Lavavetri, specchio del problema immigrati
di Antonello Molella - 04/09/2007
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“Il problema di Palermo è… il traffico”. Così, con amara ironia, si diceva nel Johnny Stecchino di Roberto Benigni. Paradossalmente qualche giorno fa, un’ordinanza del Comune di Firenze sembra riproporre lo sketch benignesco: vieta la presenza di lavavetri ai semafori. I lavavetri, che sono per la gran parte stranieri, sono ora banditi nella signoria fiorentina, rischiando addirittura il carcere. Ordinanza sicuramente smodata e eccessiva: come uccidere una mosca con un bazooka. La parte politica promotrice del bizzarro editto (il centrosinistra) ha tirato in ballo lo smantellamento del racket dei lavavetri, mentre le città del nostro Paese, come molte altre in Europa, pullulano di disperati, che con la speranza di una vita migliore vengono spediti in quartieri ghetto senza avere, molto spesso, un permesso di soggiorno, una sistemazione e di che vivere. Nelle ombre dove si muovono questi fantasmi urbani, senza alcun diritto e dovere, e in mano alla lusinghe della malavita italiana, di cui sono diventati una delle riserve maggiori. Vogliono soldi facili e subito, a dispetto di un sistema che li ha ingannati ed illusi. Parliamo di Paesi, i nostri dell’Occidente opulento, in cui anche curarsi in cliniche di modesto valore è diventato un lusso per una eletta minoranza. Questo sistema ideologico ed etico non riesce più a tornare sui suoi passi ed ammettere i propri errori, ragion per cui adotta misure-tampone. Non si vede la benché minima volontà di ammettere che il nostro Paese sta soffrendo un carico insostenibile: si lavora troppo, si guadagna pochissimo, si deve consumare molto e a tutti i costi, pena la rovina collettiva. Antonello Molella Ps: in questo articolo Molella propone l'integrazione lavorativa, fiscale, sociale e politica degli immigrati ("la reale opportunità di poter lavorare, pagare le tasse, comporre una famiglia e votare"). E' un argomento caldo che va affrontato: come sempre, vi invito a dire la vostra. A mio avviso, l'obbiettivo finale - e ideale, ne sono ben conscio - è quello che ogni popolo risieda nel proprio luogo d'origine, senza per questo vietare gli scambi di qualsiasi genere, anzi. Ma nel frattempo, con milioni di aspiranti schiavi - come noi siamo invece a tutti gli effetti - alle nostre porte quando già nella porta accanto, che si fa? La bussola è senz'altro quella del rispetto dell'identità altrui (e della nostra). Differenzialismo, si chiama in gergo: difendere e preservare le differenze socioculturali anche all'interno dello Stato ospite. Come hanno sempre fatto in Inghilterra. I critici di questo modello dicono che però gli inglesi, come risultato, si sono ritrovati i terroristi in erba (ma operativi) in casa. Personalmente, tuttavia, resto convinto che rimanga la strada da seguire. E voi? (a.m.) |


