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Comunità e decrescita – critica della ragion mercantile

di Simone Buttazzi - 11/05/2007

Fonte: corpo12

 

Alain de Benoist e da altri studiosi sintonizzati sull’analoga linea d’onda presso certa destra nazionalista e ultralocalista. Ma a ben guardare, e a ben leggere, trattasi di coordinate imprecise, impressioni ingannevoli. La teoria economica della decrescita prende le mosse da due fenomeni sotto gli occhi di tutti: la degradazione dell’ambiente e l’esaurimento delle materie prime. L’allarme ambientale che conosciamo bene – e la cui soluzione sembra sempre lontana da noi, persa tra vertici clamorosi e protocolli snobbati – in realtà è una questione che ci riguarda in prima persona. Perché dipende da uno spreco di cui siamo corresponsabili, e da uno sviluppo forsennato (nonché scriteriato) il cui motore primo sono i consumi, cioè a dire la famigerata domanda che gioca ai vasi comunicanti con l’offerta. I sostenitori della decrescita propongono due variabili importanti per farsi un’idea di quanto lo spreco e la produzione eccessiva stiano logorando il pianeta. La prima è l’impronta ecologica: “espressa in ettari per anno, designa la superficie produttiva di suolo e acqua necessaria per assicurare la sussistenza di un individuo o di una collettività e per assorbire le emissioni di gas carbonico che esso produce” (pag. 136). In altre parole, trattasi dell’incidenza dell’uomo sull’ambiente, quanto la nostra presenza si fa davvero sentire in natura. L’impronta ecologica umana è aumentata del 50% negli ultimi 35 anni. L’altra variabile da tenere sott’occhio è l’effetto-rimbalzo, causato dalla classica reazione psicologica a un traguardo in fatto di risparmio nei consumi. Esempio: una macchina “ecologica” consuma meno, e questo è bene. D’altro canto, sapere che consuma meno incita a usarla di più e per percorrenze più lunghe, e questo tipo di utilizzo non fa che sbocconcellare – o annullare – il vantaggio ottenuto a monte. L’effetto-rimbalzo è confermato da una lunga serie di dati che registrano un calo nel consumo di energia per unità a fronte di un aumento del consumo globale. A tutto questo, studiosi come De Benoist, Latouche, Goldsmith, Grinevald o Bonaiuti rispondono con un appello che ragiona per sottrazione, rivolto – ovviamente – ai Paesi “locomotiva” dell’economia mondiale. Questo appello è produciamo meno, consumiamo meno. Incidiamo meno sull’ambiente. Rallentiamo questa corsa di lemming a testa bassa verso il burrone. La teoria della decrescita è collegata a istanze non solo ambientaliste, ma anche animaliste o etiche in senso lato. Non si tratta, come vogliono suggerire i suoi detrattori, di optare per un ritorno al passato. Si tratta di scalare di marcia e di trovare nuove coordinate per l’economia sotto il segno della sostenibilità e del consumo critico. Un’economia che sia meno globale, meno multinazionale, ma paradossalmente più equa, capace di eliminare i mostruosi disequilibri che l’attuale status quo sta ingrossando invece di snellire. Decrescita non significa togliere al terzo mondo quel poco che ha, bensì riportare sobrietà e consapevolezza laddove la reperibilità delle merci e gli stili di consumo sono dettati da criteri di marketing (creazione di desideri superflui) e non da bisogni reali. La decrescita auspica un ritorno al piccolo secondo una logica che di piccolo non ha nulla, al contrario: è molto più vasta e responsabile dell’attuale follia formato franchising. In altre parole, decrescita è una delle possibile traduzioni pragmatiche della filosofia no logo, una filosofia troppo spesso propagata in senso meramente ideologico, senza alcuna ricaduta concreta. Rilocalizzare, produrre nel proprio piccolo, condividere. Slogan dalla difficile digeribilità, così come l’aggettivo “frugale” è ben lungi dall’essere un trascinatore di masse. Il libro di Alain de Benoist affronta l’argomento in maniera analitica e dettagliata, spaziando dalla storia dell’economia ad aspetti macro e micro della situazione attuale. Comunità e decrescita è un testo che fa male e scrolla il lettore, perché non ricorre a idee astratte e a facili deleghe. I problemi sono nel qui e nell’ora: sta a noi prenderne atto e cominciare a porvi rimedio, sospendendo l’ignoranza su tutto ciò che giace sotto una marca o un’offerta speciale. Che speciale non è.

I saggi e le interviste raccolti in questo libro sono stati tradotti da Alessandro Bedini, Massimo Carminati, Giuseppe Giaccio, Paolo Mathlouthi, Marco Tarchi.