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America, la guerra del nome

di Franco Cardini - 26/07/2007

America. È una parola magica, che solo al pronunziarla evoca distanze immense, innumerevoli moltitudini, mandrie senza fine di manzi in marcia verso ovest, deserti e praterie, rocce rosse e deserti sconfinati, fiumi e laghi, ghiacciai e cascate, ricchezze infinite, cinema e musica, bulli e pupe, Steinbeck ed Hemingway, marines e Ground Zero, Las Vegas e Mac Donald's, dollari e gangster: e un ancor più infinito patrimonio di speranze, di sogni, d'illusioni.

Dici America, ed è subito Cristoforo Colombo. Che poi, a sua volta, è tutt'altro che un soggetto stabilmente storicizzato. Ebbe una vita travagliata, ma si continuò a polemizzare su di lui anche dopo la morte. Eroe o avventuriero, santo o predone? C'è chi non ha ancora rinunziato a dichiararlo catalano di nascita e chi sostiene che esistano le prove certe della sua origina ebraica. Negli ultimi anni è perfino tornata a galla una vecchia storiella massonica, l'ipotesi romanzesca e ridicola d'un Colombo membro dell'Ordine templare, occultamente e segretamente sopravvissuto allo scioglimento pontificio del 1312: e quindi scopritore del Nuovo Mondo dal momento che, sempre secondo la bislacca mitologia neotemplare che conta ancor oggi numerosi adepti, erano state alcune navi templari sfuggite al controllo dei loro persecutori ad approdare nel Nuovo Mondo, circa 270 anni prima della sua scoperta ufficiale.

In realtà però, il grande navigatore risulta essere stato, semmai, scippato della sua scoperta sul piano dell'onore. È vero, negli States si celebra un Columbus Day ed esiste una celebre e alquanto pomposa organizzazione di Knights of Columbus, mentre a New York una prestigiosa università reca il suo nome, così come un paese dell'America centrale. Ma forse è un po' poco. O no? In fondo, Cristoforo non ebbe mai la percezione di avere scoperto un nuovo continente. Anzi, nel suo immaginario cosmologico la possibilità che esistessero continenti ancora da scoprire appare assente, nonostante egli conoscesse bene i passi della Bibbia e le pagine degli antichi - a cominciare da Seneca - che sembrano aver adombrato quest'ipotesi, se non proprio questa consapevolezza. Colombo pretese fino all'ultimo istante della sua esistenza, di esser giunto, buscando el Oriente para el Occidente, alle estreme propaggini dell'Asia, alle favolose Indie.

Ma, com'è noto, si sbagliava. Non fu nemmeno lui a coniare la famosa espressione «Nuovo Mondo». Essa risale a un mercante fiorentino, Amerigo Vespucci, che in quanto dipendente del banco Medici a Siviglia aveva aiutato Colombo a organizzare la sua terza spedizione al di là dell'Oceano. Ritiratosi dagli affari ormai quarantacinquenne, nel 1499, il Vespucci si dette a sua volta alle spedizioni navali e alle scoperte. Fu lui a scoprire nel 1501-1502, la baia di Rio de Janeiro e il Rio de la Plata. Al Vespucci è stata a lungo attribuita una scrittura rivelatasi poi apocrifa e denominata, appunto, Mundus Novus, del 1504; ma effettivamente di Mundus Novus egli parlava in una lettera redatta prima in volgare, e quindi tradotta in latino, ed inviata a quel che pare nel 1505 ai suoi vecchi principali ormai divenuti signori di Firenze, i Medici.

Tempestivamente data alle stampe, la lettera del Vespucci, che si esprimeva ormai senza più dubbi sul fatto che le terre scoperte da Colombo appartenevano non all'Asia, ma ad un nuovo e fin ad allora sconosciuto continente, fece davvero epoca. Nel 1507 si era riunita per volontà di Renato II duca di Lorena, nella cittadina di Saint-Dié capoluogo del distretto minerario dei Vosgi, un'équipe di geografi compito dei quali era fornire un'edizione aggiornata a stampa della principale opera di Tolomeo, la sua Geografia.

In effetti, dalle stamperie di Saint-Dié uscì in quell'anno una Cosmographia nella quale il geografo Martin Waldseemüller, di Friburgo, dichiarava che, dal momento che i tre continenti fin allora noti avevano ricevuto nomi femminili, allo stesso modo fosse il caso di comportarsi con quella nuova, quarta parte del mondo: e, dal nome di colui che sembrava non solo aver contribuito potentemente alla sua esplorazione, ma ch'era il primo ad essersi reso conto di trovarsi dinanzi a un nuovo continente, egli proponeva di denominarlo America. Qualcuno protestò, anche allora. perché non chiamare il nuovo continente Columbia, o Cristophia? Più di tre secoli dopo, il libertador Simón Bolivar, ribelle alla corona spagnola, guidò alla rivolta i coloni (i celebri criollos) del viceregno di Nueva Granada e fondò nel 1822 un nuovo stato indipendente caraibico, la «Grande Colombia», destinato a trasformarsi quarant'anni dopo in Stati Uniti di Colombia. Intanto, però, il termine «America» era stato, lentamente ma irreversibilmente, "catturato" dalla grande federazione nordamericana, gli United States of America: e, anche popolarmente, ad essere Americans (o, per i popoli ispanofoni del continente, Americanos) erano essenzialmente e per antonomasia i cittadini statunitensi, quelli che nel sud degli Usa si denominavano anche yankees e, nel sud del continente, gringos termine gergale che in Spagna indica gli stranieri.

Ma, dal momento che i canadesi e i sudamericani erano senza dubbio «americani», in quanto abitatori del continente chiamato America, eppure gli statunitensi li avevano spodestati della loro qualifica, si corse in qualche modo ai ripari: nella Francia di Napoleone, il luogo nel quale nacque l'avventura messicana di Massimiliano d'Asburgo, si coniò per l'America meridionale l'espressione «America latina»; e gli statunitensi, da parte loro, presero a definire iberics, «iberici» o hispanos, o latinos, i sudamericani in genere.

L'aggettivo «latina» rinviava sia alla religione (la cattolica), sia agli idiomi (lo spagnolo e il portoghese) praticati nella parte meridionale del continente: non senza una forte componente polemica nei confronti degli Usa prevalentemente protestanti e anglofoni, all'interno dei quali molti si autodefinivano fieramente Wasp (White, anglo-saxons, protestants). Queste vecchie polemiche sono lungi dall'essersi esaurite, anzi stanno conoscendo una nuova vita. Non a caso, in un suo libro molto discusso - e discutibile -, il solito Samuel P. Huntington ha sostenuto che il vero grande problema attuale per gli americani, cioè per gli statunitensi in quanto Wasp (e l'esser tali sarebbe sinonimo di «occidentali»: quindi, noialtri europei tali non saremmo), sarebbe l'invasione dei latinos, contro i quali si è costruito un «Muro» ai confini col Messico.
 
Insomma, la guerra delle parole non finisce mai: anche perché dietro di essa esiste e sussiste una grossa guerra delle cose e dei fatti. Peraltro, gli «americani» autentici, quelli autoctoni, appunto denominati negli Usa native Americans sono ormai ridotti a poche decine di migliaia di individui nelle «riserve» statunitensi, sulla cordigliera andina, nella foresta pluviale dell'Equatore o in gelide ristrette aree della Patagonia. Si è così concluso, nel silenzio dell'«Occidente», un terribile e spietato genocidio durato mezzo millennio di cui è tacitamente vietato parlare e nei confronti del quale, con ogni evidenza, il «dovere della memoria» non esiste.
Al destino di quegli «indigeni» gli stessi libri di scuola dedicano, e nemmeno sempre, solo poche righe distratte: e che in genere stigmatizzano solo (ingigantendoli) i massacri dei conquistadores spagnoli, lasciando in ombra quelli perpetrati da altri. In tal modo la leyenda negra antispagnola finisce con l'essere, in realtà, una tessera del complesso mosaico anticattolico disegnato da tanta parte della cultura moderna.