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Nord e Sud: il costo della globalizzazione

di Serge Latouche - 13/12/2005

Fonte: ariannaeditrice.it

 

La mondializzazione, o globalizzazione, come dicono gli anglosassoni, è un concetto alla moda, imposto dalle recenti evoluzioni. Fa parte. dello spirito dei tempo. In pochi anni, se non in pochi mesi, tutti i problemi sono divenuti globali: la finanza e gli scambi economici anzitutto, ma anche l'ambiente, la tecnica, la comunicazione, la pubblicità, la cultura e persino la politica. Soprattutto negli Stati Uniti, l'aggettivo globale è stato all'improvviso affibbiato a tutti questi settori.
Si parla di inquinamenti globali, della televisione globale, della globalizzazione dello spazio politico, della società civile globale, dei governo globale dei tecnoglobalismo, ecc.
Non c'è dubbio che il fenomeno nascosto dietro tali parole non è cosi nuovo come si vuol far credere. Alcune voci profetiche, come quello di Marshall Me Luban, annunciavano già da diversi decenni l'avvento di un "villaggio planetario" (global village). Alcuni specialisti hanno parlato di occidentalizzazione, di uniformazione o di modernizzazione dei mondo e gli storici ne hanno scoperto tutti i sintomi dentro evoluzioni di lunga durata. Ma che cosa di nuovo ?
La mondializzazione, sotto l'apparenza di una constatazione neutra del fenomeno, è anche, invece, uno slogan che incita e orienta ad agire in vista di una trasformazione considerata come auspicabile per   tutti.   Il termine, che non è affatto 'innocente', lascia anzi intendere che ci si trova di fronte ad un processo anonimo e universale benefico per l'umanità e non invece che si è trascinati in una impresa, auspicata da certe persone, per i loro interessi, impresa che presenta rischi enormi e pericoli considerevoli per tutti, particolarmente per i popoli dei Sud dei mondo.
Come il capitale al quale è intimamente legata, la mondializzazione è in realtà un rapporto sociale di dominio e di sfruttamento nella scala planetaria.
Dietro l'anonimato del processo, ci sono dei beneficiari e delle vittime, i padroni e gli Schiavi.
I principali   rappresentanti della megamacchina senza volto si chiamano G7, Club do Paris, complesso FMI/Banca Mondiale/OMC(W.T.0), I'OCSE, la Camera di Commercio Internazionale, forum di Davos, ma vi sono anche delle istituzioni meno note, dalle sigle esoteriche, ma di enorme influenza il Comitato di Bali per la supervisione' 'bancaria e l'IOSCO (International Organisation of Securities Commissions), che è l'organizzazione internazionale delle Commissioni nazionali emettitrici di titoli. obbligatori, l'ISMA (International Securitìes Market Association), che ha un noto equivalente per i titoli obbligatori, l'ISO (Industriai Standard Organisation), che ha l'incarico di definire 'gli standard industriali.
Infine, non si possono trascurare le grandi imprese, i grandi uffici di consulenza, i grandi studi legali e le fondazioni private. Società come Price e Watherhouse, Peat Marwick, Ernst e Yung o Arthur Andersen sono protagoniste essenziali della mondializzazione, anche se a prima vista il loro ruolo, come la certificazione della contabilità delle imprese, può apparire puramente tecnico, del tutto evidente che, lasciando credere che il fenomeno, buono o cattivo, sia incontrastabile, ci si rende complici del fatto che accada.
Una volta compreso quello che si   nasconde dietro la s u a manifestazione, non vi è alcun motivo di ritenere che il fenomeno sia irresistibile e inarginabile.
.La mondializzazione non è positiva per tutto il mondo ed è pienamente possibile concepire un altro destino. Bisogna dunque tentare di vedere i pericoli del mercato mondiale specialmente per i paesi del Sud dei Mondo, analizzare la trappola del debito e finalmente, come far fronte a questi pericoli.  

 Le conseguenze negative per il Sud dell'economicizzazione del mondo
Sin dall'origine, il funzionamento del mercato è sovranazionale se non addirittura mondiale. Il trionfo recente del mercato non è altro che il trionfo dei tout marché (tutto è mercato). Si tratta dell'ultima metamorfosi di una lunghissima storia mondiale.
La    prima     mondializzazione  porta   la  data  della  conquista dell'America, quando l'occidente prese coscienza della rotondità della terra per scoprirla e imporre le proprie conquiste. Quando, secondo la formula di Paul Valery,  "comincia   il  tempo dei mondo finito". Questa  prima mondializzazione è stata forse più determinante delle successive. Con la conquista europea delle Americhe, sono stati accelerati gli scambi di piante, di animali, ma anche di malattie. Una seconda mondializzazione risalirebbe alla Conferenza di Berlino e alla spartizione dell'Africa fra il 1885 ed il 1887.
Una terza sarebbe cominciata con la decolonizzazione e l'era degli "sviluppi".
La globalizzazione, proprio Perché è anzitutto globalizzazione dei mercati,    allarga il campo della competitività e la intensifica fino al parossismo. In conseguenza, costringe le intrapresi ad una flessibilità più forte.
Sotto l'egida delle istituzioni di Bretton Woods, il mercato mondiale sta distruggendo il pianeta. Si tratta di una banale constatazione, confermata in modo multiforme dallo spettacolo quotidiano i comportamenti  delle multinazionali,, le delocalizzazioni massicce (di impieghi, attività, eccetera), il genocidio degli indigeni dell'Amazzonia, la distruzione delle identità culturali e i conflitti etnici ricorrenti la collusione tra i narcotrafficanti e i poteri pubblici in quasi tutti i paesi, l'eliminazione programmata dagli organismi nazionali e internazionali (il FMI, la Banca mondiale o quella dei regolamenti internazionali) degli ultimi freni alla flessibilità dei salari, lo smantellamento dei sistemi di protezione sociale nei paesi del Nord, la scomparsa delle foreste, la desertificazione, l'agonia degli oceani e cosi via. Dietro tutti questi fenomeni. direttamente o indirettamente, si ritrova la mano invisibile del mercato mondiale. Tuttavia, con la  mondializzazione dell'economia, la concorrenza della miseria dei Sud si ritorce contro il Nord e sta a sua volta per distruggerlo. Parti consistenti del tessuto industriale sono già lacerate ; certe economie, certe regioni sono veramente devastate, e non è ancora finita.
Mentre si continua a  distruggere l'agricoltura alimentare  e l'allevamento nei paesi africani, esportandovi a  basso prezzo l'eccedenza dei nostri prodotti agricoli (peraltro sovvenzionati), i pescatori, o comunque le zone costiere di quegli stessi paesi, rovinano la nostra pesca, esportando a loro volta de pesce miserabile.
Di conseguenza, vengono dilapidati i modi di vita e i patrimoni sociali, che si sono costituiti attraverso l'accumulazione di saperi tradizionali e di relazioni e si spezzano gli equilibri ecologici. L'attuale mondializzazione sta completando l'opera di distruzione dell'Oikos planetario. Non fosse altro perché la concorrenza esacerbata spinge i paesi del Nord a manipolare, la natura senza nessun controllo, e quelli del Sud ad esaurire le risorse non rinnovabili. In agricoltura, l'uso intensivo di concimi chimici e pesticidi, nonché l'irrigazione sistematica e il ricorso a organismi geneticamente   modificati,  hanno  avuto come  conseguenza   la distruzione dei suoli, l'esaurimento o l'inquinamento delle falde. freatiche, la desertificazione, la diffusione di parassiti, il rischio di epidemie catastrofiche....
I misfatti del Liberismo economico sul Terzo mondo non sono certo nuovi né sconosciuti. Risalgono all'epoca in cui gli occidentali si sono arrogati il diritto di aprire a cannonate la via   libero commercio. Dalle guerre dell'oppio     all'ammiraglio Perry, passando per l'eliminazione  dei  tessitori indiani, l'analisi delle disastrose conseguenze per i paesi deboli   della divisione del lavoro non resta certo da fare. I processi attuali, stimolati dal Fondo monetario internazionale e dai piani di aggiustamento  strutturale, i comportamenti della  Banca mondiale e dell'Organizzazione mondiale  del commercio sono una nuova versione della medesima tendenza. L'importazione massiccia di riso in Senegal, a scapito della risicoltura locale, e più generale in Africa, i tentativi di smantellamento dell'uso collettivo della terra, poiché non consentono i prestiti ipotecari e la modernizzazione dell'agricoltura, fanno parte di questo schieramento di mezzi par garantire all'Africa una morte sicura.
Meriterebbe riflettere bene su due casi, quello del cacao e quello delle banane, per comprendere gli effetti della globalizzazione, nel Sud. Quando il prezzo mondiale del cacao era al suo minimo, negli anni '80, e le economie dei Ghana e  della Costa d'Avorio erano perciò immerse in  una crisi drammatica, gli esperti della Banca mondiale non trovarono niente di meglio che incoraggiare e finanziare la piantagione di migliaia di ettari di alberi di cacao in Indonesia, Malaysia e Filippine. Se ne poteva ancora trarre profitto, speculando sulla miseria dei lavoratori di questi paesi, e a detrimento della natura.
Per coronare l'opera, gli europei, a Bruxelles, allineandosi sulla sola Inghilterra, hanno capitolato davanti alla 'lobby' del cioccolato. Definendo il cioccolato come un prodotto che può contenere fino a 15% di grassi vegetali (e ciò senza verifica possibile) oltre che burro di cacao,, hanno fatto perdere alla Costa d'avorio e al Chana alcuni miliardi. Bisogna scandalizzarsi se alcuni piantatori hanno tolto le piante per rimpiazzarle con l'hashish?
Il caso delle banane è legato allo stabex, il meccanismo di garanzia di introiti da esportazione, concesso dai paesi del mercato comune ai paesi A. C. P. (Africa, Caraibi, Pacifico). Quel sistema messo in piedi dalle convenzioni di Lome (da 1 a 5) era stato salutato come l'inizio di un nuovo ordine economico internazionale. Il prezzo della banana acquistata in Guadalupa, in Martinica, nelle Canarie o nell'Africa nera permette' ai produttori locali di sopravvivere (in situazioni diversissime, ovviamente ... ). Senza essere nulli, i risultati sono stati modesti,  con un certo numero di effetti perversi. Ad ogni modo, era ancora troppo. Spinti dalle multinazionali nordamericane, come la Chiquita Brands (ex United  Fruit) e, la Castel e Cooke, che controllano la gran parte della produzione e della distribuzione delle repubbliche. delle banane e delle piantagioni della Colombia, i paesi dell'America  Centrale hanno trascinato l'Europa davanti ai panels del GATT, poi dell' W.T.O, e denunciato le barriere et gli ostacoli at libero gioco del mercato. Vogliono ad ogni costo aumentare la loro quota di mercato grazie ai bassissimi salari dei contadini, centinaia dei quali sono morti in seguito al, folle uso di pesticidi (contro i nematodi). Il W. T. 0. ha dato loro ragione. 'State conducendo' la peggiore delle guerre economiche contro un popolo senza difesa. Importate le nostre banane e, ci lasciate nella miseria, nei conflitti e nella sofferenza", ha dichiarato il presidente dei piantatori di banane della piccola isola di Santa Lucia, commentando il verdetto e condannando la campagna politicamente scorretta dell'amministrazione Clinton. Evidentemente, i Tedeschi,, grandi consumatori, per nulla intenzionati a pagare le loro banane ad un prezzo un po' più alto di quelle della Colombi  a,' non sono stati degli alleati a prova di bomba in quest'affare. A Jacques Chirac che rimproverava quel tradimento all'amico Kohl, e denunciava le conseguenze della produzione 'ancora peggiori della schiavitù' sulle piantagioni americane, il cancelliere tedesco ha risposto : 'La morale è una cosa, gli affari un'altra'.
Con la deregulation in tutti i paesi dei mondo, con lo smantellamento delle regolamentazioni nazionali, non vi è più alcun limite alla riduzione dei costi e al circolo vizioso suicida. È un vero e proprio gioco al massacro tra individui e tra popoli, a spese della natura.
Infine, l'attuale mercificazione totale non risparmia l'Africa. Qui essa assume  la  forma   particolare della  'zairizzazione',  vale a dire della mercificazione e la privatizzazione integrale della vita politica. I rapporti sociali, il notabilato e l'accesso al potere sono inglobati ad ogni livello nella sfera mercantile. Il mercato colonizza lo Stato, molto di più di quanto non avvenga il contrario. L'esito di questo processo è ciò che Jean-Frangois Bayard chiama 'via somala allo sviluppo', fondata sul traffico di droga, criminalità di Stato, stoccaggio di rifiuti tossici industriali, e cosi via.

 La trappola del debito e lo strangolamento dell'Africa
E' in questo contesto dei rapporti "imperialisti" di dominazione Nord-Sud che occorre collocare, il problema del debito. Il debito non è che uno degli elementi dell'insieme che contribuisce al soffocamento dell'Africa. 'C'è una vera ipocrisia nel protendere di favorire lo sviluppo dei paesi poveri e nel medesimo tempo saccheggiarli senza vergogna  dice André Franqueville. Aggiunge: 'Le due facce del saccheggio attuale del Sud da parte dei paesi ricchi sono conosciute da una parte, un rimborso esatto senza pietà di un debito esterno in realtà inestinguibile perché aumenta in proporzione alla restituzione, grazie a un ingranaggio finanziario davvero machiavellico, d'altra parte,  un saccheggio delle risorse naturali, materie  prime, minerali e energetiche, produzioni agricole (e in conseguenza rovina' dei suoli) per obbligare a  questa restituzione. Inoltre, questo saccheggio si trova rinforzato dalla   svalutazione dei "rezzi di queste materie prime, saggiamente organizzata sul mercato internazionale e dichiarata ineluttabile, e sottomessa all'ingiunzione neoliberista di esportare sempre di più purché nuovi prestiti siano accordati. Dalle conquiste coloniali il saccheggio continua ; la sua ultima forma è quella dell'accaparramento delle risorse genetiche di questi paesi grazie al deposito di brevetti usurpati, come quello dei nordamericani sulla quinoa in Bolivia'1. Non verranno qui sviluppati commenti sul modo in cui la trappola del debito s'è innescata, tra riciclaggio di petroldollari da parte delle banche dopo il 1974 ed innalzamento congiunturale dei tassi d'interesse per finanziare il debito americano. I miti dello sviluppo basato sul credito diffusi dal Nord, spesso in perfetta buona fede, e le illusioni  dello  scambio indebitamento-crescita nutrite al Sud sono stati nel medesimo tempo alibi e prove del dramma. Così, come dicono Fottorino, Guiliemin e Orsenna: "L'Africa è, un cimitero di elefanti bianchi (... ). A differenza dei v e r pachidermi, ahimè non sono però in via di estinzione. Si tratta di costruzioni sontuose, inutili, costose, che in più hanno la facoltà di aggravare il debito dei paesi africani, di non funzionare, di trasformarsi nel giro di pochi anni in rovine, in ruggine o in fantasmi. Dighe, cementifici, alberghi nel deserto, zuccherifici, centrali elettriche' i branchi degli elefanti bianchi calpestano l'Africa, spremono la finanza pubblica, arricchiscono le imprese occidentali con la compiacenza, se non con l'incoraggiamento, delle organizzazioni internazionali,2. La perversione intrinseca  dell'anatocísmo3 (interessi composti) strangola il debitore dal momento che questo utilizza il denaro per finanziare spese improduttive (armamenti o consumi) oppure fa cattivi affari. Ricordiamo che un soldo prestato al 3% all'epoca di Carlo Magno renderebbe oggi pianeti d'oro. In un racconto di fantascienza intitolato 'interesse composto' si immagina un eroe, che viaggia nel passato, proprio al fine di investire qualche spicciolo i cui interessi gli serviranno a costruire la sua macchina per risalire il tempo4. Questa situazione potrebbe valere fino ad un corto punto per i fondi pensione, non certo per l'Africa ! Certamente anche la crescita obbedisce in teoria alla medesima legge, in un secolo il PIL sarebbe moltiplicato per 867 al tasso del 10%! Ma ahimè i piani di aggiustamento  strutturale imposti  del   FMI  lasciano poche  speranze di raggiungere stabilmente tassi simili ! Bisogna esportare sempre di più e far circolare le entrate da esportazione, il che però porta al risultato di far abbassare i corsi (svalutazione). Come per Sisifo, bisogna risalire una china senza fine ed il carico diventa sempre più pesante. Anche so le entrate da esportazione faticosamente ottenute fossero confiscate, i nuovi prestiti non arriverebbero a liquidare gli interessi maturati. Una volta attivato, lo strangolamento si rafforza, il debito nutre il debito. La terapia infernale delle istituzioni   finanziarie  internazionali  dà  il colpo di grazia al malato, pretendendo di guarirlo. L'antica  rappresentazione  dei vampirismo degli usurai viene così rinnovata. La morsa del, debito (per riprendere il titolo del libro di Aminata Traore) costituisce un eccellente mezzo per mantenere i paesi  del Sud in stretta subordinazione.
"Grazie alla morsa dei debito esterno e dell'abbassamento dei prezzi delle materie prime, scrive André Franquevìlle, una ricolonizzazione si è messa in atto sotto il giogo degli organismi finanziari internazionali di cui gli Stati Uniti sono il capo".
E' stata proclamata con grande pubblicità la possibilità di annullare l'80% dei debito dei paesi poveri nel giugno 1996 nel corso del G7 di Lione, poi in quello di Colonia il sacrificio dei ricchi è salito fino al 90%. Tuttavia, dietro l'annuncio ad effetto, si nasconde una grande truffa.
I dati sono impietosi e mettono in luce l'indecenza, o meglio l'oscenità della pretesa generosità. Tra il 1982 ed il 1998 i paesi dei Sud hanno rimborsato quattro volte l'ammontare del loro debito. Tuttavia questo  era quattro volte più elevato che nel 1982 ed arrivava a' 1950 miliardi di dollari! Il Terzo mondo rimborsa ogni anno più di 200 miliardi di dollari, quando gli aiuti pubblici allo sviluppo (compresi prestiti rimborsabili) non oltrepassano i 45 miliardi di dollari l'anno. L'Africa subsahariana, dal canto suo, spende per rimborsare il suo debito quattro volte di più di quanto spenda per la salute e per l'istruzione. Le misure d'annullamento rasentano l'effetto della peggior vaselina. Occorre, in effetti, distinguere tre tipi di debito : quello verso la Banca Mondiale ed il FMI, che non è negoziabile, ma che per i paesi africani rappresenta dal 30 al 75% dell'indebitamento ; quello verso le istituzioni private che non è proprio questione d'annullare e che rappresenta più del 50% dell'indebitamento dei paesi latino-americani ed asiatici e quello infine tra Stato e Stato che è il solo per il quale è pensabile l'annullamento. Questo, per i paesi più poveri e più indebitati, deve essere negoziato caso per caso con il Club di Parigi. In tal modo un paese dell'Africa nera che deve, per esempio, quattro miliardi di dollari, di cui due a Banca Mondiale-FMI ed uno a banche private, può sperare nell'annullamento dell'80-90%   del restante miliardo dovuto al Club di Parigi. Tuttavia un artificio tecnico riduce ancor di più questo ultimo ammontare. Se ha già avuto luogo, com'è probabile, un riscaglionamento del debito (per esempio su 600 milioni), l'annullamento non riguarderà che la parte non scaglionata, al massimo relativa a 360milioni, ovvero al 9% dei totale del debito. 9 così che, fino ad oggi, l'ammontare annullato rappresenta 25 miliardi di dollari, ossia meno del 2% del totale6 ! Siamo ben lontani dall'iniziativa Jubilée 2000 che riguarderebbe circa 300 miliardi e che è ben al di  qua dell'ampiezza del problema. Anche se tutti i debiti fossero davvero annullati, tutti i 'meccanismi' che hanno generato questa   situazione  perversa  resterebbero  al loro posto. La  partita ricomincerebbe ancora più dura. Non è l'indebitamento che crea la povertà, ma è vero il contrario. A dispetto. di quello che ci fanno credere, rifiutare il debito, come ho sempre sostenuto, non avrebbe probabilmente grossi effetti pregiudizievoli sul piano economico per i paesi interessati, anzi il contrario. L' irrealismo della proposta è altrove. Per i paesi dell'Africa, in ogni caso, sarebbe semplicemente suicida : la loro indipendenza è infatti totalmente fittizia. Se il Cile di Allende, per aver toccato gli interessi americani, è stato vittima di un colpo di stato fomentato dalla CIA e dall'ATT, si consideri che tutti i regimi    dell'Africa, infinitamente più fragili, sono sotto stretta sorveglianza. Essi debbono 'filare a bacchetta'. Dal momento che la resistenza è, votata alla sconfitta, non resta loro che la dissidenza.

 Far fronte : le lezioni dell'altra Africa (come laboratorio del doposviluppo) 
L'economia  mondiale, con l'aiuto delle istituzioni di Bretton Woods, ha escluso dalle campagne di milioni e milioni di persone, ha distrutto il loro modo di vita tradizionale, soppresso i loro mezzi di sussistenza, per gettarli e ammucchiarli nelle 'bidonville' nelle periferie dei Terzo Mondo. Sono questi i "naufraghi dello sviluppo". Condannati, nella logica dominante, a scomparire, non hanno altra scelta per sopravvivere che organizzarsi secondo un'altra logica. Devono inventare, e certi lo fanno davvero, un altro sistema, un'altra vita.
Vedere l'altra Africa come uno laboratorio del doposviluppo significa vedere l'informale in positivo, vederlo positivamente, di per se stesso per quanto possibile, cioè in funzione delle sue proprie norme, e non commisurato al paradigma dello sviluppo. Si tratta di vedere con occhio diverso il modo stupefacente in cui sopravvivono gli esclusi dal mondo ufficiale. Nell'informale che ci- interessa, non si è in una economia, sia pure altra, si è in un'altra società. L'economico non vi è autonomizzato in quanto tale. Esso è dissolto, incorporato (embedded) nel sociale, in particolare nelle reti complesse che strutturano le città popolari dell'Africa. Per questo il termine di società vernacolare è più appropriato per parlare di questa realtà di quello di economia informale.
Tuttavia la società vernacolare non è sicuramente un paradiso ritrovato. Prima di tutto, si tratta dei modi in cui i naufraghi dello sviluppo producono e riproducono la loro vita, al di fuori dei campo ufficiale, mediante strategie relazionali. Questo strategie     incorporano   ogni   sorta di attività economiche, ma tali attività non sono (o sono poco) professionalizzate. Gli espedienti, il bricolage, la capacità di arrangiarsi di ciascuno s'iscrivono in delle reti. I 'collegati' (reliés) formano dei 'grappoli' (grappes). In fondo, queste strategie fondate su un gioco sottile di 'cassetti' (tiroirs) sociali ed economici sono paragonabili alle strategie familiari, che sono nella maggior parte dei    casi le strategie delle massaie, ma trasposte in una società in cui i membri della famiglia allargata si contano a centinaia.
Cosi la società vernacolare (o l'oikonomia neo clanica come la chiamo nel libro) è a prima vista soprattutto femminile, fondata sulla pluriattívità, sul non professionalismo e sulle strategie relazionali.
Gli esclusi della grande società realizzano il miracolo della loro sopravvivenza reinventando il  legame   sociale e facendo  funzionare tale legame   sociale. Esclusi dalle  forme   canoniche   della  modernità, dalla cittadinanza dello Stato-nazione e dalla partecipazione al mercato nazionale, essi vivono, in effetti, grazie alle reti di solidarietà neoclaniche.
Al di là della pluriattività e della non professionalizzazione, quel che colpisce  l'osservatore  attento, ai  "grappoli" di "collegati"  della società vernacolare 'è l'importanza del tempo, della energia e delle risorse destinate ai rapporti sociali. Se si dispiega una attività intensa, sarebbe abusivo nella maggior parte dei casi parlare di vero lavoro. Gli incontri, le visite, i ricevimenti,  le discussioni prendono molto tempo. Dare e prendere in prestito, donare, ricevere, aiutarsi  reciprocamente, fare una ordinazione, consegnare, informarsi occupano gran parte della giornata, senza parlare del tempo dedicato alla festa, alla danza, al sogno o al gioco...  "La festa, osserva Eric de Rosny, occupa un posto smisurato  in proporzione ai mezzi finanziari della popolazione, tutti gli economisti lo dicono, ma essa, è appropriata ai suoi bisogni affettivì".
Si sarà riconosciuta facilmente in questo funzionamento della società neoclanica una logica molto diversa della logica mercantile, quella del dono e dei rituali ablativi. Qui, come dovunque, il legame sociale funziona sulla base dello scambio : ma lo scambio, con o senza moneta, si basa più sul dono che sul mercato. Ci si trova di fronte al triplice obbligo di donare, ricevere e restituire    cosi    come lo analizza  Marcel   Mauss. La cosa centrale e fondamentale in questa logica del dono è il fatto che   il legame sostituisce il bene. 

 Conclusione
La società vernacolare, ma anche in Europa le banche del tempo, i lets (local exchange trade system), i SEL (systèmes d'échange locaux) sono forme di dissenso dalla norma, questi ultimi più coscienti, ma anche più fragili della  società vernacolare.  Sono  anche  forme   di   resistenza alla mondializzazione, dell'economia e all'economicizzazione dei mondo. Sono tutti dei laboratori del futuro, laboratori del dopo sviluppo. Nel caso dei SEL, si tratta invece piuttosto di una risposta locale a una  sfida globale. Come dicono i fondatori del Sel dell'Ariege: "In qualche modo, noi rispondiamo a problemi  mondiali con una soluzione locale". Un SEL stimola la produzione locale e risponde a bisogni locali. Permette di rivitalizzare la società locale senza apporto di capitali esterni. Aiuta a prendere coscienza dei   problemi locali, a cercare soluzioni pratiche, concrete e realistiche. Riduce le  importazioni, gli sprechi e l'inquinamento conseguente ai trasporti. Senza chiasso e senza dichiarazioni, gli 'informali' dell'altra Africa non fanno nulla di diverso. C'è una lezione dell'esperienza africana della società vernacolare che può servire anche per tutti coloro che sono impegnati in imprese alternative. La nostra riflessione 'conduce alla realizzazione di una coerenza globale dell'insieme delle innovazioni alternative: cooperativo autogestite, comunità neo-rurali, LETS (Local Exchange Trade Systems) e SEL (Systèmes d'Ech.ange   Locaux), autorganizzazione  degli esclusi al Sud. Queste esperienze ci interessano soprattutto in quanto   forme di resistenza e di dissidenza al processo di crescita e potenziamento  dell'onnimercificazione dei mondo. Il pericolo della maggior parte delle iniziative alternative  volontarie è, infatti,  di rinchiudersi nella fortezza che ha permesso loro di nascere e svilupparsi invece di lavorare alla costruzione e al rafforzamento di una nicchia La 'fortezza' è un concetto della strategia militare di conquista e di aggressione, legata alla razionalità economica dominante. Ciò che può fare vivere l'impresa alternativa. è piuttosto la nicchia, un concetto ecologico molto più vicino all'antica prudenza (la phronesis di Aristotele) e a una concezione sociale dell'efficacia, estranea all'efficienza economica. L'impresa alternative o sopravvive in un contesto che è, e deve essere diverso dal mercato mondializzato. E' questo contesto dissidente che occorre definire, proteggere, mantenere, rinforzare e sviluppare per la resistenza. Invece di battersi disperatamente per conservare la propria fortezza all'interno del mercato mondiale, occorre militare per ingrandire e approfondire la nicchia  a margine dell'economia globale. Riuscire a imporre i prodotti dei commercio equo- solidale, o dell'agricoltura biologica sugli scaffali dei supermercati, a fianco dei prodotti 'non equi o 'anti-biologici' non è un obiettivo in sé. Va inscritto più in una strategia di fortezza che nell'ottica del rafforzamento della nicchia. E' più importante assicurarsi del carattere equo della totalità del processo, dal trasporto alla commercializzazione, cosa che esclude in  prima battuta il supermercato e allarga  le tessuto  organizzativo. L'estensione e l'approfondimento della rete di complicità, è il segreto della riuscita e devo essere la preoccupazione principale di queste imprese. I Consum-attori (consumatori e cittadini) non sono che un elemento di un insieme che dove essere articolato: SEL, produttori alternativi, neo-rurali, movimenti associativi impegnati su questa strada. È in questa coerenza che rappresenta la vera alternativa al sistema. Si tratta di coordinare la protesta sociale con la protesta ecologica, con la solidarietà verso gli esclusi del Nord e del Sud, tramite tutte le iniziative per articolare la resistenza e la dissidenza e per sfociare, in fine, in una società autonoma. Non si tratta di concepire la "nicchia" come un'oasi conviviale nel deserto umano del mercato mondiale, ma come un organismo in crescita che fa arretrare il deserto.