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Una patria, una lingua

di Francesco Navarrini* - 12/12/2005

Fonte: peacereporter.net


Viaggio nel Paese basco, diviso tra due Stati ma unito da un'identità fortissima 
   
  
Anche dire “io non parlo il basco” potrebbe risultare problematico, se per questo si deve dire “ez dut euskara izegiten”. Benvenuti nel Paese Basco: il paese dove tutto, anche la realtà ha due nomi. Ma soprattutto hanno due nomi le città, le vie, le case e le persone. A volte sono leggermente diversi (Bilbao è Bilbo in euskara; calle si dice kalea), altre sono cambiamenti dovuti alla pronuncia dello “stato spagnolo” (la località di Bakio viene scritta nella penisola come Baquio, un cognome come Agirre viene scritto in Spagna Aguirre, per risolvere il problema della “g” che in lingua euskara è sempre dura, e la tristemente famosa Guernica è in realtà Gernika).
 
La forza del ricordo. Altre sono decisamente più invasive, ricordo di un passato in cui l’euskara era proibito: la famosa città di San Sebastiàn, per esempio, si chiama Donostia ed è forse l’unica città basca dove sia ancora possibile ascoltare l’euskara nelle strade e nei bar (in alcuni, dietro al banco c’è una scritta che dice “non sai che allegria sentirti parlare euskara”). Lo spagnolo non è un problema, a parte le Herriko Tabernak – taverne del popolo, dove si parla solo euskara. La tassa rivoluzionaria sulle consumazioni è solo un ricordo, ma nelle strade della parte vecchia di Donostia, sui muri, soprattutto dei paesi circostanti, i ricordi sono ancora vivi nei murales inneggianti a Eta o in ricordo di militanti morti, perché “alcuni si devono sacrificare per la libertà di tutti”. Ci sono poi i volantini a sostegno dei più di 3.000 prigionieri baschi, a cui viene negato lo status di prigionieri politici, eppure vengono “isolati” nelle carceri più lontane (Siviglia, Murcia, La Mancha), e nei casi più fortunati i familiari dovranno viaggiare anche cinque ore per visitarli due ore alla settimana. Volantini, ogni giorno dell’anno, perché ogni giorno c’è qualcosa o qualcuno da ricordare. E dappertutto, perché nessun luogo deve dimenticare, dicono, la divisione e la diaspora di un popolo.
 
Una patria divisa. Tutto è diviso in due tranne Euskal Herria, che è il paese basco propriamente detto (non esistono i Paesi Baschi, la patria è solo una...), composto dalla parte spagnola (Egoalde) e da quella francese (Iparralde). La prima comprende le tre province (Gipuzkoa, Bizkaia, Araba) che compongono l’Euskadi (quella che in Spagna viene chiamata la Comunidad Autónoma Vasca), e la Comunidad de Navarra (la cui capitale, Pamplona, con il nome di Iruña è riconosciuta capitale del sognato stato basco indipendente). La parte francese comprende le tre piccole province di Lapurdi, Bassa Navarra e Zuberoa. I Pirenei separano le due province, l'euskara le unisce.
 
Una lingua, ma non per tutti. Durante la dittatura di Franco, l’uso delle lingue minoritarie era proibito, era legato alla sovversione e si rischiava la galera; i baschi, a scuola, dovevano portare degli anelli che li identificassero come tali e parlare “il cristiano” (come gli insegnanti dell’epoca definivano lo spagnolo). Molti genitori di oggi parlano ai figli in spagnolo, perché hanno dimenticato la propria lingua madre; mentre i loro figli, nati a partire dalla fine degli anni Settanta, lo parlano correntemente, insieme allo spagnolo. E’ la parte più importante di un’identità autoreferenziale che Arzalluz (storico leader del Partito Nazionalista Basco) definiva “il fattore RH negativo” che sarebbe presente nei baschi “purosangue”. Un’identità che per alcuni è una ragione di vita, una  forma di identità personale. Anche e soprattutto a scuola (che, per cambiare, ha due nomi: ikastola è la scuola basca; ikastetxea è la “casa d’educazione”, la scuola spagnola): uno studente può parlare solo euskara. All’università in teoria ci si può immatricolare in euskara, anche se ancora non è dappertutto possibile, perché per alcune materie mancano i testi specializzati e i professori formati in euskara. Alcuni studenti per questo si rifiutano di parlare lo spagnolo in classe e di assistere alle lezioni. Se presenziano, fanno domande in euskara.
 
Il forte legame con la terra. La lingua ti forma, forma il carattere, la personalità, la nazionalità. Potrebbe sembrare banale. Tuttavia, la parola che definisce il cittadino basco, euskaldun, significa letteralmente “colui che parla basco”: il basco non si identifica con il sangue, ma con la lingua. E’ basco chi parla euskara, che ha interiorizzato la lingua con quello che comporta: terra e legami. Chi non ha legami, chi non si immerge in questa terra, non può imparare euskara. La lingua che prima ti isola, finalmente ti accoglie. Benvenuti in Euskal Herria.  
      
 
 
*Francesco Navarrini studia Scienze politiche a Parma e si sta specializzando in Studi internazionali ed europei. Attualmente vive a San Sebastian, dove sta preparando la tesi