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Il mercato e l'agorà

di Serge Latouche - 07/12/2005

Fonte: ariannaeditrice.it

 
Uscire dall'economia vuol dire mettere in discussione il dominio dell'economia sul resto della vita, in teoria e in pratica, ma soprattutto nelle nostre teste. Questo deve sicuramente comportare un
superamento della proprietà privata dei mezzi di produzione e dell'accumulazione illimitata di capitale. Deve anche sfociare, di conseguenza, nell'abbandono dello sviluppo, perchè i suoi miti
fondatori, in particolare la credenza nel progresso, scomparirebbero.
L'economia imboccherebbe un processo sia di decremento sia di deperimento. La costruzione di una società meno ingiusta consisterebbe nella reintroduzione della convivialità e, al tempo stesso, di un consumo più limitato quantitativamente e più esigente qualitativamente. Lo spreco insensato degli spostamenti di uomini e merci sul piaeta con il corrispondente impatto negativo sull'ambiente, quello non meno considerevole della pubblicità
chiassosa e inutile, quello infine dell'obsolescenza accelerata dei prodotti e delle apparecchiature da gettar via senz'altra giustificazione se non quella di far girare sempre più velocemente la megamacchina infernale costituiscono delle riserve importanti di diminuzione del consumo materiale. Le ripercussioni sul nostro livello di vita non possono produrre altro che un miglior benessere.
E' anche possibile immaginare questo decremento insieme alla ricerca-feticcio della crescita di un reddito calcolato in modo più sensato. Tutto questo senza parlare delle spese militari e neanche,
ovviamente, dei cambiamenti in profondità dei nostri valori e dei nostri modi di vita, che accordino maggiore importanza ai "beni relazionali" e ribaltino i nostri sistemi di produzione e di potere.

Questo ero e proprio "reincastro" dell'economico nel sociale significherebbe comunque la scomparsa del mercato? La domanda può sembrare strampalata o paradossale. Infatti, come si fa ad immaginare
un'abolizione dell'economia insieme al mantenimento di quest'istituzione che ne è, almeno in apparenza, il fondamento stesso? Certo, questo sarebbe inconcepibile se si indentificasse il
mercato con il Mercato, ossia con l'economia di mercato e la società di mercato. Tuttavia, se si osserva che abbiamo testimonianza di mercati in molteplici società in tutti i continenti, e questo dalla più lontana antichità, molto prima della nascita del capitalismo e al di fuori del suo modo di produzione, la questione merita di essere posta. Questa istituzione, infatti, facilita incontestabilmente il commercio sociale, e non necessariamente nel senso dello sviluppo delle ineguaglianze e dell'ingiustizia.

Un indizio della perennità dell'istituzione del mercato-incontro,al di là dell'invenzione dell'economia, è il fatto che, a differenza delle altre nozioni fondamentali come lo sviluppo e il lavoro, esistono delle parole per dirlo in tutte le lingue africane. Un breve sguardo sui mercati africani è ricco di insegnamenti.

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"Un mercato?", osserva Dominique Fernandez. "Che termine piatto e mercantile per indicare il territorio magico in cui si svolge una fastosissima cerimonia in onore dei colori e dei profumi!" Questa
osservazione, che vale ancora (ma per quanto?) per i mercati dei villaggi e delle città dei nostri paesi latini, è cento volte più vera per i mercati africani. Un mercato senza odori rischia addirittura di non avere alcun successo. E', per lo meno, la lezione dell'esperienza di Ziniare nel Burkina Faso.

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Il festival di colori e di odori dei mercati africani è uno spazio di socievolezza, prima ancora di essere un luogo di scambi di derrate. L'agorà, come il foro, era un mercato (del resto ancora oggi Agorà è il termine usato in greco moderno per indicare questa istituzione), ma la storia ha ricordato soprattutto che si trattava dei luoghi per eccellenza della vita pubblica.
Il mercato è quindi l'occasione per incontrare amici e parenti,dello stesso villaggio ma anche dei villaggi vicini. E' un luogo in cui si incontrano le generazioni, i sessi e le etnie diverse, legate da parentele che permettono i reciprochi scherzi, persino in situazione di guerra più o meno aperta. Il mercato è un
territorio neutrale. Ciascuno depone le armi prima di entrare. Questi grandi raduni scandiscono il calendario e servono spesso come punto di riferimento cronologico. Sono l'occasione per annunciare pubblicamente i grandi avvenimenti, eventualmente attraverso un banditore pubblico. In un caso sono le trattative matrimoniali, nell'altro dei funerali che fanno tre volte il giro della piazza.

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Il lato erotico dei mercati risulta ancora più accentuato per i mercati notturni, che sono spesso occasione di trasgressioni, il che può spiegare il loro successo a dispetto dei rischi reali e
immaginari che si affrontano per andarvi. Tuttavia, con la merce venuta da lontano arriva lo straniero, oggetto al al tempo stesso di diffidenza e di fascino. Il mercato africano, esterno alla cinta del
villaggio, è un luogo neutro e pacifico in cui si contatta e si sperimenta l'altro. Le notizie del mondo esterno arrivano insieme alla conoscenza di altre credenze e usanze, che inquietano ma costringono ad uscire da se stessi e a relativizzare le cose. Il mercato è una scuola di tolleranza.
Infine, anche se la principale derrata che viene scambiata è la parola, la circolazione dei prodotti costituisce comunque la ragion d'essere di queste fiere periodiche. E qui ci scontra con il paradosso mercantile dell'Africa.A leggere certi testi economici, e in particolare i rapporti della Banca Mondiale, si sarebbe a volte tentati di crredere che il mercato sia una realtà nuova a sud del Sahara. Così il rapporto annuale per il 2000 del FMI dichiara, a proposito dei paesi africani, che "non sono ancora riusciti a integrarsi nei mercati mondiali".

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I suk e i mercati, luoghi di scambio e di incontri, sono innumerevoli attraverso tutta l'Africa. Essi coinvolgono la totalità della popolazione. La pregnanza dello scambio mercantile è almeno tanto
antica quanto in Europa.

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Se i paesi africani sembrano "non decollare" nell'attuale globalizzazione, è perchè subiscono in pieno gli effetti di esclusione dovuti all'apertura dei mercati. Dissanguati, non hanno più molto da offrire, e ciò che offrono è sempre più svalutato dai meccanismi diabolici dei piani di riassetto strutturale. Tuttavia, i mercati colorati e pieni di odori costituiscono forse uno degli ultimi baluardi contro il Mercato e i
suoi effetti distruttivi.
Questo scambio di derrate, mescolato alla parola, in cui ciascuno soppesa l'altro per trovare il tasso di scambio che permette di mantenere la relazione, è agli antipodi del supermercato vantato
da Milton Friedman, in cui le persone non hanno bisogno di piacersi o di conoscersi per fare degli affari.

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Credere che l'unificazione e l'uniformazione planetaria siano la condizione della pace è una falsa idea brillante, anche al di là dell'impostura economica. La diversità delle culture è verosimilmente la condizione di un commercio sociale pacifico.
Infatti ogni cultura si caratterizza per la specificità dei suoi valori. Anche se regnassero un linguaggio e una moneta comune sul pianeta, ogni cultura accorderebbe loro significati propri e parzialmente diversi.
Se le sedi di mercato, i mercati-incontro sono stati per secoli in quasi tutti i continenti luoghi di scambi pacifici, di composizione di conflitti, di circolazione matrimoniale, fra vicini e anche fra nemici, è perchè le transazioni fra estranei permesse dall'intermediazione monetaria, nonostante il suo anonimato relativo, conservano le qualità del dono riuscito fra conoscenti. Per le diverse scale di valori, ognuno ne usciva convinto di aver fatto un buon affare (o addirittura di aver abbindolato il proprio partner, a
sua volta persuaso di essere riuscito nello stesso tiro!). I mercati africani illustrano abbondantemente questa astuzia  del commercio pacifico fra culture diverse. "Attribuendo un valore morale diverso
agli effetti scambiati", scrive l'antropologo Marco Aime, "ciascuno dei due attori si riterrà vincitore, secondo i suoi parametri".

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Anche se mercantile, lo scambio può possedere le virtù del "commercio dolce", a condizione che partecipi della logica del dono, mentre il Mercato anonimo e astratto è fonte inesauribile di frustrazioni, di invidia e di conflitti.
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"Il cerimoniale del mercanteggiamento, per qanto aspro", osserva Guy Nicolas a propostito degli huassa del Niger, "conserva sempre qualche aspetto oblativo (...). L'aspetto ludico della contrattazione ha qualche rapporto con quello del dono".

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Questa affinità tra  rapporti di scambio basati sul mercanteggiamento e il dono è ulteriormente accresciuta dal fatto che per lo più in Africa il denaro non ha lo statuto di un equivalente generale astratto, ma possiede una realtà concreta che lo trasforma in oggetto di controdono. Quando il denaro e l'economia restano "incastrate" nel sociale, come succede ancora ampiamente, il denaro è un quasi-oggetto molto più che una moneta.Così, il mercato-incontro è un segno e una fonte incontestabile
di prosperità, in tutti i sensi del termine. Come le fiere dei sistemi di scambio locali (Sel), stimola non solo gli scambi, ma, attraverso di loro, la produzione di derrate e il dinamismo collettivo, ma senza l'alienazione propria del rapporto mercantile e della strumentalizzazione della produzione capitalistica.

In Africa c'è un capo del mercato, più o meno ufficiale, che rende conto in generale al capovillaggio, che non ha il diritto di venire al mercato.

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Ancor oggi, nella vita politica francese, una parte importante della campagna elettorale si sovlge attorno ai mercati. Qui si distribuiscono volantini, i candidati vengono a distribuire il loro programma e a stringere le mani ai commercianti, uomini e donne, e ad ascoltare le loro rivendicazioni. In Africa, una parte importante della politica del periodo dopo l'indipendenza è stata fatta sui mercati e attorno ad essi. L'appoggio delle associazioni di mercato, spesso, resta ancora decisivo. Si capisce che i poteri pubblici abbiano sempre tentat5o di controllare questi luoghi in cui si mescolano tante popolazioni diverse e tante idee, magari sovversive. I  mercati sono uno sfogo, non solo per le trasgressioni sessuali, ma anche per tutte le tensioni.

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Così il pazzo si trova a proprio agio al mercato, che esercita una funzione quasi terapeutica. Ma i mercati sono soprattutto dei luoghi di fronda potenziale. Scioperi o movimenti di commercianti hanno
avuto ragione di certi governi. Innestato nella società africana,il mercato rappresenta una sorta di contropotere. "Luogo neutrale e pertanto politico, ma non politicizzato". E' una distinzione importante, E' per eccellenza il luogo della società civile, con tutta la complessità di senso che questo concetto riveste nel contesto africano, opposto alla società politica, militare o religiosa legata al potere ufficiale. Al mercato si risovono molti conflitti, con la parola e talvolta con il ricorso all'arbitrato degli anziani e dei saggi, ma, anche se si svolgono molte riunioni di discussione in margine al mercato, il mercato non è questo, non è la discussione con il suo rituale e la sua solennità.

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Ma è il momento di svelare l'altra faccia, o il vero volto del mercato. Si tratta di un luogo eminentemente femminile. Le donne risultano gli attori chiave. Sono loro che tirano le fila e che dominano la scena del commercio.
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Questi poteri detenuti dalle donne dei mercati, più o meno consacrati da titoli e funzioni tradizionali, rappresentano una duplice sfida nei confronti delle autorità locali e statali. Nella maggior parte dei paesi africani, il controllo commerciale costituisce una forma di resistenza simbolica e materiale ai
tentativi di controllo economico da parte dei vari governi. Attraverso la forza tranquilla della protesta passiva (ma talvolta molto attiva) dei mercati, si esprime la società civile, che fa sapere il limite oltre il quale il disprezzo del cittadino (e ancor più della cittadina) non può spingersi.

Infine, il mercato-incontro, come esiste ancora in Africa, testimonia la sopravvivenza di un inserimento piuttosto profondo dell'economia nella società. Ma allora, la distinzione di Karl Polanyi fra economia sostanziale ed economia formale non ha più motivo di esistere.
L'economia è sempre formale, in un certo senso, e dire che è "incastrata" nel sociale è un modo "occidentocentrico" di parlare, per esprimere il fatto che non si ha davvero a che fare con l'economia, ma con la società. Certo, bisogna introdurre una riserva importante: le situazioni attuali sono ibride, poichè, essendo l'Occidente penetrato ovunque, tutti i mercati sono pervertiti dal Mercato, tutti i commerci e gli scambi sociali dall'economia, e tutte le ragioni dalla razionalità calcolatrice.
Resta comunque il fatto, ed è anzi un insegnamento che può esserci fornito dalla conoscenza dell'Africa, che la riscoperta del mercato-incontro fa parte dell'arsenale che la società civile
dovrà verosimilmente restaurare per uscire dall'eccesso della società del Mercato imposta dalla mondializzazione liberale.
La società di mercato è certamente una società di mercantilizzazione, ma il Mercato della teoria, come una moltitudine di persone che offrono e domandano, è un mito. Le concentrazioni e i monopoli lo hanno totalmente eliminato e trasformato, ammesso che sia mai esistito. Invece, il luogo di mercato, il mercato sede d'incontro e di chiacchiere dei cittadini dev'essere reinventato. Bisogna, pur riconoscendo la dualità necessaria fra società primaria (comunitaria) e secondaria (o societaria), evitare l'eteronomia della società di Mercato assumendo pienamente la mediazione democratica del rapporto di scambio tra cittadini. Il ritorno dello spirito del dono nella società postmoderna è una necessità, ma non deve compromettere la persistenza di una società secondaria. La si può considerare funzionale alla
cittadinanza basata sulla benevolenza reciproca, la simpatia o la *philia*, senza ricadere nel familismo e il clientelismo. La riappropriazione del mercato significa concretamente la riaffermazione della natura radicalmente politica dello scambio mercantile, che è solo una forma del commercio sociale.
Così, anche se è auspicabile che persistano dei mercati e dei rapporti mercantili, accanto alla redistribuzione e alla reciprocità, è l'immaginario del Mercato che dovrebbe prima di tutto essere abolito per rompere con la logica dell'eccesso.

 

(orig. Le marchè, l'agora et l'acropole; Réfractiones n.9)