di stato statunitense ed esperto di relazioni internazionali non denunciava soltanto l’assenza di una politica estera europea, ma, principalmente, registrava la mancanza d’unità politica del Vecchio Continente. La situazione non è certamente migliorata negli ultimi anni, pur nonostante alcune rilevanti novità, quali la trasformazione della Comunità europea in Unione (1), il suo recente allargamento ai paesi dell’ex blocco sovietico, l’adozione di una moneta unica, l’euro, da parte di un numero consistente dei paesi membri (13 su 27) e, infine, la definizione di una strategia europea di difesa (2). Se dovessimo basarci sulle dichiarazioni ufficiali dei funzionari di Bruxelles e dei capi di stato europei, sulla documentazione ufficiale e, soprattutto, su alcuni importanti dati quantitativi (3), come l’accresciuta estensione territoriale, la massa demografica e il prodotto interno lordo, saremmo indotti certamente a considerare l’Unione un attore globale che rivela, formalmente, anche ambizioni di proiezione della propria potenza, come le molte iniziative della Politica europea di sicurezza e difesa (PESD), a partire dal 2003, parrebbero dimostrare (4).

Sennonché, nel campo di forze in cui si dispiega l’attuale politica mondiale, l’influenza dell’Unione Europea è minima, se non del tutto trascurabile; i suoi dati, per così dire “numerici”, sembrano sovrastimarla in rapporto alla scarsa efficacia conseguita dalle sue timide e sporadiche incursioni nell’arena internazionale. L’incapacità mostrata dall’Unione Europea nell’assumere un ruolo unitario e chiaro, ad esempio, nelle recenti ed ancora aperte questioni quali la jugoslava, l’afghana e l’irachena, ha reso evidente la sua mancanza di coerenza in politica estera, totalmente ostaggio della sessantennale strategia degli USA, nonché dei particolarismi e corporativismi nazionali.

A peggiorare la situazione, oltre l’assenza di una politica estera, occorre anche considerare le importanti divisioni interne all’Unione su altri temi, fondamentali per la sua stessa sopravvivenza: il Trattato costituzionale, la politica sociale e quella energetica.

La duplice assenza di un’unità politica reale e di una politica estera condivisa pregiudicano la possibilità che l’Unione possa sviluppare una propria dottrina geopolitica; anzi, nell’attuale competizione globale, queste deficienze la obbligano a subire le decisioni del suo maggiore alleato, gli USA, relegandola, in particolare, ad assolvere una funzione geostrategica a sostegno delle dottrine geopolitiche transatlantiche.

Ciò che sostanzialmente manca alle classi dirigenti europee è una coscienza geopolitica coerente con l’attuale momento storico.

L’Europa di oggi percepisce se stessa come parte integrante dell’Occidente (5) americanocentrico, al punto di appiattirsi su una presunta identità “occidentale”, vale a dire su un’identità che, costituendo proprio la sovrastruttura ideologica e simbolica della potenza d’oltreoceano (almeno a partire dalla dichiarazione Monroe del 1823), la vincola ad assoggettarsi anche culturalmente al volere e al destino di quest’ultima. Un retroterra culturale di questo tipo è alla base dell’ipotesi, recentemente avanzata dal Cancelliere tedesco, Angela Kasner Merkel, in qualità di presidente del Consiglio europeo e del G8, della costituzione di uno spazio economico transatlantico (6). La proposta di uno spazio economico transatlantico, volto alla realizzazione di un’entità geopolitica occidentale (che possiamo definire Ameuropa), trae la sua origine dalla “Dichiarazione transatlantica” del 22 novembre 1990. Questo documento, sottoscritto dagli Stati Uniti, dalla Comunità Europea e dai suoi Stati membri, definisce i principi quadro da cui scaturirà, nel corso degli anni successivi, principalmente tramite l’azione del Transatlantic Policy Network, tutta una serie di raccomandazioni tese alla “costruzione di ponti da una parte all’altra dell’Atlantico” e sviluppate in diversi documenti e accordi, tra cui il Transatlantic Business Dialogue (TABD, Siviglia, novembre 1995), la New Transatlantic Agenda (NTA, Madrid, dicembre 1995), la Transatlantic Economic Partnership (TEP, Londra, 18 maggio 1998), il Transatlantic Consumers’ Dialogue (TACD, settembre 1998), il Transatlantic Environment Dialogue (TAED, maggio 1999), la Positive Economic Agenda (PEA, maggio 2002) (7).

Dagli inizi del secolo scorso, l’Europa, con la progressiva perdita di peso internazionale dei suoi maggiori paesi, ha abbandonato una visione eurocentrica delle questioni culturali, storiche e politiche, e, soprattutto, dei rapporti – allora sostanzialmente colonialisti - con il resto del pianeta, per assumere un’impostazione ed una prassi politica “occidentalista” ed euroatlantica che gradualmente l’hanno distaccata dalle responsabilità dettatele, in primo luogo, dalla sua posizione geografica e dai reali interessi delle popolazioni europee; interessi che, razionalmente, dovrebbero basarsi su logiche di coprosperità, a sud e sudest, con i popoli nordafricani e vicinorientali, a oriente con la Russia. Per inciso, si ricorda che la visione eurocentrica dell’Europa e la prassi politica che ne discendeva erano strettamente legate agli interessi nazionali, cioè esclusivamente agli interessi dei ceti dirigenti dell’epoca e, nei confronti del resto del pianeta, alternativamente complementari e competitivi con le azioni imperialistiche del Regno Unito. Chi per un momento ruppe tale impostazione fu la Germania, potenza continentale emergente, che, a partire dalla seconda metà degli anni trenta e durante il periodo bellico, assunse, sia sulla base delle riflessioni di Ratzel e Haushofer e sia per necessità contingenti, un atteggiamento “terzomondista”, appoggiando, in funzione antibritannica, i vari movimenti anticoloniali.

Una corretta percezione della posizione geografica del nostro continente in rapporto alla massa asiatica, di cui esso costituisce un subcontinente speculare a quello indiano, e al Mar Mediterraneo avrebbe dovuto indurre i decisori europei - nel mutato assetto geopolitico del secondo dopoguerra, caratterizzato dalla presenza militare di una potenza extracontinentale sul suolo europeo – ad una maggiore attenzione verso l’Unione Sovietica, l’Africa del nord e il Vicino Oriente, al fine di preservarne, per quanto possibile, se non proprio l’autonomia, almeno maggiori gradi di libertà. Tale atteggiamento realistico, sebbene sostenuto, con varie importanti sfumature e con diversi intendimenti e scopi, da eminenti personaggi del secolo scorso, tra cui Charles de Gaulle (8), Enrico Mattei (9) e Willy Brandt, non riuscì tuttavia ad imporsi. Prevalsero da un lato considerazioni ideologiche (la lotta al comunismo), le quali non solo allontanarono ancora di più la parte occidentale dell’Europa da quella orientale e dalla Russia, ma contribuirono a fomentare e mantenere, all’interno dei paesi europei, una guerra civile a bassa intensità che è durata sino al crollo dell’Unione sovietica; prevalsero inoltre, soprattutto, gli interessi economici transatlantici (multinazionali americane) e quelli finanziari, che alla lunga indebolirono i capitalismi e le economie nazionali del Vecchio continente, come pure le strategie difensive delle potenti organizzazioni sindacali europee; ebbe, infine, la meglio l’atteggiamento di bandwagoning, ampiamente diffuso in tutte le cancellerie dell‘Europa occidentale, cioè dello schieramento totale, a partire dal 1956 (Suez), con la potenza statunitense (10).

Il bivio: subalternità o sovranità

Oggi l’Europa, pur in un quadro geopolitico completamente diverso, si trova ancora, come nel precedente periodo della “guerra fredda”, di fronte a un bivio: o restare nell’orbita atlantica e dunque subire il ruolo che la Gran Bretagna e gli Stati Uniti le impongono (11), oppure, divenire un attore globale a partire dalla sua specifica posizione geografica e dai successi ottenuti dall’avviato processo di integrazione comunitaria. L’opzione di scelta tra una manifestazione “marittima” o “continentale” della propria geopolitica è, d’altronde, la classica condizione in cui si trovano le classi dirigenti di unità spaziali peninsulari e insulari come, appunto, l’Europa occidentale - le cap d’Eurasie, secondo l’espressione di Pierre Béhar (12) - l’India, e il Giappone.

Nel primo caso, l’Europa, mantenendo una posizione euroatlantica, risulta essere sostanzialmente la testa di ponte dell’asse Londra–Washington sulla massa eurasiatica e l’avamposto del cosiddetto Occidente nel Mar Mediterraneo e nel Vicino Oriente. Tale funzione geostrategica ribadisce la subalternità dell’Europa all’iperpotenza d’oltreoceano ed evidenzia la mancanza di sovranità reale dei governi nazionali europei - e dunque della stessa Unione - nel proprio spazio geopolitico. Si pensi per un istante alla presenza di ordigni nucleari nelle basi NATO (13) ospitate in Italia, ai tanti episodi di lesa sovranità come la questione di Sigonella, la strage del Cermis, il sequestro di Abu Omar.

Nel medio periodo, in uno scenario geopolitico che va celermente trasformandosi, passando – sia per contraccolpo alla tuttora attuale egemonia degli USA, sia per questioni geopolitiche regionali - dall’unipolarismo a un multipolarismo articolato sui paesi asiatici ora emergenti (Cina e India), sull’impostazione eurasiatista di Mosca, sui tentativi di applicazione dei principi “bolivariani” per l’integrazione del Sudamerica (Chavez, Morales), la scelta proatlantica degli Europei si rivelerà sicuramente perdente per il nostro continente. L’Europa, nello scontro tra le due opposte tendenze – l’unipolare e la multipolare – si troverà ad essere utilizzata e sacrificata dal suo “alleato” americano, mancando di risorse energetiche adeguate al suo sviluppo economico, di strutture militari efficienti e unitarie, di coesione interna, di coscienza geopolitica.

D’altra parte, già l’allargamento ad oriente dell’Unione si sta sempre più rivelando, per gran parte dei suoi membri, molto problematico nelle relazioni con Mosca.

In riferimento all’aumentata estensione territoriale ed alla sua posizione geografica, infatti, l’Unione Europea ha compromesso i rapporti con il suo più importante partner continentale, la Russia, avendole eroso parte della sua sfera d’influenza (in particolare i paesi baltici e la Polonia) senza aver precedentemente (o contemporaneamente) avviato nei suoi confronti un’adeguata politica estera, sostenuta da coerenti e condivise relazioni economiche; ma, soprattutto, senza aver identificato una struttura militare unitaria autonoma, a cagione, ovviamente, delle relazioni transatlantiche che i suoi paesi membri intrattengono, sul piano della sicurezza, con gli USA e dei vincoli che il Trattato dell’Alleanza nordatlantica loro impone (14). Se per de Gaulle Londra, a ragione, rappresentava il cavallo di Troia degli Stati Uniti nella Comunità Europea, per Mosca, Bruxelles sembra rappresentare il cavallo di Troia degli USA nel suo “estero vicino”.

La “politica di annessione”, perseguita dall’Unione Europea, è stata dunque, si potrebbe dire, “sterilizzata” sul nascere, a causa della miopia politica di Bruxelles e dell’allargamento della NATO ai paesi dell’ex-patto di Varsavia. L’estensione dell’Unione e il parallelo avanzamento della NATO verso oriente, percepiti da Mosca con una certa e comprensibile irritazione, pregiudicheranno, prevedibilmente nel breve periodo - se non saranno presi, in tempo, accorgimenti diplomatici, economici e politici - le relazioni tra l’Unione e la Russia. Infatti, occorre segnalare che, in un quadro più generale, in particolare per quanto concerne il versante geostrategico, la concomitanza dei due processi ora menzionati (allargamenti dell’Unione e estensione della NATO) ha reso effettivo lo scenario preconizzato da Brzezinski, che assegnava all’Europa il ruolo di testa di ponte statunitense sulla massa continentale eurasiatica. Mai, come in tale occasione, gli europei sono stati così poco lungimiranti. Va inoltre rilevato che, al fine di eliminare qualunque deviazione “indipendentista” di Bruxelles dalle direttive statunitensi, Washington, fiancheggiata da Londra, si è subito affrettata a stabilire rapporti privilegiati, tramite consistenti aiuti economici, con i nuovi membri orientali dell’Unione. Facendo leva sui timori e le diffidenze di questi ultimi riguardo ai tecnocrati di Bruxelles, ad alcuni partner (la Germania, in primis) e, ovviamente, a Mosca, Washington li ha progressivamente attratti nella sua sfera d’influenza. In tal modo, l’Amministrazione americana è riuscita a porre le premesse per una futura frattura in seno all’UE e, soprattutto, a “contenere” potenziali occasioni di alleanze strategiche “eurorusse”. Ricordiamo che, nelle concitate settimane che precedettero l’aggressione angloamericana all’Iraq, quando Chirac, Schroeder e Putin tentarono di opporsi all’iniziativa bellica, l’allora ministro della difesa statunitense, Donald Rumsfeld, paventando l’asse continentale Parigi-Berlino-Mosca, indicò, immediatamente, nei nuovi membri orientali dell’Unione Europea una “nuova Europa”, un’Europa di “rincalzo” si potrebbe dire, più affidabile e più atlantica, in sostituzione o alternativa all’Europa, appunto, continentale, costituita dalla Francia e dalla Germania. L’Amministrazione Bush, in tale frangente, di fronte ad una probabile saldatura degli interessi continentali, agì nel più classico dei modi, applicando i criteri del balance of powers. E’ opportuno rilevare inoltre che, l’Unione Europea, grazie ai nuovi venuti, pur avendo aumentato il proprio mercato interno, il potenziale industriale e l’opportunità di coordinare nuove e funzionali infrastrutture finalizzate ad accelerare il processo d’integrazione, non ha tuttavia risolto il problema dell’approvvigionamento delle risorse energetiche. Anche ultimamente, da più parti si è sostenuto, giusto per fare un esempio, che, per quanto concerne il nucleare, ogni paese membro dell’Unione dovrebbe decidere da solo, testimoniando, ancora una volta, la difficoltà dell’Unione ad avviare una qualsivoglia politica comune in materia energetica. Parimenti deficitaria appare l’Unione Europea anche nel settore della ricerca di base e industriale, se confrontata con gli USA. Dal lancio dello “spazio europeo della ricerca” (2001), al di là della costituzione di qualche rete di eccellenza su alcuni settori strategici, risultati concreti ed efficaci tardano ancora ad arrivare.

Il sostegno dell’Unione Europea al sistema unipolare preclude inoltre un’autentica politica europea nei confronti dei paesi della sponda sud del Mediterraneo e del Vicino Oriente. Infatti la realizzazione di uno spazio geopolitico mediterraneo, basato sulla condivisione di responsabilità tra i paesi rivieraschi, mal si accorda con le tentazioni egemoniche degli USA nell’area, che escludono ogni iniziativa tesa a saldare la sponda europea con quella nordafricana. Peraltro anche qui gli Europei sono stati preceduti dalla NATO che, con il progetto del “Dialogo mediterraneo” (15), ha già messo in atto una serie di “dispositivi” geopolitici e geostrategici i quali inibiscono non solo qualunque politica dell’Unione in questa area, ma soprattutto la possibilità di prefigurare nuovi sviluppi dello spazio geopolitico mediterraneo. Se gli Europei, schierandosi con gli atlantici immaginano di potersi spartire con loro parte di un futuro bottino eurasiatico o vicinorientale, hanno sbagliato i propri calcoli: è forse venuto il tempo di iniziare a fare i conti di quanto l’Europa abbia perduto, in denaro e mezzi, e principalmente in credibilità, nei confronti dei loro vicini, nelle guerre afghana e irachena.

L’alternativa: dialogo eurasiatico e pax mediterranea

Viceversa, se l’Europa intende essere attore globale, esprimere cioè la sua capacità culturale, politica ed economica a beneficio delle proprie popolazioni e dell’intera umanità, dovrà coerentemente addossarsi responsabilità geopolitiche nella costruzione del nuovo sistema multipolare. In tal caso dovrà iniziare a riconsiderare se stessa, dopo la lunga separazione del secolo scorso, come parte integrante della massa grancontinentale euroafroasiatica (il Vecchio Mondo), ed al suo interno trovare quindi la propria mansione equilibratrice e di cerniera tra i due continenti. E ciò non soltanto per esclusive ragioni utilitaristiche, data la sua pressoché dipendenza dai paesi asiatici per quanto concerne le materie prime e le risorse energetiche, ma anche per la condivisione di una “spiritualità eurasiatica”, fonte delle variegate culture dei popoli del Vecchio Mondo, che la deriva “occidentalista” tende drammaticamente a sovvertire ed appiattire.

Per esprimere la propria sovranità e funzione geopolitica, l’Europa dovrà in primo luogo riappropriarsi integralmente del proprio spazio, presidiandolo al di fuori dell’alleanza atlantica, riconsiderare i suoi rapporti con la Russia ed il resto dell’Asia su una base paritaria ma funzionale all’integrità geopolitica, economica e militare dell’intera massa continentale, mediante la costruzione di un “dialogo eurasiatico”, ed avviare iniziative tese alla realizzazione di una pax mediterranea al di fuori delle intrusioni ed azioni perturbatrici dell’iperpotenza statunitense. Inoltre, di concerto con i Paesi coinvolti, dovrà impegnarsi nella realizzazione di una realistica e praticabile alternativa al disegno egemonico degli USA nello spazio mediorientale (16).

Un nuovo e reale sistema multipolare sarà possibile soltanto se alla potenza attualmente egemone, a causa della sua caratteristica bioceanica e del carattere espansionista del suo sistema socio-economico, si contrapporranno uno o più spazi geopolitici articolati e di pari importanza, anch’essi sovrani dei propri litorali: Euroafroasia e Sudamerica. L’Europa, riacquistando la propria sovranità e rendendola funzionale nell’ambito dello spazio eurasiatico, potrà partecipare a pieno titolo alla costruzione di un sistema mondiale più equilibrato.

Subalternità geostrategica in un sistema unipolare o nuova, funzionale sovranità in un mondo multipolare: questo è il dilemma che gli europei dovranno presto accingersi a sciogliere.

Dialogo eurasiatico e pax mediterranea sono i due vettori che definiranno lo scenario geopolitico dell’Europa del XXI secolo, se gli Europei lo vorranno.

Note:

1. La trasformazione della Comunità Europa - nome collettivo dato alle tre comunità europee, Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) (1951-52), Comunità Economica Europea (CEE) (1957), Comunità Economica dell’Energia Atomica (EURATOM) (1957), - in Unione Europea risale al Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993.

2. Ci riferiamo in particolare all’adozione della Strategia europea di sicurezza (12 dicembre 2003), all’istituzione dell’Agenzia Europea di Difesa (12 giugno 2004), e allo sviluppo di alcune istituzioni della Politica Europea di Sicurezza e Difesa (PEDS): il Comitato politico e strategico (COPS) e il Comitato militare dell’UE (CMUE).

3. Prodotto interno lordo: 13.841 miliardi USD (2006), 28.119 USD pro capite, primo posto nel mondo (2006); Superficie: 4.326.253 Km quadrati (2007) (UE27); Popolazione (2000): 492.215.000 ab., densità 114 ab/kmq.

4. Le prime operazioni militari sotto comando dell’UE datano a partire dal 2003. Alla data di maggio 2006, si contano, tra missioni concluse ed ancora in corso, 16 operazioni effettuate in cinque teatri operativi (Balcani, Caucaso, Indonesia, Vicino Oriente, Africa): Concordia (Macedonia, marzo-dicembre 2003, completata); Artemis (Congo, giugno – settembre 2003, completata); EUPOL Proxima (Macedonia 2004-2005, completata); EUPAT (Macedonia, 2005-2006, completata); Altea (Bosnia Erzegonina); EUPM (Bosnia Erzegovina); Amis II (Sudan, Darfur); Eusec (Congo); EUPOL (Congo); EUFOR (Congo); EUPOL COPPS (Territori palestinesi); EUBAM (Territori palestinesi); EU Just Lex (Iraq); AMM (Indonesia); Themis (Georgia); EUPT (Kosovo).

(rif.: www.consilium.europa.eu)

5. Sul tema dell’Occidente, si leggano le riflessioni di Franco Cardini contenute nel suo saggio L’invenzione dell’Occidente (Rimini, 2004), le considerazioni svolte da Claudio Mutti nella recensione dello stesso saggio (Eurasia. Rivista di Studi Geopolitici, 1/2005), l’articolo di Claudio Finzi in questo stesso fascicolo di Eurasia. Interessanti, inoltre, il saggio di Pier Giuseppe Monateri, “Sovranità e spazi geopolitici dopo l’11 settembre” in Il sole sorge a Oriente. Decimo rapporto sull’economia globale e l’Italia (Milano, 2005) e quello di Geminello Preterossi, L’Occidente contro se stesso (Bari, 2004).

6. “I nostri sistemi economici sono basati sugli stessi valori, dobbiamo fare attenzione a non allontanarci, ma al contrario avvicinarci perché ci sono evidenti vantaggi per ambo le parti. Una maggiore armonia tra le 27 Nazioni dell'UE e gli Stati Uniti incrementerebbe il volume degli scambi e degli investimenti. In Europa abbiamo accumulato una certa esperienza in fatto di mercato unico che potremmo applicare a livello transatlantico. Con l'aumento della globalizzazione, questa potrebbe essere una buona base per una cooperazione” dichiarazione di Angela Merkel ai giornalisti del “Financial Times”, Quentin Peel e Bertrand Benoit, 2 gennaio 2007 (www.ft.com). Secondo un collega di partito della Merkel, Matthias Wissmann, l’obiettivo di un mercato comune transatlantico potrebbe essere realisticamente raggiunto, a breve, nel 2015.

7. Una panoramica delle azioni della “rete” transatlantica si trova nel singolare testo di Pierre Hillard, La décomposition des nations européennes. Dall’union-euro-atlantique à l’État mondial. La géopolitique cachée de la constitution européenne (Paris, 2005).

8. Il 25 marzo del 1959, Charles de Gaulle, nel corso di una conferenza stampa enuncia, per la prima volta, la sua formula di un’Europa dall'Atlantico agli Urali “noi che viviamo tra l'Atlantico e gli Urali, noi che siamo l'Europa”. De Gaulle immagina un’Europa imperniata sull’asse franco-tedesco ed estesa appunto dall’Atlantico agli Urali. La costituzione di una tale Europa, nella prospettiva di de Gaulle, avrebbe dovuto facilitare i rapporti con la Russia sovietica e, ovviamente, rendere più autonomi i paesi europei dalle strategie nordamericane. Tra le iniziative di de Gaulle, volte a riaffermare il potere decisionale francese e, conseguentemente europeo, su alcune importanti questioni internazionali, ricordiamo la condanna dell’intervento nordamericano contro i comunisti nel Vietnam, il ritiro della Francia dal Comando militare integrato della NATO, l’espulsione delle basi statunitensi dal territorio nazionale (1966) e l’embargo contro Israele durante la guerra del 1967.

9. Enrico Mattei, contro l’arrembaggio al petrolio e al metano, a cura di Claudio Moffa (Roma, 2006).

10. La “crisi di Suez”, o “aggressione tripartita” secondo la storiografia araba, iniziò il 26 luglio del 1956 con la nazionalizzazione del canale di Suez e sfociò in un conflitto con l’invasione israeliana della Striscia di Gaza e della penisola del Sinai (29 ottobre), all’aggressione si aggiunsero la Francia e la Gran Bretagna. La crisi, risolta dagli USA e dall’URSS, decretò la fine di ogni iniziativa europea nel Mediterraneo, e consacrò la definitiva divisione del mondo in due blocchi. La “certificazione” (Sergio Romano, Memorie di un conservatore, Milano 2002) dei due blocchi si ebbe però il 1° agosto 1975, con la sottoscrizione di 35 Capi di Stato e di Governo dell’Atto finale di Helsinki, che coronava il lungo e impegnativo lavoro della Conferenza sulla Sicurezza e sulla Cooperazione in Europa (CSCE), iniziata nel luglio di due anni prima.

11. Sulla comunanza di strategie tra il Regno Unito e gli USA e sulla loro special relationship si consultino i saggi, L’eterna alleanza? La “special relationship” angloamericana tra continuità e mutamento (Roma 2006) e Anglosfera. Forma e forza del nuovo Pan-Anglismo (Genova, 2006) entrambi di Luca Bellocchio.

12. Pierre Béhar, Une geopolitique pour l’Europe (Paris, 1992).

13. Una panoramica delle basi NATO presenti in Italia è presentata nel saggio di Alberto B. Mariantoni, “Dal Mare Nostrum al Gallinarium Americanum. Basi USA in Europa, Mediterraneo e Vicino Oriente”, in Eurasia. Rivista di Studi Geopolitici, 3/2005.

14. In merito al carattere “asimmetrico” ed “ineguale” dell’Alleanza atlantica si veda Alessandro Colombo, Solitudine dell’occidente (Milano, 1994).

15. In riferimento a questa iniziativa della NATO si consulti il sito www.nato.int.

16. Il grande Medio Oriente nell’era dell’egemonia americana, a cura di Michelguglielmo Torri (Milano, 2006).