Maledetto progresso: produci, consuma, crepa
di Masssimo Fini - 29/08/2007
Il capitalismo ci riduce a bestie da soma, anche il tempo libero è regolato da logiche di mercato. Nemmeno l’impegno sociale ci può salvare
Noi non siamo solo stufi di pagare
le tasse. Siamo stufi di lavorare. Di
essere, nella stragrande maggioranza,
degli “schiavi salariati”, per
dirla con Nietzsche, costretti a
produrre per consumare. Stufi di
essere dei tubi digerenti, dei lavandini,
dei water attraverso i
quali deve passare il più velocemente
possibile ciò che altrettanto
velocemente produciamo.
Adesso siamo arrivati addirittura
all’estremo paradosso
più nemmeno per consumare,
ma dobbiamo consumare
per produrre («Bisogna
stimolare i consumi per aumentare
la produzione», vero?).
Dobbiamo cacare in
continuazione, come scimmie,
ingoiare la nostra merda
e dire anche che ne siamo
felici. Siamo la “variabile dipendente”
del meccanismo
economico, il “terminale uomo”.
Anzi non siamo più
nemmeno uomini, siamo
stati degradati, appunto, a
“consumatori”.
Non c’è cosa più beffarda,
concretamente e linguisticamente,
del cosiddetto “tempo
libero”. È anch’esso un
tempo obbligato, da consumare
per nutrire l’onnipotente
meccanismo che ci sovrasta.
Se un gruppo consistente
di italiani, poniamo,
decidesse di botto di non far
più le vacanze crollerebbe il
sistema e arriverebbero gli
sbirri ad arrestare i renitenti
per boicottaggio.
Quanto era felice
il contadino
Non è che a noi umani
non piaccia lavorare in assoluto.
Qualche volta ci piace
anche. Certamente l’artigiano
e il contadino dell’ancien
régime traevano soddisfazione
dal proprio mestiere
(che, per altro, è un concetto
diverso da quello di lavoro),
perché era creativo, personale
(oggi si direbbe “personalizzato”,
ed è già tutto un
programma) e dalla loro abilità
dipendeva la loro sopravvivenza,
soddisfazioni
che dubito riguardino l’operaio
industriale, l’operatore
del terziario, i ragazzi del
“call center” e infinite altre
categorie di lavoratori.
Noi siamo stufi di lavorare
come muli, come bestie da
soma, per un modello insensato
e di essere tosati come
pecore della cui lana non
si sa poi che fare.
Siamo stufi di lavorare per
permettere a Bill Gates (o
chi per lui) di accumulare
enormi ricchezze delle quali,
arrivato a cinquant’anni,
comprende che potrà utilizzarne
solo una minima parte
e che mette in una qualche
Fondazione pur di liberarsene.
O perché Silvio Berlusconi
possa comprarsi
sempre nuove ville che
nemmeno se vivesse cent’anni
(cosa a cui costui
aspira, povero vecchio, illuso
“puer aeternus”) potrebbe
mai abitare. O perché individui
totalmente decerebrati
facciano finta di divertirsi
al “Billionaire”.
I ricchi depressi
fra alcol e droga
Poveri ricchi. Fan pena. È
fra di loro che si riscontrano
le più alte percentuali di nevrosi,
di depressione, di consumo
di psicofarmaci, di alcol,
di droga. Per trarre dal
loro membro sempre più
floscio una goccia di godimento,
per provare un’emozione,
devono farsi inchiappettare
da un travesta e farsi
ficcare il Rolex nel culo (che
è un atto altamente simbolico:
è come dire che i ricchi
gadget che bramiamo e di
cui ossessivamente ci circondiamo,
per avere i quali
lavoriamo, produciamo e ci
consumiamo, non valgono
nulla e devono far la fine che
si meritano).
Questo modello di sviluppo
è riuscito nell’impresa,
veramente miracolosa, di far
star male anche chi sta bene.
E poveri politici, mosche
cocchiere che si illudono di
governare una macchina
che non risponde più a nessun
comando, tantomeno ai
loro, e che da tempo va per
conto suo, autopotenziandosi
e aumentando costantemente,
a causa della propria
e ineludibile dinamica
interna, la sua velocità. Finché
andrà trionfalmente a
sbattere da qualche parte.
Costoro o sono dei truffatori
- perché sono consapevoli di
essere impotenti - o sono dei
coglioni. Ma, forse, sono
truffatori e coglioni insieme.
Liberté, egalité, fraternité
era il motto della Rivoluzione
francese nata da quell’evento
epocale, decisivo, che
è stata la rivoluzione industriale,
da cui inizia la Modernità,
e che ha partorito le
ideologie e i modelli conseguenti:
l’industrial-capitalismo
e l’industrial-marxismo
che non è che una variante,
inefficiente, del primo. È stato
un fallimento su tutta la
linea. Completo. Clamoroso.
Il falso libertarismo
dell’Occidente
A parte il fatto che appena
inalberata quella bandiera
egualitaria e libertaria le democrazie
occidentali si sono
messe a schiavizzare gli altri
popoli (il colonialismo sistematico
è dell’Ottocento), da
allora le disuguaglianze nei
paesi industrializzati non
han fatto che aumentare,
così come è aumentata
enormemente la disuguaglianza
fra Primo e Terzo
mondo, non solo in senso
relativo, cioè rispetto a noi,
ma assoluto: quei popoli sono
più poveri, e più miserabili,
di quanto lo siano mai
stati in passato.
Fraternité, vale a dire solidarietà,
può esistere solo fra
vicini, perché, come spiega
Esiodo ne “Le opere e i giorni”,
nasce dalla necessità di
una mutua assistenza. Noi
non conosciamo nemmeno
chi abita nel nostro stesso
palazzo e se, incontrandolo,
lo saluti, risponde, sorpreso,
con un grugnito.
Del resto, anche se non se
n’è accorto, è già stato trasformato
in un maiale da
quella Circe moderna che è
il meccanismo produzioneconsumo-
produzione, come
per i porci di lui si sfrutta
tutto, anche il codino.
La solidarietà non è una
cosa astratta, che può essere
imposta per diktat, religioso
o politico. Non è solidarietà
quella delle “due Simone”,
delle Cantoni e altri simili
protagonisti del volontariato
esotico, è solo la pruriginosa
ricerca di ritagliarsi qualche
emozione fuori ordinanza
sulle disgrazie, vere o presunte,
altrui - sgozzatele pure
- che, oltretutto, sono state
quasi sempre causate
proprio dagli stati cui appartengono
queste “anime belle”,
queste cugine delle cugine
di Garlasco.
Suore crudeli
e vigili inetti
Né è solidarietà la bontà
sanguinaria di Madre Teresa
di Calcutta che si pasceva,
da vera necrofora, del dolore
(«La sofferenza degli altri ci
appaga, questa è la dura
sentenza» scrive Nietzsche)
e che per decenni ha rotto i
santissimi con l’amor di Dio
e non ci credeva e lo bestemmiava.
Liberté. Le libertà sono
state abolite. Da quelle di
dettaglio (non si può più fumare,
non si può più bere,
non si può nemmeno pisciare
di notte sui copertoni
della propria macchina - cosa
che dà, ammettiamolo,
una certa soddisfazione - a
50 metri da una puttana
senza che un vigile solerte
fotografi il tutto e lo spedisca
alla tua “compagna” - ma
chi te lo dice, stronzo, che
quella è la mia compagna? -
non si può dare una pedata
a un cane senza essere inseguiti
da orde di animalisti,
eccetera) a quella decisiva:
disporre come ci pare del
tempo che, come diceva
Benjamin Franklin, è «il tessuto
della vita» e di cui siamo
stati espropriati.
L’unica libertà che resta,
sempre più illimitata, globale
e oppressiva, è quella economica,
cioè proprio quell’infernale
meccanismo
(«Produci, consuma, crepa»
per dirla con i Cccp) che ci
sta strangolando tutti, poveri
e ricchi. Questo è il Progresso,
bellezza.

