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Il bancorotto. Un po’ di storia: 25 anni fa ….

di Lino Rossi - 19/06/2007

 
 


L’ESPRESSO – 19 dicembre 1982

Napoli: dopo le dimissioni di Ossola come il Banco di Napoli, tradizionalmente condizionato da partiti e correnti locali della DC. E', infatti, sulla nomina del direttore generale che Ossola incorre nel suo primo incidente di percorso. Alla fine dell'anno quella poltrona diventa vacante per le dimissioni di Domenico Viggiani: subito dopo, iniziano le grandi manovre. Si parla di banchieri del nord come Alessandro Nezzo e Giorgio Cigliata.

Si parla di Ferdinando Ventriglia, presidente dell’Isveimer, ma queste candidature vengono improvvisamente bruciate dall’annuncio del ministro del Tesoro Andreatta. Il nuovo direttore sarà Raffaele Picella. Consigliere delegato della Fabocart, consigliere dc del Banco, Picella corre per Ciriaco De Mita. Ma Ossola si impunta; in una clamorosa polemica aperta con Andreatta dichiara che Picella non è in grado di fare il direttore generale e minaccia le dimissioni. La determinazione del presidente ha il suo effetto; di fronte a tanta furia Andreatta recede, ma la fronda anti-Ossola all'interno del Banco si rafforza e la DC non gliela perdona. Il direttore generale non si farà più, lasciando il Banco privo dall'esecutivo e alimentando, in ogni riunione del consiglio da quasi due anni a questa parte, un'ostinata contrapposizione su ogni decisione.
Le liti. “Non è vero che il consiglio del Banco fosse paralizzante”, dice Nicola Scaglione, consigliere socialista, “semmai la colpa era di Ossola, che veniva qui a fare l’amministratore delegato”. Insomma il presidente era accentratore e anche un po' snob, caratteristiche che alla classe dirigente napoletana non sono mai andate giù. Cosi la temperatura è salita tra punture di spillo e veri e propri colpi di mano. A Natale Gilio, segretario particolare di Ossola nominato incautamente direttore di sede, sono stati contestati i viaggi troppo frequenti tra Roma e Napoli. Cesare Geronzi, sempre assunto dal presidente come vicedirettore generale, ha visto bocciata la sua nomina a consigliere d'amministrazione del Banco di Napoli International, con sede a Lussemburgo. “Ma ci sono anche delle delibere del consiglio non rispettate da Ossola” reagisce Scaglione; “quella, per esempio, che nominava il sindaco del Banco all'Isveimer. Noi avevamo indicato Luigi Torino. Il presidente prima ha preso tempo, poi ha Comunicato un altro nome, quello di Roberto Sanseverino”.
I soldi al consiglieri. E' Stato proprio Sanseverino, sindaco di nomina Banca d'Italia, a dar fuoco alle polveri dell'ultimo scandalo che ha colpito il Banco: i prestiti personali ricevuti da alcuni consiglieri. Gennaro del Balzo di Presenzano, conte, latifondista e accusato di falso in bilancio per il crack del Credito Salernitano, la banca di cui era il maggiore azionista, 100 milioni; Ugo Grimaldi, armatore, legato ad Antonio Gava, 700 milioni; Raffaele Tosto, commerciante, legato al ministro degli Esteri Emilio Colombo, crediti vari dalla filiale di Matera; Vincenzo Spagnuolo Vigorita, repubblicano, avvocato amministrativista, 40 milioni. E' l'affare più oscuro, attorno al quale si muovono troppi personaggi e che ora è nelle :nani degli ispettori della Banca d'Italia, da settembre al lavoro presso il Banco. La Vigilanza di via Nazionale aveva già richiesto dalla fine di luglio gli affidamenti ai consiglieri; fatto strano, osservavano a Napoli, visto che i prestiti non sono vietati ma regolati dal voto all'unanimità. I sindaci ne erano quindi al corrente. Tutto procede in ordine fino a settembre, quando Sanseverino fa la sua denuncia sui quattro consiglieri: non solo avevano avuto prestiti, ma non li avevano neanche rinnovati. “Sanseverino ha spesso esorbitato dai suoi compiti istituzionali”, attacca Scaglione, e anche questa volta ha fatto da testa di turco: l'ispezione non è stata provocata da lui, perché era già decisa”. Dopo il gran polverone, oggi la stessa Banca d’Italia tende a minimizzare. “E' vero che per quelle linee di credito non sono state osservate delle formalità”, afferma Giuseppe Castiglione, direttore della sede napoletana dell’istituto di emissione, “ma si tratta di dimenticanze. E poi sono operazioni modeste; ritorneranno in consiglio e tutto si sanerà con una nuova delibera”. Insomma Sanseverino avrebbe fatto un cancan inutile. Ma a chi è servito?
Lo statuto. “La bozza di statuto, pronta dall'ottobre 1981, non è stata presa in considerazione dal consiglio d'amministrazione al quale è stata sottoposta nella scorso gennaio dopo ottenuta la piena approvazione dei ministro e della Banca d'Italia”. Così scrive Ossola nella sua lettera di commiato a proposito dallo smacco più bruciante: il veto al nuovo statuto del Banco, la sua creatura. Dal progetto uscivano molto accresciuti i poteri del presidente e soprattutto si sanciva l'ingresso di azionisti privati, nella proprietà del Banco. E Ossola li aveva già individuati: si trattava di gruppi arabi (lui é presidente dell'Associazione italo-araba) e americani, interessati a versare 300 miliardi per ottenere il 40% del capitale. “Arabi?! Quando l'abbiamo saputo siamo rimasti sconvolti” racconta, per tutto il consiglio, Scaglione. « Credevamo che si parlasse di enti, di assicurazioni; non di stranieri. E così abbiamo voluto vederci chiaro”.
Morale, due anni persi in un clima che non ha precedenti nella storia della gestione bancaria. L'epilogo riaffida il Banco alle cure dei partiti: presidente democristiano, direttore generale socialista. L'era di Ossola è finita? “Non è mai esistita un'era di Ossola”, conclude Scaglione.

Paola Pilati


E CI VA’ DI MEZZO CIAMPI

Roma. Il contraccolpo è arrivato anche a Roma. Su via Nazionale, sul vertice della Banca d'Italia. Con il beau geste delle sue dimissioni, Rinaldo Ossola, presidente del Banco di Napoli, non ha voluto risparmiare neppure il governatore, Carlo Azeglio Ciampi, colpevole, a suo dire, d'averlo incitato a lasciare l'incarico sin dall'agosto scorso. E, quindi, d'averlo abbandonato al sua destino.
Nelle accuse di Ossola, forse, c’è un pizzico di veleno di troppo e un po' di risentimento. Ma l'ex presidente del Banco di Napoli non é il solo a criticare la Banca d'Italia. Da qualche mese il dissenso contro il vertice di via Nazionale s’è fatto sempre più consistente. Dai versanti più disparati: dal mondo bancario a quello politico e sindacale. E le contestazioni non risparmiano quasi nessun aspetto dell' attività dell'istituto di emissione.
Eppure, sino a pochissimo tempo fa, la Banca d'Italia era universalmente descritta come un'oasi di tecnologia e di efficienza in un paese in sfacelo. Come mai oggi è sotto accusa? E quali rimproveri le vengono mossi? Il primo colpo alla credibilità di via Nazionale é venuto dalla vicenda del Banco Ambrosiano. Da un lato era stata proprio la Vigilanza della Banca d'Italia a scoprire all’inizio gli affari di Roberto Calvi. Ma Calvi aveva potuto continuare ad agire indisturbato. In Borsa, il titolo dell'Ambrosiano aveva visto salire alle stelle la sua quotazione. Eppure era imminente il gran tonfo. La Banca d'Italia poteva impedire tutto questo? Di sicuro non ha nemmeno tentato. E nemmeno dopo il suo operato è apparso deciso e convincente. Le banche, piccole e grandi, escluse dal pool di salvataggio dell'Ambrosiano in un primo momento, hanno rimproverato a via Nazionale un atteggiamento parziale nell'assegnare solo ad alcuni istituti di credito gli avanzi dell’impero di Calvi.
Non solo. Alle banche non é piaciuto nemmeno l'atteggiamento che via Nazionale ha tenuto su un altro aspetto della vicenda Ambrosiano. Dopo il crack ha lasciato al loro destino i creditori esteri di Calvi senza troppo preoccuparsi di conservare al sistema bancario italiano un'immagine di buon pagatore. E, nello stesso tempo, non è riuscita a trovare una strada per recuperare i crediti che l’Ambrosiano aveva nei confronti dello Ior.
Ma le critiche alla Banca d'Italia non verngono solo da questi versanti. L'ultima relazione annuale di Ciampi e la Sua sortita contro la scala mobile hanno attirato sul governatore i fulmini dei sindacati, secondo i quali, in questo modo, è stata avallata l’offensiva , della Confindustria contro gli accordi sulla contingenza. Un'offensiva che, fra l'altro, aveva già l'appoggio della Dc.
E troppa premura è stata mostrata dalla Banca d’Italia nel sollecitare il condono fiscale, per sé e per tutte le altre banche. L’impressione che ne è scaturita è che l’intero sistema creditizio avesse più di un peccato da farsi perdonare dal fisco. Anche a costo di pagare un prezzo salato, di decine e decine di miliardi. Impressione che non ha certo giovato al prestigio della Banca d’Italia, la quale, in qualche modo, è apparsa come la capofila d’una istanza corporativa del sistema bancario italiano.
Persino il mito dell'efficienza e della tecnocrazia ha subito qualche colpo. Per settimane, l'attività dell'istituto di emissione à stata pressoché paralizzata da un lungo sciopero dei dipendenti, che non ha precedenti nella sua storia. Dalle pensioni agli stipendi, sono stati messi in forse i pagamenti di mezza Italia. E il prestigio di Ciampi non ne ha guadagnato, come se, per la prima volta, alla Banca d'Italia esplodesse il malessere e il governatore fosse incapace di prevenirlo e rimuoverlo.
Da ultimo, l'attacco di Ossola e la vicenda del Banco di Napoli, dove latitanza della Banca d'Italia ha lasciato precipitare le cose facendo sì che sulla più importante banca del Mezzogiorno si scatenassero gli appetiti dei partiti, in primo luogo della Dc di Ciriaco De Mita.
Ma quali sono davvero le colpe della Barca d'Italia? Nonostante tutto, ci sono ancora molti pronti a difendere l'istituto di emissione. E a dire che le responsabilità vanno ricercate altrove. “Come si fa a scaricare tutto sulla Banca d'Italia?”, dice Luigi Coccioli, presidente del San Paolo di Torino. “E' il governo che non si è preso le sue responsabilità né in campo creditizio né in materia di politica economica. E la Banca d'Italia ha dovuto caricarsi tutto sulle sue spalle”.
Ed è quello che ribadiscono in via Nazionale, dove sottolineano che i tempi sono cambiati. La situazione economica italiana non è più quella dell’epoca di Guido Carli. Allora il reddito nazionale era in crescita e c'era posto per tutti. Oggi tutti i margini si sono ristretti, l’inflazione è esplosa e la disoccupazione pure. Anche nulle ultime vicende, Ciampi poteva fare ben poco. L'Ambrosiano? Sono ricadute sulla Banca centrale questioni che trascendono i compiti dell'istituto. A cominciare da quelle che riguardano i problemi di politica estera.
Anche per il condono, chi è responsabile è il sistema fiscale italiano. Troppo lacunoso e pieno di incertezze. E nessun amministratore preferisce continuare a rischiare, quando ci sono tanti dubbi interpretativi. Cosi come per quanto riguarda i temi della vigilanza e del controllo sugli istituti di credito. La Banca d'Italia si muove nel contesto deciso dal governo e fissato, più in generale, dalla legge bancaria. Certe critiche, quindi, sono pretestuose. E pericolose. Perché l’istituto di emissione è un meccanismo delicato e farlo rompere non conviene a nessuno.

Tullio Fazzolari e Salvatore Tallarita – L’ESPRESSO – 19 dicembre 1982


Osservazioni:

1) L’editoriale “l’espresso” non è quel che si dice il peggior nemico di bankitalia.
EUGENIO SCALFARI
il Sabato, 29 agosto 1987
I rapporti con La Malfa, Visentini, Agnelli erano strutturali e non dimentichiamo la simpatia per Carlo De Benedetti, Leopoldo Pirelli, Orlando, molti dei quali pregai di entrare nella società, alla fondazione di Repubblica... Questo giornale è strutturalmente il portaparola della Banca d'Italia... E' una platea rappresentativa di tutta la classe dirigente.
La Repubblica, 9 gennaio 2005
Ciampi è la voce autentica della pubblica opinione .......... quella che vorrebbe un paese moderno, un sistema efficace, una politica nazionale ed europea, una classe dirigente integerrima, una libertà di ampio respiro e una solidarietà fraterna e solidale.
Ciampi non è soltanto il presidente della repubblica ma è, soprattutto, l'educatore di una nazione, il padre che indica la retta via senza piegarsi né a lusinghe né a minacce.

2) Luigi Coccioli, presidente del San Paolo di Torino, primo difensore dell’istituto di emissione, era azionista dello stesso. Cicero pro domo sua.

3) Rinaldo Ossola a tutti gli effetti voleva privatizzare il Banco di Napoli senza averne il mandato. Bene ha fatto il sistema politico a fermarlo. Purtroppo l’operazione è riuscita, col botto, 10 anni dopo ai passeggiatori del Britannia del 2 giugno ’92 (dopo essersi sbarazzati di Craxi).

4) Non va dimenticato che nel 1982 quasi tutte le banche erano del gruppo IRI e che bankitalia era di loro proprietà.
http://www.sovranitamonetaria.org/documents/Partecipanti.html
purtroppo anche allora la procedura dell'emissione monetaria sottraeva (sotto il naso) alla collettività, come oggi, l'emissione monetaria stessa, indebitando sempre più il Paese.
a proposito di inflazione:
Un imprenditore, se la banca d'italia porta il TUS al 19%, cosa fa?
mantiene i prezzi invariati e fallisce per gli oneri finanziari?
oppure alzi i prezzi al fine di mantenere inviariato l'utile?
negli anni '70 la rete distributiva era inadeguata (solo in seguito nacquero tanti supermercati ed ipermercati). Ci fù, negli anni '50, '60 e '70 un massiccio abbandono delle campagne con conseguente e graduale diminuzione della capacità di autosostentamento delle famiglie, con il sempre più massiccio ricorso alla rete distributiva (inadeguata).
i dettaglianti potevano alzare i prezzi a piacimento che la domanda era sempre superiore all'offerta.
Carli, Baffi e Ciampi hanno approfittato di questa anomalia (risolvibilissima ed evidentissima) per far impennare il TUS (cosa che non avvenne negli altri maggiori paesi europei).
La vera colpa dei politici è stata quella di non governare la banca d'Italia.
A questo punto il gioco era fatto. La banca d'Italia è stata la maggiore protagonista dei forsennati aumenti dei prezzi e dell'impennata del debito pubblico.
Vedansi le tabelle allegate.
I condoni hanno fatto il resto (il bello è che pagavano i condoni con i nostri soldi – oltre al danno anche la beffa, tant’è che con quei condoni occultavano ed occultano il problema del signoraggio: l'ingiusta rapina del denaro, che per sua natura dovrebbe essere pubblico, da parte di banche private, con l'aggiunta di un interesse, variato ad arbitrio dei suoi stessi stampatori, che si configura come vera e propria usura, in quanto calcolato su moneta emessa senza nulla a garanzia della sua solvibilità e senza privarsi di nulla).

19.06.07