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Rignano Flaminio e la sindrome del mostro di Dusseldorf

di Carlo Gambescia - 11/05/2007

 

I presunti pedofili di Rignano Flaminio sono in libertà. Il Tribunale del Riesame non ha considerato sufficienti le prove a carico. La pubblica opinione è divisa, e non solo quella di Rignano Flaminio. Ora i media sembrano propendere per la tesi innocentista. Per contro le famiglie dei bambini sembrano più decise che mai a ottenere giustizia. Le indagini proseguono. Questi i fatti.
Quel che però preoccupa di tutta la storia, al di là della gravità delle accuse e del presunto coinvolgimento di personale scolastico, è la sindrome del mostro di Düsseldorf… Così come venne inquadrata dal grande regista tedesco Fritz Lang nell’omonimo film del 1931. Ecco la trama del film, che magari non tutti ricordano:

"Il terrore regna nella città. Un "mostro" continua ad uccidere delle bambine, senza che la polizia possa far nulla. Stanchi delle continue retate, la potente organizzazione dei ladri della città, grazie ad una capillare rete di vigilanza tesa in tutta la città con il concorso dei ladri e dei mendicanti, riesce a scoprire un tenue indizio: il "mostro", nell'avvicinare le sue vittime fischietta un macabro motivo. Il criminale, individuato da un mendicante cieco, grazie al motivetto musicale, è “marchiato” con una grossa "M" di gesso sulle spalle. Catturato in fine dai ladri, è condotto in un sotterraneo dove si è radunato il tribunale della malavita. L’assassino cerca di discolparsi imputando i suoi delitti ad una forza irrefrenabile che lo assale. La condanna a morte sembra inevitabile quando all’ultimo momento la polizia fa irruzione nel sotterraneo e consegna il criminale alla giustizia." (da www.viaggio-in-germania.de - "Il portale italiano sulla Germania").

Si tratta di un film “sociologico” che illumina bene il conflitto tra la società, come aggregato di individui di ogni tipo e moralità, che vuole istintivamente giustizia come un solo corpo, e le istituzioni che impongono “regole” ragionate per garantirla, senza ledere i diritti dei presunti colpevoli e delle vittime. Ma il film, mostra anche un altro aspetto importante: dove non ci sono regole “istituzionali”, o si tarda ad applicarle, la società automaticamente si fa giustizia da sola. Come notò, paradossalmente, Gianfranco Miglio, il linciaggio dei colpevoli è la più antica forma di giustizia (piuttosto che antica, noi diremmo arcaica, se non addirittura atavica ...) Ovviamente, chi scrive, non è d’accordo sul piano soggettivo. Però ritiene, che su quello oggettivo, il pericolo di trasformare, per varie ragioni (ritardi, carenze, incapacità, eccetera) un atto di giustizia legale e istituzionale, in un atto di ingiustizia, illegale e collettiva, sia sempre possibile. E in questo consiste la sindrome del mostro di Düsseldorf.
Ora, il fatto che il Tribunale del Riesame, abbia rimesso in libertà i presunti colpevoli, è un segno positivo e non negativo. Perché indica che la cultura delle “regole” istituzionali rappresenta ancora oggi una garanzia per tutti i cittadini. Mentre il fatto che alcune presunte colpevoli, siano state picchiate in carcere da altri detenuti (come riportano alcuni giornali), indica purtroppo che le forze istintuali della giustizia sociale sono sempre in agguato, più che mai vive e vegete. Si potrebbe perciò perfino dire che le società restino arcaiche e che i singoli, ma non tutti, progrediscano... Almeno fino a un certo livello di civiltà (non sempre facile da stabilire...).
Certo, la cultura delle regole istituzionali, spesso è “ingombrante”, e se unita a problemi di risorse scarse e di malfunzionamento del sistema giudiziario, può provocare ritardi e ingiustizie di fatto. Nessuno nega questo. Ma riteniamo sia sempre preferibile all’ innocente in carcere, il colpevole in libertà.
La civiltà, quella vera, è segnata dal progressivo e regolare controllo degli istinti sociali attraverso regole istituzionali, accettate dagli individui. E si tratta dello stesso istinto, che sul piano individuale, l'attore Peter Lorre, il “mostro di Düsseldorf cinematografico , in una delle scene più drammatiche del film, ammetteva di non riuscire a contrastare da solo… Ma che caratterizzava, sul piano collettivo, lo stesso “Tribunale” della malavita, che in uno grigio scantinato voleva condannare il "mostro" a morte…
Insomma, dove l’individuo non può arrestarsi, interviene sempre una qualche forma di giustizia… Ma spesso feroce e non sempre "giusta". Ecco perché si deve onestamente accetttare, che nella triste e controversa vicenda di Rignano Flaminio, sia la cultura delle “regole” istituzionali a fare il suo corso.
Sarebbe un segno di grande civiltà.