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Il mare arriva a mezzanotte

di Claudio Ughetto - 19/09/2007

   

Autore: Steve Erickson
Titolo: Il mare arriva a mezzanotte
Edizioni: Frassinelli, Milano 1999
Pagine: 224

Benché questo scrittore californiano abbia già scritto sei romanzi, oltre ad Arc d’X, questo Il mare arriva a mezzanotte è l’unico altro suo lavoro arrivato in Italia. Un vero peccato, perché Erickson è scrittore di grande talento. Colto ma non pedante, di un lirismo talvolta insostenibile, è riuscito a porre le basi per una narrativa con la quale il terzo millennio dovrà fare i conti.
Qualcuno ha avvicinato Erickson a Pynchon, ma in realtà del fantomatico narratore americano egli ha ben poco, se non la tendenza a frammentare le trame sotto una cappa apocalittica. Direi che Erickson non assomiglia a nessuno: riunisce svariate influenze da lui stesso ammesse e argomentate (Faulkner, Miller, Dick e Proust), ma è lui stesso a fare scuola.
Il mare arriva a mezzanotte (The sea came in at midnigt) è un titolo suggestivo ma pericolosamente in bilico sul romanticismo. Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di un best-seller alla Judith Krantz. Invece, a pagina 11, ecco l’inquietante leggenda francese che è l’alfa e l’omega del libro: “Mille anni prima, durante gli ultimi momenti del decimo secolo… “ mille persone stanno aspettando l’Apocalisse sul mare. Mille? No. Novecentonovantanove. Una ragazza è rimasta in cima ad una torre da cui si butta. Lei muore, gli altri si salvano. Duemila anni dopo, Kristin sfugge ad un suicidio di massa: unica sopravvissuta tra 2000 ragazze che si sono buttate dalla scogliera, oppure sono state lambite dalle falci dei preti-sacrificatori.
Da questa specularità partono molte storie intrecciate, concatenate solo da un’apocalittica casualità. Ericson si spinge fino nel futuro, in una Los Angeles in cui vengono proiettati dei ricordi artificiali sui muri dei palazzi. Poi vira in Europa per scendere al centro della storia. È in Bretannia che morirà l’Occupante, l’uomo che ha compilato il Calendario Apocalittico. Muore dialogando con una ragazza di diciassettenne, che da mille anni abita in quella torre.
Erickson, nel suo lirismo, non risparmia nessun genere: dal road-movie alla fiaba, dal thriller al romanzo storico – tutto passato attraverso i suoi maestri (ripetiamo con delle varianti: Faulkner, Miller, Garcia Marquez, Dick…). Rispetto ad Arc d’X, lo stile è più conciso e controllato, anche se le invenzioni non mancano. La visionarietà rimane il pregio e il difetto di Steve Erickson. Talvolta le sue visioni tolgono il fiato: antenne dipinte di nero che riversano in tv gli orrori del mondo, duemila ragazze che fuggono sulla scogliera e i preti biancovestiti con le falci in mano, il Calendario Apocalittico e le mappe sulle pareti di una stanza, una scala che compare a mezz’aria e un palazzo che inonda Tokyo, riversando sulla gente le capsule del tempo (contenitori dei referti dei defunti). In 218 pagine abbiamo del materiale per tre romanzi.
Beninteso, Erickson non ama stupire a vanvera. Ogni accadimento ha una sua ragione d’essere, inoltre anche i particolari più raccapriccianti (come in Arc d’X, predominano le scene di stupro e sesso violento, sebbene filtrato dalla sensibilità delle donne) sono trattati con una pietas che è rara in uno scrittore contemporaneo. Eppure la sua sfida alle regole della verosimiglianza può infastidire. Ed è anche una sfida al lettore, costretto a seguirlo sulle ali dell’immaginazione.