Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Scienza, tecnica e l'agire umano

Scienza, tecnica e l'agire umano

di Gottlieb - 14/12/2005

Fonte: filosofia-ambientale.it/


 

Il ritmo frenetico della vita quotidiana assorbe interamente i nostri pensieri, siamo ormai abituati a compiere gesti e azioni meccanicamente che quasi non ce ne accorgiamo e perciò non riflettiamo mai abbastanza sul "Tutto" come tale; ci occupiamo invece di cose e ambiti particolari, ed è a cose e ambiti particolari che si dirige la nostra attenzione: l'ambiente fisico e sociale in cui viviamo, il lavoro, gli svaghi, gli affanni, gli affetti. Ma tutte queste cose e ogni altra cosa si trovano riunite in un'unica regione costituita dalla totalità delle cose: questa contiene il passato, il presente, il futuro, le cose visibili e quelle invisibili, quelle corporee e incorporee, il mondo umano e quello divino, le cose reali e quelle possibili, i sogni , le fantasie, le illusioni, il sonno e la veglia. Ecco, rivolgersi al Tutto vuol dire riuscire a raccogliere tutte queste cose: le più differenti e antitetiche: il raccogliersi in una suprema unità: la Totalità.

E' significativo quanto rileva Aristotele nella sua Metafisica. Il sapiente è tale perché possiede la scienza dell'universale e in virtù di questa realizza una conoscenza della totalità. Tuttavia Aristotele sottolinea ancora che non si tratta di una conoscenza "nella loro particolarità" ma appunto di una conoscenza "universale" cioè "tutto ciò che all'universale soggiace"[1] e che perciò gli consente di cogliere il significato e il ruolo delle parti all'interno del tutto. Da questo punto di vista teoretico non è difficile vedere le influenze che questa finisce per avere anche in campo ecologico.

La filosofia da sempre si è configurata come scienza della totalità,[2] e se la filosofia è la riflessione dell'uomo sul problema che l'uomo è per se stesso, essendo l'uomo nella natura, l'uomo non può riflettere su sé senza riflettere sul suo rapporto con la natura. La filosofia dunque non è qualcosa di astratto e lontano dalla vita, osservare il corso degli umani eventi (atteggiamento primordiale del filosofo"contemplatore") non vuol dire distacco, ma riflessione profonda sulle cose per poterle fare meglio. Lo stretto legame tra filosofia e vita sottolineato da Aristotele vuol dire anche questo: riflessione dell'uomo sui problemi dell'uomo, del suo rapporto a rapportarsi con l'ambiente che lo circonda. Il problema ecologico mette in luce in questo modo una insospettabile profondità filosofica, anche perché l'uomo da sempre ha agito sull'ambiente per cercare di renderlo più adatto alla sua sopravvivenza. Se la filosofia non mantenesse questo contatto con la vita perderebbe la sua forza teoretica e gli verrebbero meno gli stessi argomenti su cui riflettere. Il problema ecologico, si porta in luce a seguito del deterioramento delle condizioni ambientali, può essere visto in conseguenza della perdita del senso della totalità, cioè quel rapportare il tutto all'unica regione entro la quale la filosofia e la sua riflessione si svolge.

Più specificatamente si intende esaminare che ne è stato del rapporto uomo-natura.

La natura, l'oggetto, considerata solo nelle sue possibilità di sfruttamento illimitate, suffragata anche da una spietata logica di mercato, da un tecnicismo innalzato a valore assoluto,[3] e il soggetto l'uomo, perché depauperato della sua specifica dignità personale, così da non essere più valutato non per ciò che è, ma per ciò che produce, più esattamente non più per "l'essere" ma per "l'avere".

Il processo di industrializzazione, che nella sua fase iniziale ha fatto registrare un certo grado di benessere all'umanità recava già in sé, sia pure in forma embrionale, il pericolo di una crisi ecologica, un orientamento economico-sociale e culturale che assegnava un valore assoluto alla tecnica e allo sviluppo della tecnica.[4] Si rinviene in questo modo un impoverimento del rapporto uomo-natura, una visione questa che si rintraccia già nella concezione giudaico-cristiana del reale di un Dio trascendente il mondo che avrebbe abbandonato nelle mani dell'uomo il dominio della terra.[5] La Bibbia parla di un Dio trascendente il mondo della natura, ma non certamente assente per la sua azione nel mondo: parla di un comando di Dio fatto all'uomo di "dominare" la terra, di trasformarla, ma non certo per abbandonarla ai suoi irrazionali capricci: gli ordina, infatti, oltre che di coltivare il giardino di Eden, anche di custodirlo[6], affinché l'uomo non trascorra il suo tempo nella molla oziosità, ma sia il suo un onesto esercizio e non un faticoso lavoro. La rottura del rapporto dialettico uomo-natura può essere visto anche alla luce delle moderne tecnologie che hanno cambiato l'agire umano conferendogli un volto nuovo non contemplato dalla techne tradizionale. Oggi techne si è trasformata in un impulso progressivo della specie, nell'impresa più significativa il cui superarsi e avanzarsi è diventata la vocazione dell'uomo contemporaneo; la sua "tendenza fondamentale" ossia si mira ad accrescere la potenza dei propri strumenti:"una organizzazione tecnologica della tecnica…come pure organizzazione tecnologica dell'esistenza"[7] contrapposizione che è alla base della crisi del pensiero contemporaneo[8] come ha messo in evidenza anche Jaspers che ipotizza un recupero delle istanze dell'essere con quelle del divenire, e quindi un nuovo modo di pensare.[9]  Anche Marcuse nelle sue riflessioni ha avuto modo di evidenziare come la condizione di "apparente democrazia" nelle società industriali avanzate, oltre che lo sfruttamento della natura in tale società, comporti la perdita dell'orizzonte della totalità: la natura è vista solo come puro oggetto di dominio,[10] e questo impoverirsi dell'orizzonte dell'universale conduce ad una vera e propria "seconda natura" nell'uomo[11] con falsi bisogni e pseudovalori creati sotto la spinta di una spietata logica di mercato. La tematica di fondo, nucleo teorico, che in queste righe si vuole evidenziare è il recupero di una visione totale del reale tale da consentire un orizzonte di senso all'umana esistenza.

E' necessario un ridimensionamento della cultura tecnicistica e che la categoria della totalità torni ad illuminare il divenire in modo da sottrarlo ai rischi distruttivi della ragione tecnologica e rimetta l'uomo al suo posto se si vuole evitare che nel mondo non ci sia più posto per l'uomo. Non basta vedere la natura come parte integrante di un ecosistema,[12] perché quando si parla di ecosistema la domanda rimanda al concetto stesso di natura.


Natura, artificio e tecnica.
La natura, in quanto tale, ha perso la sua identità quando consideriamo le alterazioni ambientali che l'uomo ha effettuato nel corso storico delle vicende umane. La natura intesa come storia non esiste più, le molteplici manipolazioni dell'uomo e più ancora la tecnica hanno cambiato il volto della natura. Non è ben chiara la linea di demarcazione tra natura-storia e artificio,[13] come riferirsi ad un rapporto che è stato alterato da un mondo tecnologico, da atteggiamenti mentali incoraggiati da un mondo massmediale che ci fanno vedere il mondo attraverso rappresentazioni in immagini, virtualità, con la conseguenza di un impoverimento della datità sensibile. La stessa comunicazione tra gli uomini avviene attraverso uno spazio virtuale che rende tutto fittizio e spinge a non curarsi del problema della misura e dell'equilibrio perché gli equilibri sempre si ricompongono in maniera virtuale. La natura come storia è stata artificializzata dalla techne dell'uomo, perché costui da sempre ha trasformato l'ambiente circostante per renderlo più adatto alla sua sopravvivenza; si parla ora di realtà virtuale e di conseguenza di una naturalità virtuale. L'uomo, soggetto-operatore, è sempre più considerato in base alla sua operatività: la scienza come momento teoretico nell'uomo è sminuita a vantaggio della tecnica che in definitiva è l'applicazione pratica della scienza, ossia qualcosa che la scienza produce esteriormente da sé, e come altro da sé. Il trionfo dell'Homo Faber si inscrive nella costituzione interna dell'Homo Sapiens, quando invece un tempo ne era una parte ausiliaria.  Un binomio  questo che è stato dicotomizzato in epoca contemporanea e a tutto vantaggio del secondo termine. L'uomo vive oggi una condizione drammatica, porta ancora con se i tratti dell'Homo-Sapiens, il quale si muoveva in un orizzonte di senso, ovvero un bagaglio di idee proprie e un corredo di sentimenti in cui si riconosceva. La tecnica era contenuta nella scienza come momento pratico, ero lo strumento il mezzo attraverso il quale "episteme" traduceva in termini operativi la sua teoresi, quindi il mezzo era assorbito dal fine. In questo modo l'azione dell'uomo non riusciva a turbare gli equilibri naturali e la naturalità, perché techne si incontrava con l'invulnerabilità del tutto e la immodificabilità della natura.[14] Se la scienza e la tecnica concepiscono la natura come uno schema teorico universale che riduce tutte le diversità a delle applicazioni di leggi generali, esse si costituiscono in questo ordine come strumento di controllo e di potere, e l'uomo, straniero al mondo, si pone come padrone di un tale mondo. In questo contesto si collocano le tesi di Heidegger: il progresso scientifico realizza ciò che si annunciava fin dall'alba greca; ossia la volontà di potenza che si cela dietro ogni razionalità. La manomissione scientifica e tecnica che si manifesta su scala planetaria mette in evidenza la violenza nascosta in ogni sapere comunicabile. Attenzione! Heidegger non rifiuta questa o quella realizzazione tecnica particolare piuttosto egli si rivolge all'essenza della tecnica, alla dimensione tecnica dell'inserimento umano nella natura. Non è tanto il fatto che l'inquinamento industriale mette in pericolo le forme di vita su Gaia, quanto invece che ciò che è messo a servizio dell'uomo attraverso un calcolo:"la centrale elettrica è impiantata nelle acque del Reno. Questo è richiesto a fornire la pressione idrica che mette all'opera le turbine perché girino….la centrale idroelettrica non è costruita sul Reno come l'antico ponte di legno che da secoli unisce una riva all'altra. Qui è il fiume invece ad essere incorporato nella costruzione della centrale. Essa è ciò che ora, come fiume è, cioè produttore di forza idrica, in base all'essere della centrale"[15] La manomissione scientifica, come nessun problema tecnico, così nessuna teoria preoccupa Heidegger: queste costituiscono il momento in cui la teoresi del pensiero traducono in termini operativi il progetto pensato.

L'uomo di scienza, al pari del tecnico, dovrebbe essere la sede di una volontà di potenza investita da sete di conoscenza - la gnosis - il suo approccio alle cose è un desiderio di conoscenza, tramite la sperimentazione è un' interrogazione alla natura. Nello scopo teorico, che definisce la scienza, Heidegger vede proprio l'interrogare le cose"la fisica moderna non è sperimentale per il fatto che interroga la natura con la messa in opera di apparati tecnici; all'opposto: proprio perché la fisica, e ciò già come pura teoria, richiede alla natura di presentarsi come un insieme precalcolabile di forze, per questo è impiegato l'esperimento, per domandare se e come la natura, così richiesta si dia".[16] In questa ottica le opere dell'uomo vengono valutate non come testimonianze di abilità sperimentate, ma soprattutto perché si lascia intatta la natura, ossia non si "usa" la natura.

In questa considerazione l'Homo-Sapiens ha perso la sua soggettività il suo scenario umanistico è stato abolito perché la tecnica non promuove un senso, non svela la verità, e restano senza risposta soprattutto le domande di senso perché queste esulano dalla razionalità tecnica, una razionalità tutta tesa all'utile, all'efficienza, alla funzionalità. Nella classificazione aristotelica del sapere lo Stagirita da una definizione di "episteme", questa esprime un sapere causale, cognitium rerum per causas, conoscenza delle cose per mezzo delle cause, quindi si ha scienza "quando si conosce la causa per la quale la cosa è, e che proprio di tale cosa è causa"[17]. Ora la tecnica essendo pratica rivolge il suo sapere non già alla pura "contemplazione"[18] come le scienze teoretiche quali la matematica, la filosofia e la fisica, [19] ma alla prassi, all'azione. Ecco perché la tecnica esplica il suo sapere in questa direzione: deve produrre e non gli interessa il fine. La perdita dell'orizzonte di senso, che dovrebbe inscriversi nella totalità dell'uomo, conduce allora ad una esasperazione del mezzo che oscura il fine -telos - anzi finisce col dettare il fine stesso. L'accresciuto potenziale tecnologico, capace di realizzare qualsiasi fine, cambia qualitativamente lo scenario umano e ambientale, non è più il fine a condizionare la ricerca, ma la cresciuta disponibilità tecnologica a dispiegare il ventaglio dei fini.[20] La tecnica da mezzo diventa fine, ma non nel senso che la tecnica si propone dei fini, ma nel senso che i presunti fini si traducono in ulteriori mezzi. In questo modo il vero fine diventa il mezzo come ha messo in evidenza anche Emanuele Severino.[21] Si parla di "pensiero tecnomorfo" e nel nostro tempo prevale una mentalità che genera una visione tecnocratica, secondo cui tutto ciò che può essere realizzabile deve essere realizzato senza preoccuparsi della liceità del progetto. Sintomatico al riguardo quanto sottolinea Lorenz in suo saggio" …una sorta di meccanismo nevrotico coatto, ovvero la semplice possibilità tecnica di realizzare un progetto viene scambiata con il dovere di porlo effettivamente in atto"[22]. Dunque la disponibilità tecnologica genera un imperativo tecnologico "puoi dunque devi", questo vuol dire a priori l'assunzione di una norma: la norma assunta dalla tecnologia può essere definita  tecnolatria, come dire, trasferire i fatti sul piano dei valori.[23] Si rinviene in questo modo un capovolgimento del rapporto mezzo e fine. La tecnica che si presentava inizialmente come mezzo, come un agire in conformità ad uno scopo e che proponeva l'uomo come soggetto dell'azione, subisce in questa ottica dialettale una trasformazione, perché l'ordine degli strumenti condiziona la scelta dei fini e in questo modo tutti i fini vengono subordinati, sacrificati conducendo ad una esaltazione ad una autonomia della tecnica che si allontana in questo modo dalla Fronesis (saggezza) e di conseguenza dal politico, inteso come colui che agisce e che individua i fini e gli scopi verso i quali orientare la vita e le scelte di vita. E' chiaro che il dominio della tecnica sull'uomo risiede nella sua capacità di incatenare l'uomo nell'illusione di renderlo onniscente, nel suo operare indipendentemente dal buon consiglio, precisamente dalla Fronesis che per il mito erano prerogativa di Zeus e per la successiva filosofia politica prerogativa del politico. Tuttavia questo non vuol dire che la tecnica sia priva di ragione, ma soltanto che la tecnica dispone di una ragione strumentale che  controlla l'idoneità di un mezzo a un fine senza per questo pronunciarsi sulla scelta dei fini. Questo pronunciamento spetta alla fronesis che non è un dispositivo tecnico e perciò non rientra nella ragione calcolante in cui la tecnica si esprime.[24].

Nell'attuale situazione mondiale è impressionante notare come le abitudini degli individui, una volta dettate da un'etica comportamentale si siano assuefatte ad un sistema tecnocratico che esercita sugli individui un effetto deresponsabilizzante. Sul piano culturale questo si traduce in una mancanza di relazioni interpersonali che sono il presupposto di ogni creatività.  E' necessario risvegliare nei giovani la sensibilità per i valori, la bontà, la bellezza, la sensibilità per la "percezione delle forme" facoltà da cui nasce la sensibilità per le armonie e la via più promettente è uno stretto contatto con la natura.[25]  Lo sviluppo della scienza, svincolata dalla sua fase teoretica, la tecnica, creano le condizioni  affinché le potenzialità dell'uomo di volgersi al male diventino reali e soprattutto universali. L'ideale della scienza classica in epoca moderna,[26] il sogno tracciato da Bacone, Cartesio che affermavano il dominio sulla natura attraverso il sapere, o anche vagheggiato da Nietzsche, che auspicava il super-uomo al di là del bene e del male, ha fatto tutto il resto: ha condotto l'uomo sulla via di inimagginabili successi ma ha anche mostrato tutta la sua inquietante fragilità. Hannah Arendt osserva quanto segue:"…manipoliamo sempre la natura da un punto dell'universo che si trova fuori della terra, senza risiedere realmente dove Archimede desiderava risiedere dos moi pou stò - , ancora legati alla terra dalla condizione umana, abbiamo trovato un modo per agire sulla terra e dentro la natura come se ne disponessimo dall'esterno, mettendo a repentaglio i processi naturali della vita, esponendo la terra alle forze cosmiche universali estranee alla natura"[27]. E il pensiero corre al famoso coro dell'Antigone di Sofocle "con ingegno che supera sempre l'immaginabile, ad ogni arte vigile, industre, egli si volge al male ora, ora al bene. Se le leggi osserva della sua terra e la fede giurata agli dei di sua gente, se, con la patria esalta, un senza-patria è chi s'accosta, per sua folle audacia, al male."[28] E' un omaggio angoscioso al potere dell'uomo, della sua irruente violenza all'ordine cosmico grazie alla sua infaticabile intelligenza. Significativo in questo senso è il passaggio dalla modernità alla contemporaneità "se si vuole trovare una linea di demarcazione tra l'età moderna e il mondo in cui viviamo, possiamo rintracciarla nella differenza tra una scienza che guarda alla natura da un punto di vista universale e una scienza ( che tende all'universalità) che trasferisce processi cosmici nella natura con il rischio di distruggerla e insieme di distruggere la signoria dell'uomo su di essa"[29]. E' un passo questo assai significativo della Arendt e che ci dovrebbe far riflettere perché l'accresciuto potenziale umano di distruzione rende possibile il fatto che siamo in grado di distruggere la vita organica sulla terra, di produrre nuovi elementi mai trovati in natura. In pratica stiamo facendo quello che in epoca antica era prerogativa esclusiva dell'azione divina. Balza  agli occhi la netta dicotomia fra Homo-Sapiens e Homo-Faber, rottura del rapporto uomo-natura ma anche del rapporto  natura-cultura. L'euforia del sogno faustiano della modernità lascia il posto ad una visione della storia disincantata e apocalittica causando così un difficile equilibrio. Equilibrio che sempre più è anche minacciato  dall'inquinamento, dall'inesorabilità delle armi nucleari e da altre forme di distruzione dell'ambiente. Tuttavia la minaccia più grande è rappresentata dal fatto che "il declino dell'uomo"  è dato dallo sminuimento graduale di tutte le qualità e le doti che fanno dell'uomo un essere umano.[30]  Ebbene la riflessione filosofica vuole essere un tentativo di rintracciare le cause di questo declino.

La rottura del rapporto uomo-natura dà luogo anche all'alterazione dello statuto epistemologico del diritto, della politica, e dell'agire umano. Attualmente il diritto e la politica così come erano stati concepiti nei secoli scorsi sono inadeguati ad affrontare i problemi della nostra società tecnologica. Un esempio? La vicenda della "mucca pazza" è la dimostrazione di come l'uomo manipolando la natura l'abbia trasformata facendo di un animale erbivoro un carnivoro cannibale. Questo sta a significare la necessità di ripensare il rapporto uomo-natura sul piano etico, politico e giuridico. C'è ancora un altro aspetto che prepotentemente si porta alla ribalta in connessione con queste tematiche. Il tema del dominio sulla natura.

 

L'idea del dominio
L'idea di dominio sulla natura, il Prometeo scatenato al quale la scienza conferisce forze senza precedenti,  esige un'etica che impedisca alla sua potenza di divenire una sventura per l'uomo poiché si situa al di là della minaccia fisica stessa. Un'etica  che forse non è esagerato estendere alla sfera metafisica a partire dalla quale si rinviene la questione ultima del perché della nostra esistenza.[31]. L'epoca moderna affermava con decisione la signoria dell'uomo sulla natura, cos' come Dio è il signore dell'universo al pari l'uomo è il signore della terra in virtù della sua immagine e somiglianza con Dio, può divenire "quale egli veramente vuole. Bestia o creatura divina"[32]

Questa idea del dominio, l'uomo signore incontrastato della natura, viene associata e trova più ampia fattibilità nel contesto scientifico e più ancora in quello tecnologico. La tecnica dell'Homo Faber sarebbe in grado di soddisfare i bisogni della specie, in grado di spazzare conflitti e tensioni ed è sempre su questo terreno che prendono piede le molte utopie tecnologiche; un'idea che si rinviene a partire già dalla tradizione magico-alchemica e fu su questa idea che si attestarono i padri fondatori della scienza moderna. Francis Bacon come pure Descartes nel suo Discorso sul metodo sottolineava la capacità di un "infinità di artifici, i quali consentirebbero di godere, senza pena alcuna, dei frutti della terra e di tutte le comodità che vi si trovano"(Descartes, 1974: 61-2).[33] Scienza, tecnica, dominio sulle cose non generano solo entusiasmi. La mitica figura di Dedalo per Bacon era il simbolo della tecnica ma anche quella di un essere esecrabile. Costui costruì il celebre labirinto, che è opera meravigliosa dal punto di vista tecnico, ma che serve ad un fine nefando. Difatti il labirinto ha lo scopo di nascondere e proteggere il minotauro. Ma Dedalo fu anche autore dell'espediente del filo, quindi capace di mostrare la via a chi si fosse addentrato nei meandri di quel labirinto. Le invenzioni meccaniche sono, per Bacon, come Dedalo: possono migliorare l'esistenza degli uomini ma sono anche strumenti di vizio e di morte. Le attuali tecnologie superano in crudeltà lo stesso minotauro. D'altra parte la natura della tecnica è ben rappresentata dalla metafora del labirinto. Non solo perché l'esperienza guida le invenzioni, ma soprattutto perché colui che lo ha costruito mostra  la necessità del filo. La tecnica è ambigua per essenza: produce il male e offre rimedi al male. Bacon vedeva nell'Advancement Learning un prodotto che la storia può rendere continuamente perfettibile:"no perfect knowledge, but wonder, which is broken knowledge"[34]. Dedalo mostra il doppio volto della tecnica, alla quale la vita umana deve molto, ma dalla cui fonte possono trarre origine strumenti incontrollabili e pensiamo ai veleni più potenti usati nei  conflitti regionali non ultimo l'Iraq. Ma colui che  ha pensato e costruito la tortuosità di un labirinto mostra anche il rimedio del filo conduttore perché"le arti meccaniche sono di doppio uso, si prestano al male e offrono nello stesso tempo il rimedio"[35].  La dimensione utopica del mondo tecnologico ci conduce verso mete che un tempo erano considerate utopie e determina un accorciamento delle distanze fra questioni quotidiane e questioni ultime"fra occasioni di comune prudenza e occasioni di saggezza illuminata. E siccome viviamo all'ombra di questo utopismo intrinseco, automatico, siamo anche alle prese con opzioni su prospettive ultime che richiedono una saggezza: una situazione disagevole per l'uomo contemporaneo orientato com'è a negare il valore assoluto e la verità oggettiva"[36]. Il vertiginoso sviluppo della tecnica e la razionalità dell'Homo-Sapiens scandiscono questo processo e ne segna in modo preoccupante il passo "se paragoniamo il sapere del nostro tempo con quello di Aristotele il progresso è incommensurabile, ma se paragoniamo la sua consapevolezza della necessità dell'integrazione degli esseri viventi nella totalità dell'essere con il rifiuto della scienza moderna della natura di riflettere sulle premesse filosofiche del proprio operato, allora ci assale il dubbio se questa evoluzione possa essere definita sotto tutti i rispetti come progresso"[37] verrebbe allora voglia di parlare di involuzione. Attualmente non sappiamo se lo sviluppo della specie umana procederà in senso ascendente. L'evoluzione della cultura umana è assai più rapida dell'evoluzione genetica, si parla di asincronia del mutamento (corsivo mio) e tuttavia entrambe obbediscono alle stesse leggi; se questo è vero è probabile che l'evoluzione culturale sia in grado di influenzare a suo piacimento l'evoluzione genetica, di imprimerle la stessa direzione di sviluppo. Ma l'ordine mondiale tecnocratico sembra dimostrare che questa direzione conduce verso il basso. Se questo è vero la natura stessa di uomo è in pericolo.[38] Da quanto fino adesso rilevato non è difficile vedere che la differenza tra artificialità e natura non esiste o meglio è sparita: la natura come storia è stata fagocitata dalla sfera artificiale; le opere dell'uomo, gli artefatti producono un nuovo tipo di natura, una naturalità virtuale, e in questo nuovo mondo così artefatto la libertà umana si trova ad avere un senso del tutto nuovo. Da quasi un secolo il mondo è entrato nell'ottica della grande modernizzazione. La sua fonte, inesauribile, è la scienza applicata alla tecnica: la tecnologia, il suo meccanismo il mercato. La tecnologia permette, per la prima volta nella storia dell'uomo una crescita illimitata della crescita economica. Questa ottica ha investito gli Stati Uniti di America e l'Europa occidentale e già da qualche decennio va estendendosi a tutti i paesi del mondo. Dunque nessun limite economico, perché ogni problema di scarsità o inquinamento è risolto dalla formidabile potenza della tecnologia, e nessun limite sociale. Le distanze tra i più ricchi e i più poveri certamente aumenteranno, ma questo secondo la spietata logica di mercato sarà un bene, perché le disuguaglianze economiche, insieme alla tecnologia, costituiscono la forza propulsiva della competizione e dell'emulazione.[39] Quello che si è trascurato in questa ottica sono state le conseguenze ambientali e sociali della crescita. Si può affermare che la tecnologia può risolvere ogni problema ambientale e la crescita ogni problema sociale?

Quanto  al primo punto la tecnologia non può creare ma solo trasformare materia ed energia.

Nella trasformazione, però, l'energia si disperde sempre più poiché questo è ciò che affermano le prime due leggi della termodinamica. Non è forse questa perdita il costo ecologico delle crescita che si manifesta con riscaldamento dell'atmosfera, desertificazione, deforestazione e devastazione dell'ambiente? Quanto al secondo punto, ovvero la crescita economica, non è affatto vero che la competizione e l'emulazione conducano ad una maggiore crescita economica. Quando le distanze economiche si allungano tra gruppi sociali e paesi si  possono verificare (quanto meno) situazioni esplosive: migrazioni di massa, intolleranza religiosa, violenza politica e terroristica. Credo che si possa formare, come avrebbe detto Toynbee, un turbolento "proletariato esterno" il quale, attraverso le migrazioni entra in contatto con un "proletariato interno", ma non le classi operaie, bensì le categorie emarginate che Marx avrebbe chiamato i sottoproletari dei paesi ricchi.

 

Progresso: fede e dubbi
L'idea di progresso fu il risultato di una corrente filosofica: il Positivismo, una cultura un costume vero e proprio. Lo stesso termine stava ad indicare il grado raggiunto dalle scienze che avevano superato lo stadio delle pure congetture e si era fondato su adeguati esperimenti appellandosi ai fatti inoltre, concepiva il progresso come una legge della storia (Condorcet, Saint-Simon, Comte): "Tutte le scienze hanno cominciato con l'essere  congetturali, il grande ordine delle cose le ha chiamate a divenire positive"[40]. Elemento intrinseco al progresso era il miglioramento e la crescita del sapere e nell'ambito della cultura ottocentesca scienza e tecnica furono viste come necessarie all'avanzamento del progresso. E' opportuno osservare che nel passaggio dalla scienza moderna alla scienza contemporanea si rileva una sostanziale modificazione della nozione di "verifica sperimentale". Lo sperimentalismo dell'età moderna (fino circa alla metà dell'ottocento) è ispirato al grande principio, di origine rinascimentale, della Imitatio naturae: la natura è il modello a cui dobbiamo ispirarci e che teoricamente dobbiamo comprendere per conseguire il vero nella scienza e l'effetto utile nella tecnica. La scienza mira a speculare i segreti con cui la natura ottiene i suoi effetti, quindi cogliendo i segreti della natura possiamo anche praticamente imitarne gli effetti. Il laboratorio del fisico è un modellino del grande laboratorio della natura.  Tuttavia nella scienza contemporanea le cose sono molto  cambiate. Il principio di indeterminazione di Heisenberg ha indotto molti critici a parlare di una crisi della scienza: la fisica quantistica e la Relatività Generale di Einestein riconoscono l'inaccessibilità di certe zone "il mondo oggettivo sembra non esistere al di fuori della coscienza che ne determina le proprietà…l'universo che ci circonda diventa sempre meno materiale"[41]. La crisi della scienza contemporanea si rileva già a partire dal cambiamento concettuale, inteso tradizionalmente, della Imitatio naturae. Il laboratorio del fisico non è più il modello della natura,  in molti casi è esso stesso la natura. In molti campi, elettrotecnica superiore, fisica atomica e nucleare, il laboratorio non riproduce "artificialmente" "fenomeni naturali" ma produce fenomeni che in natura o non esistono affatto o sono sporadici e rari. Il processo di produzione tecnica non semplifica e non prova la legge o l'ipotesi scientifica, poiché è esso stesso la legge e l'ipotesi: la legge non serve più soltanto a predire i risultati di un esperimento ottenuto con vari accorgimenti tecnici, ma formula il procedimento tecnico stesso.[42] Si rinviene in questo modo il pericolo di una riduzione della scienza in mera tecnica bisogna invece ribadire il carattere di coscienza teoretica che la scienza ha di fronte alla tecnica. In primo luogo la scienza trova nella tecnica la propria integrazione pragmatica. Bacone sosteneva con forza la funzione della scienza come Ars Inveniendi di fronte al procedere casuale della mera tecnica. Ogni scoperta o invenzione tecnica è suscettibile di indefiniti sviluppi. La scienza fornisce le idee guida suggerisce leggi analogiche, senza la guida della scienza, il procedere tecnico è un puro procedere per "tentativo od errore" i cui risultati sono altrettanto casuali quanto gli insuccessi e corrono il rischio di assumere apparenza taumaturgica. La dove la scienza diviene mera tecnica cessa di essere orizzonte teoretico, cessa di essere pensiero, valore di civiltà, riducendosi ad una serie più o meno complicata di accorgimenti pragmatici. D'altra parte la tecnica rischia di diventare mera attività banausica, mercenaria, operante secondo fini che le sono estranei. Fini che non può criticare o difendere perché posti in e da un mondo umano in cui non  opera più la visione scientifica bensì  la visione tecnica. La scienza è al di sopra di questa visone, costituisce più esattamente la consapevolezza dell'operare. Due guerre mondiali e le crisi sociali hanno distrutto il mondo della sicurezza. La scienza, il progresso, l'Europa stessa non sono più il centro della storia umana. Le civiltà che si sono succedute nel tempo hanno fatto la loro comparsa come organismi autonomi: nascita e morte secondo il disegno del destino. La civiltà occidentale si avvia al tramonto e al disfacimento, la storia sembra apparire priva di tendenze, prospettive,direzioni e le società si configurano come macchine devastatrici dell'autentica natura dell'uomo.[43] Nel 1923 Italo Svevo completava questo quadro con La coscienza di Zeno : l'immagine di un uomo un po’ più ammalato degli altri che pone al centro della terra un esplosivo incomparabile "in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati innocui giocattoli…. E la terra ritornata alla forma di nebulosa, errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie". In questo quadro resta difficile determinare come all'immagine ottocentesca del progresso si siano  sostituite visioni apocalittiche, affermazioni sulla fine inevitabile della civiltà. Nei temi della cultura europea del primo novecento si rilevano appelli alla natura come riconquista di un tempo perduto, sgomento per un mondo non controllabile. Nella cultura del novecento dominano i temi della servitù dell'uomo, dissacrazione della persona, la responsabilità delle macchine, la violazione empia della natura. Tutto ciò che è moderno ora non è più umano e la modernità si configura come il mondo dell'alienazione. I temi classici delle filosofie naturalistiche, consolidati da una lunga tradizione filosofica e letteraria, riemergono con forza nella cultura del nostro tempo. La polemica contro il sapere tecnico-scientifico, responsabile dello svuotamento di senso, i temi tratti da Nietzsche e Heidegger spesso si congiungono con posizioni che rivendicano la validità dello spiritualismo, il senso originario dell'uomo. Moilti autori infatti hanno finito col riproporre come soluzione a questi mali, una società agricola e pastorale. Alla violenza esercitata dalla prometeica sopraffazione dell'uomo, viene spesso contrapposta l'immagine di una natura armoniosa un sistema dotato di autoequilibrio e autoregolazione. La natura è stata in grado per millenni di mantenere un equilibrio nella popolazione umana.   C'è però da notare come questo equilibrio, prima dell'avvento della medicina moderna, significava la durata media della vita dell'uomo di circa 25-30 anni. La natura esercita il suo autoequilibrio attraverso la riproduzione, l'interazione con l'ambiente e l'evoluzione. Un autoequilibrio che comporta anche l'eliminazione, o anche estinzione, degli individui più  deboli. Ecco, l'uomo non accetta questa selezione naturale. Qui si inserisce la monomissione dell'uomo ponendo una serie di ostacoli, limitazione a questo vaglio naturale: la medicina preventiva, gli antibiotici, le camere di rianimazione. Delle specie viventi l'uomo è quello che più di tutti uccide i propri simili (triste primato) e tuttavia sempre più degli altri si ostina a salvare quelli più deboli, quelli che "madre natura" condannerebbe a morte: per la selezione naturale, quelli che non si adattano spontaneamente all'ambiente, per esempio la creazione di ambienti artificiali e pensiamo alle incubatrici per neonati prematuri. La creazione di questi ambienti si sostituiscono al naturale, ponendo degli sbarramenti alle leggi spietate della natura. Qual' è lo scopo per cui l'uomo si inserisce nell'operato della natura? Vuole forse assicurare una maggiore sopravvivenza alla specie umana? e una volta instaurato questo controllo siamo poi in grado di tornare ad accettare l'antica selezione? Fino a che punto l'interferenza umana agisce sul destino degli altri suoi simili? le biotecnologie nei loro esiti così gravidi di speranze nella cura delle malattie e nel miglioramento quantitativo e qualitativo della specie umana è esteso a tutti gli esseri o non ci facciamo in questo modo arbitri del destino degli altri? e in nome di chi e di che cosa e perché? Gli esperimenti sulla clonazione ci rendono di fatto responsabili del destino della terra e degli esseri che la popolano, una responsabilità che allarga però l'orizzonte dell'idea di "prossimo", ossia, non soltanto quel prossimo a noi più immediato, i nostri figli, ma quelle generazioni che non ci è dato incontrare, le quali potrebbero trovarsi di fronte un essere "alieno" che non presenta "le qualità e le doti che fanno dell'uomo un essere umano": un ibrido tra uomo e scimmia costruito dall'uomo per servirsene magari come di uno schiavo.[44] 

La responsabilità nei confronti delle generazioni future vuol dire anche il progetto di una consapevole autolimitazione.  Una sorta di filosofia del rispetto per la natura la quale può muoversi entro un contesto diverso da quello tradizionale: al di là di ogni pretesa umana all'onniscenza, dettata dalla fede nel progresso che sfocia nello scientismo, al di là di ogni filosofia naturalistica che invece toglie all'uomo ciò che propriamente lo fa umano: la sua emersione dal mondo animale con la creazione di utensili, la creazione del linguaggio e le complicate forme di vita associata, la nuova prospettiva filosofica deve comportare la rinuncia al sadismo dello sfruttatore e a ogni forma di potere che si instauri sull'uomo dell'altro uomo. Non è impresa facile perché questo vuol dire l'abbandono di vecchi schemi ideologici, vuol dire anche gravi disagi, notevoli resistenze alle nuove istanze e tutto ciò che è nuovo vuol dire sempre cambiamento, sgomento perché tutto si presenta sotto la veste dell'incognito che da sempre spaventa l'uomo. E forse anche un piccolo frammento di soggettività può avere significato nel grande universo.

 

Conclusione
Qual è dunque la minaccia più grave che affligge oggi l'uomo contemporaneo, che denota la sua sostanziale solitudine e che determina "il graduale sminuimento di tutte le qualità e le doti che fanno dell'uomo un essere umano?" La possibilità di fronteggiare questa minaccia ha a che fare con la capacità di fronteggiare la "tecnolatria" e ciò può avvenire con un ritorno all'orizzonte di senso dell' umana esistenza, così come la saggezza è figlia dell'esperienza e della memoria.

Gli esperimenti sulla clonazione sembrano andare nella direzione di penetrare il più sacro dei segreti della natura: creare o ri-creare il miracolo della vita. E questo pensiero è considerato blasfemo da tutta la tradizione filosofica e teologica occidentale.

Tuttavia il pensiero può perdere questo carattere blasfemo non appena ci si rende conto di quello che Archimede intendeva così bene, anche se non sapeva come raggiungere il suo punto fuori della terra. Comunque ci spieghiamo l'evoluzione, la natura, l'uomo, la loro nascita deve essere dipesa da qualche forza ultramondana, o da quell'essere che le religioni chiamano Dio, la cui opera può essere comprensibile e imitata da chiunque sia capace di occupare la stessa posizione.[45] Le condizioni di benessere economico, la cresciuta disponibilità tecnologica, quanto spazio lasciano alla sfera della coscienza e all'agire politico?

Il nuovo modello antropologico dettato dalle moderne tecnologie impongono di ripensare il rapporto uomo-natura, il rapporto natura-cultura, occorre  cominciare a preoccuparsi non solo della domanda quale mondo per l'uomo di domani ma anche quale uomo per il mondo di domani.

Una domanda si pone insistente allo spirito del filosofo: qual è lo scopo della scienza. Sembra che per ora non ci sia una risposta univoca, ma è indubitabile che il cammino dell'uomo verso la civiltà è accompagnato di pari passo dalla divisione del lavoro, dai sistemi delle caste e le disuguaglianze sociali. Per costruire la piramide in Egitto furono necessari migliaia di schiavi e la violenza è sempre stata un elemento intrinseco alla civiltà. Ma forse la scienza può permetterci di coltivare "l'Eutopia" in cui la violenza non è forzatamente obbligatoria, un mondo in cui la disuguaglianza sociale non sia una necessità. In termini di computo storico se confrontiamo le disuguaglianze fra le nazioni, anche internamente, rispetto ai secoli scorsi è visibile la riduzione di questi fattori, ma c'è un altro fattore che prepotentemente si porta alla ribalta: il rapporto scienza-potere.

 

NOTE
[1] ARISTOTELE, Metafisica, Libro I,2, 982a, 5-20, trad. it. di Antonio Russo, Laterza Bari 1984, p. 7.

[2] È significativo a riguardo quanto osserva Aristotele sempre nella Metafisica. Lo Stagirita richiama l'importanza della conoscenza filosofica per la dignità dello spirito umano, il desiderio di conoscere che è in tutti gli uomini e distingue nettamente il conoscere puro e disinteressato da una parte, e il sapere pratico e tecnico dall'altra. La filosofia si stacca dal semplice conoscere utilitaristico. Bisogna quindi riconoscere la nostra centralità nell'universo, appunto nella speculazione che è ardente sete di verità e quindi della totalità. Con questa precisazione Aristotele vuole altresì sottolineare quale legame corra tra la filosofia e la vita: se infatti l'esigenza conoscitiva è connaturata alla natura umana, questo significa che la vita richiede come suo elemento integrante la conoscenza. Ibidem, L. I,1 973a,  p. 6.

[3] Un tecnicismo che rischia di sminuire la natura umana e i valori umani. Cfr. I.B.  NOVIK, Gli aspetti filosofici del problema ecologico, in L'uomo e l'ambiente,Editori riuniti, Roma 1974,pp. 169. Anche Giacomo Manno ha avuto modo di sottolineare: "Il pensiero moderno ha eliminato l'Essere sostituendolo col "soggetto" fundamentum inconcussum realitatis et veritatis; ha poi svalutato il soggetto, l'ha eliminato (teoriticamente), ed è finito col perdere anche il valore dell'oggetto" G. MANNO, Esistenza ed essere in Heidegger, parte II, Libreria scientifica editrice, Napoli 1974, p. 517.

[4] V.F. LORMER, I. KRAVCENKO, R.V. SADOV, Le contraddizioni ecologiche sono il risultato delle contraddizioni sociali,in L'uomo e l'ambiente, Editori riuniti, Roma 1974, pp. 50-51.

[5] Cfr. D.JENSEN, Condannati allo sviluppo, le religioni di fronte al problema ecologico, traduzione di Michele Fiorillo, Claudiana editrice, Torino 1981, p. 50.

[6] GENESI, 2,15.

[7] EMANUELE SEVERINO, La tendenza fondamentale del nostro tempo, il destino della tecnica, Adelphi Milano1988 pp.39-46-52.

[8] D.ANTISERI, Le ragioni del pensiero debole, Edizioni Borla Roma 1993.

[9] K. JASPERS, La bomba atomica e il destino dell'uomo, Bulzoni editore, Roma 1970, p. 139.

[10] H. MARCUSE, L'uomo a una dimensione, trad. it. di Luciano Gallino e Tilde Gianni Gallino, Einaudi editore, Torino 1967 (tit. orig. One dimensional Man: Studies in the ideology of advanced industrial society, Beacon-Press, Boston 1964), pp. 21-22.

[11] Cfr.H. MARCUSE, Saggio sulla liberazione, Einaudi Torino 1969 (tit. orig. An Essay on liberation, trad. it. di Luca Lamberti, p. 23).

[12] Per la nozione di ecosistema coniata nel 1935 da A.G. Tansley Cfr. Acot, Storia dell'ecologia, tr. it. Roma 1989, p.100.

[13] La contemporaneità fa registrare anche il non chiaro concetto di scienza. Gli anni tra il 1960 e il 1970 fecero registrare un vivace dibattito epistemologico soprattutto di fronte alle proposte di Khun in ordine al concetto di "scienza normale". T. KUHN-J.D. SNEED- W. STEGMULLER, Paradigmi e rivoluzioni nella scienza, Editore Armando Armando Roma 1983, pp. 8-9.

[14] H. JONAS,  Il principio responsabilità un'etica per la civiltà tecnologica, Einaudi Torino 1990, p. 6. "…la vita umana si svolgeva fra il permanente e il mutevole: il permanente era la natura, il mutevole le sue opere". Uno dei tratti caratteristici delle attuali tecnologie è la loro irreversibilità, ovvero l'incapacità di tornare sui propri passi.

[15] M. HEIDEGGER, Die Frage nach der Technik, in Vortrage und Aufsatze, Neske, Pfullingen 1954, p. 15 (tr. it. la questione della tecnica, in Saggi e discorsi, Mursia Milano 1976, pp. 11-12).

[16] Ibidem, p. 21 (tr.it. p.16).

[17] ARISTOTELE, Analitici Posteriori,  I,2, 71b, a cura di Marcello Zanatta, editrice UTET Torino 1996. P. 14.

[18] Si usa il termine contemplazione virgolettato perché il suo significato rimanda ad un accezione profonda: ovvero quell'arte di osservare bene le cose per poterle fare meglio.

[19] Nell'etica Nicomachea  Aristotele precisa quali siano le scienze teoretiche (ovvero rivolte alla conoscenza, svincolate perciò da qualsiasi finalismo) e le scienze pratiche come la politica e l'etica rivolte perciò all'agire pratico. E' significativo quanto osserva Prigogine in un suo saggio "in effetti la sperimentazione non vuol dire solo fedele osservazione dei fatti così come accadono e nemmeno semplice ricerca di connessioni empiriche tra i fenomeni, ma presuppone un'interazione sistematica tra concetti teorici e osservazione"  la quale è un momento della teoresi del pensiero. ILYA PRIGOGINE- I. STENGERS, La nuova alleanza metamorfosi della scienza, Einaudi Torino 1999. p. 7.

[20] EMANUELE SEVERINO, La tendenza fondamentale del nostro tempo,op. cit. p. 64.

[21] Ibidem, pp. 66-68.

[22] K. LORENZ, Il declino dell'uomo, Arnoldo Mondadori editore, Milano 1984, p. 16.

[23] Cfr. DAHL R. Democrazia o tecnocrazia? Il controllo delle armi nucleari, Il Mulino Bologna 1987.

[24] Sotto questo profilo è interessante il saggio di Collingridge il quale evidenzia il grado di controllo delle tecnologie, di assoggettarle alla nostra volontà, ma quando correggere si rivela facile si rinviene la necessità di non farlo, e quando la necessità diventa reale tutto diventa dispendioso soprattutto da un punto di vista tecnico. Cfr.COLLINGRIDGE DAVID, Il controllo sociale della tecnologia, Editori Riuniti Roma 1983.

[25] K. LORENZ, Il declino dell'uomo, op. cit., pp. 10-16.

[26] M. MAMIANI, Storia della scienza moderna, Laterza Roma- Bari 1998.

[27] HANNAH ARENDT, Vita activa, Bompiani Milano 1988, p. 194.

[28] SOFOCLE, Antigone, trad. it. di Giuseppina Lombardo Radice, Einaudi Torino 1982.

[29] HANNAH ARENDT, Vita activa, op. cit. p. 199.

[30] K. LORENZ, Il declino dell'uomo, op. cit., p. 7.

[31] H. JONAS,  Il principio responsabilità un'etica per la civiltà tecnologica,op. cit., XXVIII.

[32] PICO DELLA MIRANDOLA, Orazione sulla dignità dell'uomo, qui Pico svolge il tema che la dignità dell'uomo sta nella sua libertà, nel suo non essere costituito da nessuna determinata natura e di essere stato creato tale da poter divenire quale egli vuole veramente. Bestia o creatura celeste.

[33] DESCARTES RENE', Discours sur la  méthode, a cura di E. Gilson, Vrin Paris 1947.

[34] ADVANCEMENT OF LEARNING,in Rossi: 137(in SEH,  III: 267).

[35] Cfr. Dedalo o la meccanica, in DE  MAS  1, I: 175-177.

[36] H. JONAS,  Il principio responsabilità un'etica per la civiltà tecnologica,op. cit.  pp. 29-31.

[37] V. HOSLE,  Filosofia della crisi ecologica, Einaudi  Torino 1992,  p. 42.

[38] Cfr. K. LORENZ, Il declino dell'uomo, op,. cit. p. 14.

[39] Cfr. Herman Kahn era un americano di origine tedesca che diresse negli anni tra il 1960 e il 1970 il prestigioso Hudson Institute e iniziò con i suoi potenti computer a "disegnare" il futuro del mondo, un "meraviglioso mondo nuovo" con il libro L'anno Duemila  nel 1967. La tesi centrale del suo pensiero era la potenza dell'uomo fondata sulla tecnica.

[40] FRANZ JONAS, Storia della sociologia, tr. it. di A.M. Pozzan, M. Bernardini e V. Calvani, Laterza Bari 1970. Pp. 284-293.

[41] JEAN GUITTON, Dio e la scienza, verso il metarealismo, ETAS  S.P.A.  Milano 1994, p.4.

[42] è significativo al riguardo quanto osserva Popper sulla conoscenza umana"una teoria scientifica non spiega né descrive il mondo; non è nient'altro che uno strumento" il punto di vista più corretto consiste di doxai, opinioni, controllate dalla discussione critica come pure da una techne sperimentale. Cfr. KARL POPPER, Scienza e  filosofia,,  Einaudi editore,Torino 1991, p.20 in nota.

[43] Cfr. Spengler e il catastrofismo tra le due guerre, in RUNCINI R.  (a cura di), Le culture dell'Apocalisse, in "METAPHOREIN", 9, Milano 1983.

[44] PASSMORE J. Man's responsability for nature, tr. it. La nostra responsabilità per la natura, Feltrinelli Milano 1986.

[45] HANNAH ARENDT, Vita activa op. cit., pp. 199-200.

 

 

BIBLIOGRAFIA
 

ANTISERI Dario, Le ragioni del pensiero debole, Edizioni Borla Roma 1993.

ARISTOTELE, Metafisica, tr. it. di Antonio Russo, Laterza Bari 1984.

ARISTOTELE, Analitici Posteriori, a cura di Marcello Zanatta, Edizioni             UTET Torino 1996.

ARISTOTELE, Etica Nicomachea, a cura di Marcello Zanatta, BUR Milano 1986.

ARENDT Hannah, Vita activa, Bompiani Milano 1984.

COLLINGRIDGE D., Il controllo sociale della tecnologia, Editori Riuniti Roma 1983.

DAHL R., Democrazia o tecnocrazia? Il controllo delle armi nucleari, Il Mulino, Bologna 1987.

DESCARTES R., Discours sur la méthode, a cura di E. Gilson, Vrin Paris 1947.

GUITTON JEAN, Dio e la scienza, verso il metarealismo, ETAS  S.P.A. Milano 1994.

HEIDEGGER M, Die Frage nach der Technik, in Vortrage und Aufsatze, Neske,Pfullingen 1954. (tr. it. La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, Mursia Milano 1976).

JASPERS K., La bomba atomica e il destino dell'uomo, Bulzoni Editore Roma 1970.

JONAS H., Il principio di responsabilità, un'etica per la civiltà tecnologica, Einaudi Torino 1990.

HOSLE V., Filosofia della crisi ecologica,  Tr. it. Torino 1992.

LORMER K., KRAVCENKO I., SADOV R.V., Le contraddizioni ecologiche sono il risultato delle contraddizioni sociali, in L'uomo e l'ambiente, Editori Riuniti Roma 1974.

LORENZ K., Il declino dell'uomo, Arnoldo Mondadori, Milano 1984.

MANNO G., Esistenza ed essere in Heidegger, Libreria Scientifica, Editrice Napoli 1974.

MAMIANI M., Storia della scienza moderna, Laterza Roma-Bari 1998.

MARCUSE H., L'uomo a una dimensione, tr. it. Luciano Gallino e Tilde Gianni Gallino, editore Einaudi 1967. (tit. orig. One dimensional man: Studies in the ideoligy of advanced industrial society, Beacon-Press Boston 1964).

MARCUSE H., Saggio sulla liberazione, Einaudi Torino 1969. (tit. orig. An essay on liberation, tr. it. di Luca Lamberti).

NOVIK I.B., Gli aspetti filosofici del problema ecologico, in L'uomo e l'ambiente, Editori Riuniti Roma 1974.

PRIGOGINE I., STENGERS I., La nuova alleanza, metamorfosi della scienza, Einaudi Torino 1999.

PASSMORE J., Man's responsability for nature, tr. it. La nostra responsabilità per la natura, Feltrinelli Milano 1986.

G.PICO Della Mirandola, Orazione sulla dignità dell'uomo, De hominis dignitate, Heptaplus, De ente et uno e scritti vari,  a cura di Eugenio Garin, Vallecchi Firenze 1942 (testo latino e traduzione italiana).

SEVERINO E., La tendenza fondamentale del nostro tempo, il destino della tecnica, Adelphi Milano 1988.

SOFOCLE, Antigone, tr. it. di Giuseppina Lombardo Radice Einaudi Torino 1982.

KHUN T., SNEED J.D., STEGMULLER W., Paradigmi e rivoluzioni nella scienza, Editore Armando Armando, 1983.