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Ibn Sab'in, il Sufi contattato da Federico II di Svevia

di Paolo Scroccaro - 05/12/2005

Fonte: filosofiatv.org

 

 

Come è ben noto, la corte di Federico II era un crocevia di culture diverse e vi operavano alcuni tra i maggiori esponenti dell’intellettualità dell’epoca: basti ricordare Michele Scoto, filosofo, medico e astrologo; Teodoro di Antiochia, filosofo, inviato presso la corte federiciana dal califfo egizio Al-Kamil[1], amico di Federico, dopo la morte di Scoto, avvenuta nel 1235[2]; i traduttori della cosiddetta “scuola di Palermo”, certo non inferiori a quelli della più celebre scuola di Toledo; vari poeti e cantori di corte, incluso Pier delle Vigne…Tuttavia, su questioni cosmologiche e metafisiche di grande rilevanza, l’imperatore svevo non si accontentava delle risposte che poteva ottenere negli ambienti di corte, e si rivolgeva anche altrove, soprattutto alle cerchie dell’esoterismo islamico[3].

Alcuni suoi quesiti[4] giunsero infatti, tramite il sultano almohade, a Ceuta, in Marocco, dove operava Ibn Sa‛bin. Questi, nel rispondere a Federico, utilizzò Mosè, Platone, Avicenna e i Brahmani indù, non mancando di mettere in evidenza una certa superiorità culturale e spirituale rispetto a Federico II, che pur era considerato “stupor mundi” e uomo coltissimo nell’Europa cristiana.

 

Chi era dunque Ibn Sab‛in[5]?

Esponente dell’esoterismo nell’età federiciana, ebbe il merito di ripensare l’universalità dell’Islam in modo alquanto radicale, evidenziandone l’accordo con altre tradizioni, in particolare con l’Ermetismo ed il Platonismo. Il suo maggiore discepolo, Shushtari(originario di Cadice), confermò che, secondo il suo autorevole maestro, la confraternita di appartenenza (quella dei “Sab‛iniyun”) era collegata ad una catena iniziatica che includeva ad un tempo esponenti della spiritualità islamica e di forme sapienziali precedenti: tra gli “anelli” di essa troviamo infatti Hermes, Socrate, Platone (e perfino Aristotele!), Hallaj, Shibli, Niffari, Habashi, Suhrawardi, Hallawi Shudi(cadi di Siviglia). E’ il caso di sottolineare che siamo in presenza di una catena iniziatica che affonda le sue radici in referenti spirituali antecedenti la nascita della religione islamica: basterebbe questo a configurare una vera e propria sophia perennis universale, fondata sul presupposto che una qualche forma di “rivelazione”abbia ispirato le antiche tradizioni (ed anche i “Solitari” che eccedono ogni tradizione formale)[6]. Ciò, d’altra parte, è in qualche modo recepito nel Corano, là dove si recita:”…a ognuno di voi abbiamo dato una via e una direzione”(V, 48). Ed inoltre:” Non  facciamo differenze tra i messaggeri di Dio”(II, 284)[7]

In riferimento a quanto sopra, solitamente la dottrina islamica, essotericamente intesa, include nel ciclo profetico sigillato da Muhammad solo i profeti dell’Ebraismo e del Cristianesimo; la catena iniziatica di Ibn Sab‛in si spinge molto oltre, e più in largo, risalendo a Hermes, considerato in vari ambienti spirituali uno dei più grandi sapienti dell’antichità, richiamato anche nel Corano (v. XIX,57 e XXI, 85) con il nome di Idris ( e in Genesi con quello di Enoch). In lui è stato visto addirittura un rappresentante o un simbolo della Tradizione Pura Primordiale, e come tale è stato presentato nelle opere di prestigiosi esponenti del Sufismo[8]: non per caso lo stesso Ibn Sab‛in compose anche un Libro di Idris (Hermes)[9].

Ovviamente, i dottori musulmani letteralisti ed esclusivisti hanno cercato di screditare e di eliminare questa prospettiva spirituale universalistica, da loro ritenuta pericolosa ed eretica, estranea alla “dogmatica” islamica consolidata…A questo proposito, occorre citare quanto meno l’hanbalita Ibn Taymiya (1263-1328), il quale nell’età medievale ha ben rappresentato l’ala più oltranzista ed intollerante dell’Islam[10]…(ed ancor oggi è così, poiché le attuali tendenze wahhabite e salafite si richiamano più o meno apertamente ai suoi scritti ed alle sue posizioni “dogmatiche”).

Se ciò nonostante l’Islam medievale viene ricordato per la sua tolleranza e per la sua ricchezza spirituale e civile, ciò si deve non certo a Ibn Taymiya e ai suoi simili, bensì al fatto che tale essoterismo era abbondantemente controbilanciato da correnti spirituali in cui prevaleva l’aspetto metafisico-esoterico, con le conseguenti applicazioni anche sul piano socio-politico, permettendo quel surplus di apertura, di pluralismo, di profondità intellettuale, che a suo tempo fecero dell’Islam (nei momenti migliori della sua storia) una civiltà illuminata, nel contesto dell’epoca…Tutto questo mentre in Europa prevaleva un cattolicesimo intransigente e repressivo (Ibn Taymiya in versione cristiana), nella misura in cui mancava il contrappeso salvifico di influssi sapienziali altrettanto importanti, profondi e diffusi (merita sottolineare che, nonostante i suoi limiti, l’esperienza politica e spirituale legata alla cerchia di Federico II rappresentò uno dei tentativi di sottrarre l’Europa cristiana alla mediocrità o peggio in cui si trovava avviluppata).

Stando ad una segnalazione di Louis Massignon, la confraternita di Ibn Sab‛in sarebbe rimasta vitale, specie nel Maghreb e in Siria, almeno fino all’età di Murtada Zabidi Bilgrami(morto nel 1791), il quale cita espressamente gli anelli della catena iniziatica che collegavano la sua persona a Ibn Sab‛in.

In seguito, e di più negli ultimi tempi, l’influsso di certe forme spirituali sembra essersi alquanto rarefatto, nell’Islam (e l’Occidente si trova in una condizione migliore?).Tale affievolimento si accompagna ad un presagio inquietante: stiamo forse assistendo alla rivincita di Ibn Taymiya?

 

 

                                                        

                                                                    A cura di P.S.



[1] Al-Kamil, sultano d’Egitto, era uno dei successori di Saladino. Sovrano colto e illuminato quanto Federico, rimase impressionato dall’apertura mentale di quest’ultimo e dalla sua notevole conoscenza della cultura islamica: da ciò doveva nascere prima un profondo rispetto reciproco, e poi una amicizia non meno profonda, nonostante i due sovrani operassero formalmente su fronti contrapposti. In tale contesto amicale, si arrivò al Trattato del 1229, con il quale Federico entrava in possesso di Gerusalemme, sulla base di un accordo personale con Al-Kamil e in modo totalmente pacifico (là dove i tentativi armati delle Crociate volute dalla Chiesa a seguito della conquista di Gerusalemme da parte di Saladino si rivelarono fallimentari). Si noti che papa Gregorio IX escogitò numerosi e spregevoli intrighi, per impedire che si arrivasse ad una soluzione pacifica, cioè al successo della strategia dello scomunicato Federico II. Evidentemente, il Trattato del 1229 fu il frutto non dei soliti calcoli triviali che quasi sempre accompagnano i compromessi politici, bensì di un’intesa che trascende di gran lunga la mediocrità della lotta politica ordinaria. Anche per questo l’accordo attirò sui due sovrani le ostilità e i veleni degli ambienti più guerrafondai ed essoterici dell’Islam e del Cattolicesimo, con un sovrappiù di velenosità da parte di quest’ultimo.

 

[2] Michele Scoto aveva grande fama di astrologo e indovino, tanto da prevedere data e dettagli della sua stessa morte. Cercando di aggirare il destino, approssimandosi l’ora fatale, si narra che andasse in giro con la testa protetta da un cappuccio di ferro: evidentemente non abbastanza robusto, poiché una grossa pietra cadendo lo ferì mortalmente, nel 1235, mentre seguiva Federico in Germania.

 

[3] A questo proposito, vengono ricordati i buoni rapporti di Federico II con gli Ismailiti e si racconta addirittura di una sua visita al Senior Montane (il Grande Vecchio della Montagna), forse l’autorità spirituale più prestigiosa nei circoli radicali dell’esoterismo islamico medievale. In aggiunta, Federico avrebbe ospitato per un certo periodo alcuni inviati del Grande Vecchio. Date le indiscrezioni sulle sue amicizie con tali ambienti, Federico venne accusato di aver fatto assassinare il duca Ludovico di Baviera, utilizzando come sicari proprio alcuni Assasi (da Assas, cioè Custode: così erano chiamati i seguaci del Vecchio della Montagna; alcuni preferirono denominarli Assassini, volendo darne una connotazione negativa). Ricorderemo inoltre, a proposito di Federico, “il suo sogno di una teologia imperiale imperniata sull’idea dell’Uomo Perfetto come centro del mondo”(H. Corbin, Storia della filosofia islamica, Adelphi, 1989, pag. 266), nozione tipica del sufismo.

 

[4] Si tratta dei Quesiti Siciliani, conservati in un codice arabo

[5] Nacque a Murcia, in Andalusia, verso il 1217…in seguito lo troviamo a Ceuta, in Marocco, dove ricevette i Quesiti Siciliani di Federico. Morì suicida a La Mecca, nel 1270. Scrisse vari testi dedicati all’Ermetismo e ai maggiori filosofi medievali (Al Farabi, Avicenna, Averroè, Al Ghazali…). La fuga dello gnostico è stata considerata la sua opera principale.

 

[6] L’ispirazione diretta, al di fuori o al di sopra delle forme tradizionali particolari, sembra ammessa anche nel Corano e la figura misteriosa del Khidr è il simbolo di tale eccezionale evento, v. Corano XVIII, 64 e seg., dove egli compare come guida anonima di Mosè (a tale guida la tradizione islamica, unanimemente, ha dato il nome Khidr, cioè Verde). A tal proposito C.A.Gilis, mostrando la differenza tra scienza acquisita e donata, ha osservato che quest’ultima “non è il frutto di un’attività mentale o di un’acquisizione, come la scienza degli Afrad (Solitari) che è quella del Khidr”(Lo spirito universale dell’Islam, Il Cerchio, 1999, pag.14). Seguendo F.Schuon, il Khidr “rappresenta, come Melchisedech, la spiritualità aformale, universale e primordiale (Sura della Caverna, 65-82)” (Il sufismo. Velo e quintessenza. Mediterranee, 1982, pag. 38). Più oltre (a pag. 132) parla di istruzione “per via verticale, il che si riferisce alla misteriosa filiazione del Khidr…al di fuori delle esigenze di una tradizione orizzontale “. I “Solitari” non dipendono da nessun’altra autorità che quella divina, e ciò vale anche per il Khidr. En passant, ricorderemo che lo stesso Ibn Arabi lo riconoscerà come maestro soprannaturale. La spiritualità aformale richiamata da Schuon ben si adatta alla funzione del Khidr, dato che egli figura (assieme a Idris, Elia e Gesù) come una delle 4 Colonne della Tradizione Pura Originaria, che in quanto tale trascende l’Islam e le altre tradizioni particolari, che rispetto ad essa si posizionano come proiezioni più o meno formali, e quindi delimitate.

 

[7] A tal riguardo, F. Schuon osserva: “I brani coranici che recitano non esservi popolo in cui Dio non ha fatto sorgere un Profeta, sono equivalenti all’idea indù del Sanatana Dharma”(L’unità trascendente delle religioni, Mediterranee, 1980, pag. 96). A proposito delle presenze profetiche, aggiunge che “i discepoli di Rumi vedono in Platone una sorta di Profeta”, e che “Jili ebbe di lui una visione inondante lo spazio di luce”(L’esoterismo come principio e come via, Mediterranee, 1984, pag.25). Come si può notare, questo modo di intendere Platone sembra concordare o almeno armonizzarsi con quanto sostenuto da Ibn Sab‛in.

 

[8] Scrive a questo proposito Michel Valsan, riportando l’autorevole punto di vista di Ibn Arabi:” …il Polo islamico e i suoi Imam non sono se non dei rappresentanti di certi profeti viventi che costituiscono la gerarchia fondamentale e perpetua della tradizione del nostro mondo”. Poco oltre, cita “Idris, Elia, Gesù e Khidr” quali “Colonne della Tradizione Pura, la quale è evidentemente la Tradizione primordiale e universale, con cui l’Islam nella sua essenza si identifica”. Essi costituiscono “un Centro supremo al di fuori della forma particolare dell’Islam e al di sopra del centro spirituale islamico…tutti insieme costituiscono un quaternario che corrisponde ai quattro Arkan(Angoli o Pilastri) del Tempio della Tradizione” (La realizzazione discendente degli ultimi tre gradi della massoneria scozzese, Arktos, 1988, pag. 16, 17, 18). A pag. 19, Valsan richiama l’equivalenza tra Idris e Hermes.

 

[9] Secondo L. Massignon, l’ermetismo di Ibn Sab‛in gli proviene dal cadi di Siviglia Hallawi Shudhi, e risalirebbe alla scuola di Ibn Masarra (asceta andaluso, morto nel 932). Merita segnalare, seguendo lo stesso Massignon, che a Harran (Mesopotamia) fino al 900, i Sabei di lingua siriana erano dediti ancora al culto “pagano” di Hermes. E poiché Hermes, in certi ambienti musulmani, veniva identificato con l’Idris coranico, essi speravano di esser riconosciuti e tollerati come religione dall’Islam istituzionale. Ma a partire dal 933 essi furono obbligati a convertirsi, sotto la minaccia di sterminio, voluta dal cadi A.I.Istakhri di Bagdad. In questa occasione, come in altre, il fanatismo dell’Islam esteriore riuscì ad imporre la sua linea intollerante. Ciò nonostante, Hermes continuerà a sopravvivere nell’Islam “interiore”ed Ibn Sab‛in ne è testimone non da poco.

 

[10] Ibn Taymiya, in nome di un letteralismo dogmatico privo di respiro intellettuale, scrisse vari testi polemici e aggressivi contro le tendenze più aperte e profonde dell’Islam, pretendendo di escluderle in quanto eretiche: ricordiamo La via del sunnismo, in cui critica vari aspetti della dottrina sciita; La refutazione  dei logici, in cui se la prende con le tendenze filosofico-metafisiche (cioè con Al Farabi, Avicenna e lo stesso Ibn Sab‛in); Corbin cita anche un trattato “contro la confraternita sufi dei Rifa’iya”(v. Storia della filosofia islamica, Adelphi, pag. 275).