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Global warming, importanza e limiti delle soluzioni dell´Ipcc

di redazionale - 07/05/2007

Lascia perplessi l’ultimo capitolo presentato a Bangkok dall’Ippc, quello sulle tecnologie da favorire per contrastare il surriscaldamento climatico, così dettagliatamente descritto nei capitoli precedenti e con previsioni non certo rassicuranti se gli interventi non saranno adeguati.

Da un lato si evidenzia il fatto che è possibile ottenere significative riduzioni delle emissioni con impatti economici nemmeno troppo esuberanti dato che, per abbattere da quattro a due gradi centigradi il previsto aumento della temperatura globale, sarebbe sufficiente una cifra pari allo 0,12% del pil del pianeta, anche se questa cifra sembra ancora troppo alta da chiedere alle imprese, secondo la candidata alla prossima presidenza di Confindustria, Maria Grazia Marcegaglia.

Dall’altro però non emerge - come sarebbe stato atteso - un forte richiamo al risparmio energetico e alle fonti rinnovabili, le uniche scelte su cui le tecnologie sono, potremo dire, mature e quindi in grado da subito di realizzare la drastica e necessaria riduzione dei gas climalteranti e di poter avviare una vera rivoluzione energetica. Ovvero il passaggio graduale dall’approccio dei grandi impianti di produzione verso la generazione diffusa ed il cambiamento - seppur non facile - degli stili di vita e delle abitudini energivore tipiche ormai dei paesi industrializzati.

Nel rapporto finale si sceglie infatti di dare spazio un po’ a tutto: dalle fonti rinnovabili al nucleare (in attesa della quarta generazione), dalle tecnologie per l’efficienza a quelle in grado di catturare le emissioni di anidride carbonica, che sono ancora nella fase sperimentale. E questo fa supporre che sarà proprio il nucleare ad essere preso a modello per l’abbattimento delle emissioni di carbonio dato che, questa tecnologia, ha dalla sua l’unico vantaggio di non produrne.

Del resto avvisaglie di questo genere erano già arrivate dal rapporto Stern in poi. E anche la coraggiosa Unione europea nel dare l’indicazione vincolante di abbattere il 20% delle emissioni al 2020, lasciava libera iniziativa ai propri Stati membri di come raggiungere il traguardo, nucleare compreso. La lobby del nucleare e del carbone ha quindi avuto la meglio a Bangkok?

Il ricorso al nucleare e al carbone non sembra preoccupare Gianni Silvestrini, direttore di “Quale energia” che indica, in un suo articolo sul giornale on line (del 4 maggio scorso, ndr) che : «Allo stesso prezzo dell’anidride carbonica il nucleare incrementerebbe solo di poco, dall’attuale 16% al 18%, la propria quota. Anche il sequestro dell’anidride carbonica al 2030 darebbe un contributo limitato. Allungando la valutazione alla fine del secolo si evidenzia come efficienza, rinnovabili e sequestro del carbonio siano le tre aree che presentano maggiori potenzialità di riduzione».

Ma oltre al problema della sicurezza intrinseca del nucleare – che non verrebbe garantita nemmeno dalla quarta generazione pronta, secondo le stime, non prima del 2030 - e del fatto che, come già evidenziato, le tecnologie di sequestro del carbonio sono ancora in fase sperimentale, c’è un problema di tempi che le indicazioni date dall’Ipcc sembrano non tenere in considerazione.
Dal momento che lo stesso rapporto dell’Ippc dà tempi e scadenze per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra, e che se non si farà niente nei prossimi 10-15 anni per abbattere massicciamente le emissioni di anidride carbonica, le conseguenze saranno già fortemente evidenti «che senso ha - scrive Massimo Serafini in un articolo su Aprile online sempre del 4 maggio ndr) - indicare fra le tecnologie utili al clima il nucleare, visto che per realizzare una centrale, anche superando gli enormi problemi di consenso e di costo che ha, ci vogliono almeno dieci anni? Stessa considerazione va fatta per quanto riguarda il sequestro del carbonio in modo da rendere possibile l´uso del carbone, una tecnologia ancora bisognosa di ricerca, nonché costosissima e quindi lontanissima dalla maturità».

E che ricadute avranno queste conclusioni del rapporto Ipcc nel nostro paese? Secondo Gianni Silvestrini cambia poco: «Contano gli ambiziosi impegni di riduzione del 20% entro il 2020 delle emissioni climalteranti, assunti a livello europeo dai Capi di Governo lo scorso 9 marzo. Semmai il rapporto Ipcc rende sempre più chiaro il livello di irreversibilità delle strategie di riduzione che dovranno essere avviate» scrive infatti sempre nell’articolo su Quale energia on line.

Ma non così ottimista sembra essere invece Serafini per il quale le conclusioni dell’Ippc con la presa di posizione degli Usa nei confronti di Kyoto, potrebbero continuare a favorire il procedere in ordine sparso a livello globale e «tutto ciò rende meno efficace la stessa decisione europea di procedere unilateralmente ad una riduzione delle emissioni del 20% entro il 2020». E indica che le tecnologie verso cui vanno indirizzate le scelte e le risorse per rendere credibili quegli obiettivi «sono quelle del risparmio e della efficienza energetica, nonché quelle che consentono di avere energia dal sole, dal vento e dalle biomasse».