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Mal di Metropoli e Piccole Patrie

di Irti Natalino - 24/09/2007

L' isolamento causa nostalgia di dialetti, vecchi usi, cibi nostrani
     
Questo elzeviro è esitante. Non sa se prendere avvio dal D' Annunzio del Libro segreto, là dove leggiamo: «Porto la terra d' Abruzzi, porto il limo della mia foce alle suola delle mie scarpe, al tocco de' miei stivali»; o dai versi, in cui Béranger cantava La nostalgia ou la maladie du pays: «Ah, rendez-moi, rendez-moi mon village / Et la montagne, où je suis né». Ma forse è meglio dir chiaro che l' elzeviro del 19 luglio (bene intitolato dagli acuti redattori «Piccole patrie rifugio sicuro») ha destato risonanze ed echi inattesi, e sospinto lo sguardo verso altri temi e curiosità dell' animo. In esso si discorreva delle piccole patrie, come ci apparvero, dopo l' 8 settembre 1943, mentre moriva la Patria grande e unica: villaggi campagnoli, borghi sulle alture o cittadine di provincia, nei quali riparammo dalla guerra combattuta fra eserciti stranieri. Un episodio storico, in sé concluso ed esaurito, che solo rivive, come ogni fatto del passato, nel pensiero rammemorante. Ma le piccole patrie tornano ogni giorno a far sentire la loro voce, quasi indispensabili al ritmo stesso della modernità, quasi contrappunto necessario alle metropoli del nostro tempo. C' è un' inversione del cammino: non lo «sfollamento» degli anni di guerra, che ci sospingeva dalla città al contado, ma l' «affollamento» urbano, l' abbandono dei luoghi nativi verso i luoghi del lavorare e del produrre. La metropoli non è soltanto una città grande, una dimensione quantitativa dell' abitare: essa determina modi e tendenze del vivere, influenza i costumi, conforma i caratteri individuali. Si deve a Georg Simmel (1858-1918), filosofo e sociologo berlinese, l' analisi più acuta e suggestiva della metropoli. Risale al 1903 - e se ne ha da noi l' elegante e precisa traduzione di Paolo Jedlowski - il saggio su Le metropoli e la vita dello spirito. Il tono della grande città è impersonale e oggettivo, tecnico e neutrale, spoglio di qualsiasi coloritura affettiva. Gli individui vengono in rapporti funzionali di prestazione e contro-prestazione; tutto si dissolve nella calcolante univocità del danaro. Di qui la figura del blasè, dell' individuo che, soffocato dal succedersi di incontri e di stimoli nervosi, ed incapace di accoglierli tutti nel proprio animo, si vieta di reagire e si mura in una specie di sorda indifferenza. Di qui pure la riservatezza, la «distanza psichica» (come la denomina Simmel), che spesso nasconde immediata antipatia, interiore estraneità, tacita avversione. L' individuo della metropoli, slegandosi dalle cerchie più ristrette e limitatrici, si trova affidato soltanto a se stesso, si sforza di riguadagnare, con l' apparire diverso e col farsi notare, «una qualche stima di sé e la coscienza di occupare un posto». Questo spiega - nota Simmel - perché «i predicatori dell' individualismo estremo (...) siano così appassionatamente amati proprio nelle metropoli, dal momento che appaiono al loro abitante i profeti e i redentori della sua nostalgia inappagata». E che altro è nostalgia, già nell' etimo greco, se non dolore per il ritorno, desiderio di un luogo lontano, da cui ci siamo allontanati o ci hanno discacciati? La maladie du pays ricongiunge alle piccole patrie, scava sottile e assidua negli animi, s' incarna in simboli e riti, è davvero il dannunziano «limo della mia foce». La nostalgia è desiderio inappagato di dialetti, di vecchi costumi, di cibi nostrani, di canti popolari: di un mondo intero, che sappiamo defunto, e che pure ancora ci parla e affascina. L' antitesi tra spirito oggettivo delle metropoli e spirito soggettivo delle piccole patrie - antitesi suscitante quell' ambiguità, avvertita in Simmel dal suo più sottile e autorevole studioso, Alessandro Dal Lago - scandisce la nostra vita, ci fa nostalgici e dolenti, e ogni giorno ci ripete che la modernità esige un alto costo e un sacrificio di noi stessi. Lo spirito oggettivo delle metropoli rende anonimi e impersonali, inserisce gli individui - che pure si sentono sciolti dai legami storici e dall' angustia delle piccole patrie - nell' ardua libertà, nell' affannoso movimento della vita; lo spirito soggettivo richiama alle radici più intime e segrete, al mondo antico, dove tutti si conoscono e scrutano, dove il nascere e morire sono fatti della comunità. Da codesta ambivalenza nessuno di noi può uscire; e nessuno di noi può giudicare circa la superiorità o intensità dell' uno o dell' altro spirito. Il nostro compito - è la conclusione di Simmel - non è di accusare o di perdonare, ma soltanto quello di comprendere.