Le nuove generazioni tibetane non vogliono più trattare coi cinesi e contestano il Dalai Lama
di Marco Pavan - 10/09/2007
Generazione Indipendente |
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A Dharamsala. India del nord, qui nel 1959 si sono rifugiati gli esuli fuggiti dal Tibet e qui si trova la sede del governo in esilio presieduto dal Dalai Lama. La volontà di autodeterminazione del popolo tibetano, oltre che con la Cina, si scontra con le divisioni interne e con le meccaniche del passaggio generazionale. Oggi nuovi leader catturano l’attenzione dei giovani rifugiati e chiedono l’indipendenza del Tibet, come il poeta e attivista trentenne Tenzin Tsundue. Lo abbiamo incontrato quando la polizia indiana gli aveva appena impedito di muoversi dalla città di residenza, mentre il presidente cinese Hu Jintao visitava il Paese. Tsundue afferma che i giovani oggi credono sia possibile criticare l’operato del Dalai Lama e soprattutto come sia necessario agire in modo più incisivo. Un altro tibetano, l’ex-guerrigliero Lhasang Tsering, sostiene che quella del governo in esilio è una “in azione” che danneggia il popolo tibetano mentre lascia alla Cina la possibilità di comportarsi da potenza colonizzatrice. Il governo dovrebbe indicare chiaramente la méta da raggiungere ai giovani nati a Dharamsala che non conoscono la terra dei loro padri.
![]() Per le strade di Upper Dharamsala si respira un’aria diversa, poco indiana. Lo sguardo viene catturato dai vestiti color ocra dei monaci buddisti. Oppure si sofferma sulla targa di una motocicletta con la bandiera tibetana e la frase “Time is running out, save Tibet” (il tempo sta scadendo, salvate il Tibet) Le colorate bandiere delle preghiere, appese sui tetti di molte case, si stagliano contro il cielo. Sullo sfondo, le nevi dei primi contrafforti himalayani ricordano che il Tibet non è molto lontano. E a tornare nella terra dei padri pensano i rifugiati di Dharamsala.
![]() Tsundue, nato a Dharamasala, aveva conosciuto il Tibet solo attraverso i racconti dei genitori e degli anziani. A ventidue anni, «se siete vicino a quell’età preparatevi – avverte – farete qualcosa di folle», ha deciso che doveva conoscere personalmente quello per cui voleva lottare. Da solo e a piedi, dopo aver attraversato la regione indiana del Ladakh, è entrato in Tibet. Senza pensare a ciò che stava rischiando, ha attraversato il confine, stupito della facilità con cui poteva farlo, per vedere la sua patria almeno una volta. Dopo alcuni giorni è stato arrestato dalla polizia di frontiera cinese, interrogato, picchiato e imprigionato per tre mesi prima di essere espulso e rimandato in India.
Tsundue è diventato un esempio da seguire in particolare quando, nel 2002, ha scalato fino al quattordicesimo piano le impalcature che circondavano un albergo di Bombay che ospitava l’allora primo ministro cinese Zhu Rongji in visita in India. Prima di essere arrestato dalla polizia ha fatto in tempo a srotolare uno striscione con lo slogan “Tibet libero: Cina vattene” e a sventolare la bandiera tibetana.
![]() Ogni volta che le autorità cinesi visitano l’India, i giovani attivisti tibetani organizzano manifestazioni e proteste chiedendo l’indipendenza. Tsundue, ormai conosciuto dalla polizia indiana, è stato diffidato dal lasciare Dharamsala quando, a fine novembre, il presidente cinese Hu Jintao è andato a Delhi. Nella piazza principale i giovani attivisti hanno organizzato uno sciopero della fame a sostegno del loro leader e per protesta contro le autorità indiane che limitano gli spostamenti degli attivisti tibetani per non avere complicazioni durante le visite cinesi. |

Il cinquantacinquenne libraio e ex militante oggi afferma che «la guerriglia è stata sbagliata e controproducente», ma che l’attuale leadership non fa nulla per aiutare il popolo tibetano perché ha perso di vista la méta. Si commuove pensando al Paese che ha lasciato quando era bambino, una nota di rabbia e sconforto traspare dalle sue frasi. Usa parole aspre contro il governo e Sua Santità che, secondo lui, dovrebbero capire che la strategia della via di mezzo, che cerca il colloquio con la Cina, ha fallito e deve essere abbandonata perché si è trasformata in una inutile e dannosa “non-azione”.
Tsering afferma anche che «la democrazia può attendere, ora serve agire. Inoltre, la morte di Sua Santità è un punto di non ritorno, non si può temporeggiare. Bisogna fare qualcosa subito, indipendentemente da quando passerà a miglior vita.» Tsering spiega che la chiarezza di ciò che si vuole raggiungere è fondamentale e questa è stata persa dall’attuale leadership quando ha rinunciato a chiedere l’indipendenza. Ancora una volta si ripropone il problema di spiegare ai giovani per che cosa devono lottare. Ai tibetani, mancherebbe dunque una vera guida in grado di mostrare la méta e infondere loro la certezza che questa sia raggiungibile. Nel frattempo il buco sul tetto del mondo si allarga.
