Il ricordo di Sabra e Chatila
di Milena Nebbia - 15/09/2007
Il ricordo di Sabra e Chatila |
La commemorazione per i 25 anni della strage nel campo profughi palestinese in Libano |
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Le pareti della sala in cui viene accolta la delegazione italiana del Comitato “Per non dimenticare Sabra e Chatila” (la cui missione quest’anno è stata dedicata anche al fondatore del comitato stesso, il collega Stefano Chiarini scomparso recentemente), sono tappezzate di foto degli abitanti del campo profughi palestinese massacrati 25 anni fa.
Ma ricordare è importante. “Iniziative come questa – ha detto Qassen Aina, il coordinatore delle Ong palestinesi e arabe in Libano - servono a riportare l’attenzione sulla situazione dei campi profughi palestinesi. Il quadro di crescente tensione creatosi dopo i fatti di Nahr el-Bared (il campo profughi che dal 20 maggio è teatro di scontri tra il movimento islamico estremista di Fatah al Islam e l’esercito libanese e che ha costretto 15.mila palestinesi a scappare nel vicino campo di Beddawi creando una situazione di emergenza umanitaria), ci conferma la necessità di azioni che riportino l’attenzione dei media, dell’opinione pubblica mondiale sulla situazione che vivono i profughi palestinesi in Libano, le discriminazioni di cui sono vittime e sul riconoscimento del loro diritto al ritorno”.
Il 19 agosto 1982, l'allora ministro degli Esteri libanese chiese l’intervento di una forza multinazionale di interposizione. Secondo il piano messo a punto dal mediatore statunitense Philip Habib, le forze dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) sarebbero state evacuate da Beirut entro il 4 settembre, sotto la protezione del contingente neutrale composto da statunitensi, francesi e italiani. Il primo settembre tutti i componenti dell’Olp avevano lasciato il Libano. Il contingente multinazionale lasciò il paese il 10, in anticipo rispetto al calendario stabilito. Nel frattempo il parlamento libanese aveva eletto il nuovo presidente, Beshir Gemayel, cristiano e leader delle falangi, le milizie cristiane, il cui piano neanche troppo nascosto era quello di cacciare via dal territorio libanese tutti i palestinesi. Il 12 settembre Gemayel incontrò Sharon, che due giorni prima aveva dichiarato che in Libano rimanevano ancora 2mila “terroristi” palestinesi, alludendo agli abitanti di Sabra e Chatila. Il 14 settembre un colpo di scena: Gemayel rimane ucciso in un attentato compiuto da un libanese cristiano collegato con un movimento dissidente. In seguito si cercherà di coprire le responsabilità del massacro, facendo passare l’irruzione delle milizie falangiste come un moto di rabbia per l’uccisione di Gemayel. In realtà la strage era già stata preparata durante i colloqui che lo stesso Sharon ammise di aver avuto con Gemayel ed altri esponenti dei falangisti. Il 15 settembre Sharon dette ordine alle truppe israeliane di non entrare nel campo, e contemporaneamente si installò personalmente nel palazzo dell’ambasciata del Kuwait, dalle cui finestre si può osservare chiaramente il campo di Sabra e Shatila. Il 16, alle cinque del pomeriggio, le truppe falangiste iniziarono ad entrare nel campo, che per tutta la durata della strage rimase circondato dall’esercito israeliano. Per 40 ore le truppe falangiste poterono compiere indisturbate la loro missione punitiva nei confronti degli abitanti del campo. Alla fine il bilancio sarà pesantissimo:centinaia le abitazioni distrutte e un conto delle vittime oscillante tra le mille e le tremila. La scena del campo di Chatila quando vi entrarono gli osservatori stranieri il sabato mattina era un incubo: donne, bambini, vecchi e giovani, giacevano sotto il sole cocente per le strade del campo. Ogni viuzza raccontava la propria storia di orrori.
Secondo la Carta di Norimberga, la IV Convenzione dell’Aia e la Convenzione di Ginevra del 12/8/49, l’accaduto rientra nella definizione di “crimine di genocidio”. Sono passati 25 anni, ma nessuno è mai stato condannato o inquisito per la strage. |