Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / L'Africa parla cinese

L'Africa parla cinese

di Paul Ariès - 04/05/2007

 

 

La Cina sarà sempre un amico e un fratello dell'Africa", ha detto lo scorso novembre il presidente cinese durante il summit Cina-Africa. Non c'è da stupirsi: l'Africa forniva alla Cina il 9 per cento del suo petrolio nel 1995, gliene fornisce il 28 per cento dieci anni dopo. La Repubblica popolare è ora il terzo partner commerciale, dopo la Francia e gli Stati uniti. Secondo il giornale Le Mond, "il livello degli scambi tra l'Africa e la Cina ha toccato, negli ultimi anni, un'importanza inedita nella lunga relazione tra il continente nero e l'impero di mezzo". Oltre al petrolio, anche il cotone, le pietre preziose, la legna e altre materie prime attraversano l'oceano per alimentare la bulimia economica cinese.

La Cina è due volte vincitrice: prosegue il saccheggio delle risorse naturali dell'Africa e vi esporta la sua "junkproduction". L'Africa diventa uno sfogo per le sue macchine ma anche per il suo tessile, gli alimenti e tutti gli altri prodotti manufatti che invadono le bancarelle africane a prezzi imbattibili. La Cina usa l'anti-imperialismo occidentale per piazzare le sue carte e conquistare alcuni mercati strategici, difendendosi allo stesso tempo pratica una forma di "neo-colonialismo".

Ma la popolazione non si lascia ingannare: in Senegal, in Sudafrica, la popolazione accusa la Cina di distruggere i posti di lavoro. I commercianti hanno dovuto chiudere varie volte per protestare contro l'invasione massiccia dei cinesi nel settore del commercio. I sudafricani sono riusciti a imporre una riduzione dell'importazione dei tessili cinesi per proteggere la loro industria locale, ma questa limitazione finirà tra due anni. L'esplosione del commercio sino-africano rischia di essere la morte programmata delle piccole imprese africane incapaci di resistere ai prodotti a basso costo concepiti dal campione dell'ipercapitalismo rosso.

La tournée africana del presidente cinese Hu Jintao, durante la quale ha firmato accordi petroliferi sbalorditivi con la Nigeria e il Kenya ci ricorda che il male non è solo occidentale. La Cina esporta verso l'Africa le sue armi, anche intrattenendo conflitti locali. Mentre il regime sudanese è accusato di essere all'origine di una feroce repressione contro i popoli del Darfour e responsabile di 200mila morti in quattro anni di conflitto, la Cina continua i suoi investimenti, per il più grande dispiacere della comunità internazionale.

Che cosa guadagna l'Africa a barattare il postcolonialismo bianco contro l'imperialismo cinese? Gli africani non vi guadagneranno niente ma alcune élites africane vi troveranno l'occasione di fare buoni affari. Le imprese africane realizzano superprofitti vendendo all'esportazione minerali come il rame o il nickel per nutrire l'enorme macchina economica cinese: 20 per cento dei minerali estratti in Africa sono così esportati verso la Cina. Non ci sarà nessun partenariato sino-africano "vincitore", come non fu benefica agli africani la Françafrica.

Gli obiettori di crescita non possono vedere nella presenza cinese in Africa altro che un simbolo della lotta persistente tra lo sviluppo del produttivismo economico e il proseguimento di tradizioni economiche ancora pre-produttiviste, ovvero antieconomiche secondo l'economia moderna.

La stampa cinese, che cerca sempre di giustificare ideologicamente le vicende economiche, moltiplica gli articoli sull'anzianità della cooperazione sino-africana. Le relazioni sino-africane si sono strette durante la guerra fredda. La Cina non si dimentica che ha ottenuto il suo posto permanente al Consiglio di sicurezza dell'Onu grazie al voto dei paesi africani. L'Africa si ricorda che la Cina ha annulato, in risposta, i debiti - di un valore di 1,38 miliardi di dollari, dei 31 paesi più poveri.

Una tesi molto più iconoclasta cresce però da ambedue le parti. Una nuova scuola storica basata sui lavori di Cheikh Anta Diop rivendica nientemeno che l'africanità della Cina: non solo attraverso il buddismo che sarebbe di origine africana, ma perché la Cina stessa sarebbe la figlia dell'Africa, poiché la sua popolazione avrebbe lo stesso patrimonio genetico; "scienziati" come Yuehai Ke rivendicano così l'identità biologica dei popolamenti attraverso l'analisi del cromosoma Y di 12.127 asiatici provenienti da 163 popolazioni diverse.

Le edizioni Monde global hanno opportunatamente pubblicato in Francia una Storia millenaria degli africani in Asia. L'autore, Runoko Rachidi, sostiene, al termine di una "storia affascinante e occultata che comincia oltre 100mila anni fa" che l'Asia sarebbe la vera patria degli africani.

* da La Décroissance aprile 2007