Chimere. Il "buono" costruito in laboratorio
di redazionale - 06/09/2007
Che la chimera possa servire a curare malattie umane resta una chimera.
Com’era stato annunciato, la Hfea,
autorità britannica per la fertilizzazione e
l’embriologia umana, ha approvato ieri la
creazione di embrioni ibridi uomo-animale a
scopo di ricerca. La notizia del via libera inglese
alle chimere, entità a percentuale variabile
di umanità, non suscita soltanto
preoccupazioni di ordine etico. Esistono anche
fortissime perplessità di natura strettamente
scientifica, come spiega al Foglio il
professor Angelo Vescovi, docente di Biologia
cellulare all’Università di Milano-Bicocca e
autorità internazionale nel campo della ricerca
sulle staminali. “Dobbiamo considerare
– premette Vescovi – che la ricerca sulla
clonazione terapeutica ha bisogno di grandi
quantità di cellule uovo. Il coreano Woo-
Suk Hwang aveva usato, senza ottenere
i risultati che millantava, più di duecento
ovociti estorti alle sue collaboratrici. Ora
si parla di migliaia di ovociti necessari. Impossibile
immaginare di ottenerli se non
ricorrendo a quelli animali, ed è già
un’ammissione della paurosa inefficienza di
questa tecnica”. E ora, aggiunge Vescovi,
“si dice che gli embrioni ibridi (ammesso
che si riesca davvero a ottenerli) serviranno
a studiare i meccanismi di alcune
gravi malattie umane, ed è un
immenso controsenso scientifico”. Perché?
“Ma perché sappiamo che spesso è
sufficiente una minima alterazione di un
enzima di una cellula o del rapporto
bioenergetico tra alcuni organuli intracellulari,
per produrre uno stato patologico in un
organismo, e stiamo parlando di una situazione
fisiologica, ovvero di una cellula interamente
umana”. Che cosa può avvenire, allora,
in embrioni ottenuti mediante fusione di
una cellula somatica umana con un ovocita
animale privato del proprio nucleo, ovvero
“quando si andrà ad accoppiare un nucleo di
origine umana con il Dna mitocondiale di cellule
bovine? Come minimo, il rapporto bioenergetico
tra il nucleo e il Dna della cellula
umana e quello bovino sarà decine di volte
più alterato di quanto accada in una cellula
che di per sé è patologica anche per una lieve
e unica alterazione”.
Ecco il punto: “Come è possibile pensare
che quello così ottenuto possa essere considerato
un modello affidabile per lo studio di
patologie umane, come il diabete o il Parkinson,
nelle quali plausibilmente la morte delle
cellule è data da piccoli squilibri? La cosa
non è scientificamente sostenibile”. Perché,
allora, tanta enfasi sull’importanza della
creazione di ibridi? Secondo Angelo Vescovi,
nella decisione inglese “vince una certa
visione anglosassone della ricerca come
opera magna che nulla può arrestare. Ma la
percezione è che gli interessi più forti in gioco
siano solo in piccola parte scientifici. Sappiamo
che i riflettori dei media sono accesi
in permanenza sul capitolo clonazione, che
suscita speranze di brevetti e di grandi guadagni”.
Qui però siamo di fronte a una vera
sgrammaticatura scientifica, perché, “se si
vuole davvero studiare una patologia, occore
avere un modello che si avvicini il più possibile
alla realtà. Si cerca di minimizzare, parlando
di ibridi al 99,9 per cento umani. Come
se il mitocondrio, la parte proveniente dall’ovocita
di origine animale, non avesse importanza.
Peccato che senza mitocondrio non ci
sarebbe cellula”.
Il “buomo” costruito in laboratorio
Il primo a tagliare il traguardo del brevetto
per la creazione di chimere sarà forse
Stephen Minger, del King’s College, il quale
ha annunciato di voler studiare, attraverso gli
embrioni ibridi, il morbo di Alzheimer. “Ma
con un modello lontano milioni di miglia dalla
realtà – commenta Vescovi – visto che, se
mai otterrà quegli ibridi (ricordo che a
tutt’oggi nessuno è mai riuscito a clonare embrioni
umani, nemmeno partendo da materiale
genetico interamente umano) si tratterà
di cellule con il nucleo di un paziente malato
di Alzheimer e i mitocondri di una mucca, ovvero
con neuroni che hanno l’intero ciclo
energetico cellulare generato dalla mucca”.
La decisione inglese dà dignità di scienza
a qualcosa che sarebbe meglio chiamare tecnoscienza,
rozzo empirismo. Sostiene Vescovi
che “non si capisce quale sia la domanda
scientifica alla quale le chimere dovrebbero
rispondere. La prima e unica cosa da chiedersi
è: può un nucleo umano interagire a livello
bioenergetico, genetico e molecolare
con dei mitocondri bovini? Ma qui siamo già
oltre. Non so neppure che tipo di rapporto si
verrà a istaurare tra un nucleo e un genoma
umano da una parte e mitocondrio, citoplasma
e membrana di una cellula bovina, dall’altra,
e se ci sarà comunicazione tra materiale
genetico umano e il materiale genetico
bovino che rimane nella cellula con i mitocondri.
E se si ricombina? La scienza deve
avere il coraggio di dire che certe cose non le
sa. E poi: quante malattie degenerative sono
legate a patologie dei mitocondri? E che conclusioni
si possono trarre, se i mitocondri sono
quelli di una mucca? Forse qualcuno sogna
di costruire in laboratorio un ‘buomo’,
metà bue e metà uomo. Allora, per favore,
non chiamiamola scienza”.

