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La coppa della globalizzazione

di Decio Siluro - 01/05/2007



Tutti i media stanno dando uno spazio enorme alla competizione velica “Coppa America”, anzi alla LVC, la gara che designerà la barca che sfiderà il detentore, l’imbarcazione elvetica Alinghi, per la conquista del trofeo vero e proprio. Così, negli uffici e nei bar, coloro che son soliti parlare di calcio, in questi giorni si lanciano in ardue discussioni su bompressi, boma, caricabasso, genoa e così via, pur avendo come unica esperienza marinara la conduzione di un pattìno a pochi metri dalla spiaggia di Ostia.
Questo è il grande potere della comunicazione: trasformare un evento sportivo per pochi appassionati, in fenomeno mondiale, attirando così ovviamente milioni di dollari e di euro di sponsor.
Già, perché la “Coppa America” o meglio ancora la “coppa delle cento ghinee” si disputa dal lontanissimo 1851 (il trofeo venne commissionato dal marchese di Anglesey e disegnato nel 1848 da tale Robert Garrard, gioielliere londinese) senza che in Italia se ne fosse accorto quasi nessuno almeno fino al 1983, quando un’imbarcazione italiana con un nome azzeccato “Azzurra” entusiasmò l’orgoglio da tifosi di improvvisati velisti italiani.
L’orgoglio patriottico non è cosa misurabile con i risultati sportivi. Non ci ha reso “più italiani” la conquista dei mondiali di calcio, ancor meno potrebbe fare in tal senso un successo in una disciplina di nicchia. Anche se la pratica dello sport velico non è costosa come si crede, almeno a livello di derive tipo laser; certo i dodici metri classe internazionale come quelli della coppa America, sono mostri inavvicinabili per chiunque, dal costo di parecchi milioni per ogni scafo.
Eppure la storia di questa competizione velica è proprio fondata sull’orgoglio nazionale. Nacque da una sfida portata dalla goletta “America” all’intera flotta di yacht reali della marina britannica. La Londra vittoriana venne scossa da quella sconfitta (la gara si disputò intorno all’isola di Wight) ed il trofeo rimase in mani americane per ben 132 anni, un record sportivo difficilmente superabile.
Delle vecchie regole che volevano caratterizzare lo spirito nazionale di quella sfida rimane però ben poco, praticamente solo l’obbligo di costruire lo scafo di gara nella nazione della quale l’imbarcazione batterà bandiera.
Per tutto il resto la coppa America è diventata un grande spot mediatico a favore della globalizzazione.
Analizzando le imbarcazioni e gli equipaggi in gara nelle acque di Valencia, troviamo un detentore svizzero ma con armatore italiano ed un equipaggio di tutto il mondo. Gli undici sfidanti: tre italiani, un americano, un sudafricano, uno svedese, un francese, un cinese, un tedesco, uno spagnolo ed un neozelandese. Clamoroso: non c’è un’imbarcazione che batte l’union jackt.
Entrando nel dettaglio si scopre però che sulla barca cinese si parla francese, mentre sulla barca francese si parla inglese. L’armatore della barca sudafricana è nato a Nocera Inferiore ed italiani sono skipper e tattico dell’imbarcazione. Lo scafo Usa è sponsorizzato BMW, cioè è mezzo tedesco. La Nuova Zelanda, dove c’è una tradizione velica unica al mondo, ha come sponsor la linea aerea degli Emirati Arabi. Quanto ai team italiani: su Luna Rossa ci sono solo sei italiani sui diciotto dell’equipaggio, sette su +39 e le cose vanno meglio solamente su Mascalzone Latino, dove sono tredici.
Come dicevamo questa è proprio la coppa della globalizzazione e per questo motivo non può interessarci più di tanto.
Lo sport dovrebbe essere un termometro per valutare la salute di una società e certamente una nazione dove tutta la sua gioventù potesse praticare lo sport gratuitamente ed in strutture pubbliche, sarebbe certamente una nazione sana, a prescindere dai record e dai trofei conquistati. In un mondo dove l’apparire conta più dell’essere anche lo sport si è adeguato. In Italia poche strutture (e comunque private) dedicano attenzione ai giovani; il resto è business, a partire dalle palestre che sfruttano la moda del fitness, mentre la scuola, che dovrebbe essere la base della piramide è assolutamente latitante e spesso priva delle strutture necessarie alla pratica sportiva.
Speriamo solo, in caso di vittoria “italiana” in Coppa America, di non dover ancora assistere ad un improprio sventolio di tricolori nelle piazze. Questo patriottismo per un giorno non ci piace e non ci è mai piaciuto.