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“Sono molto stanco”

di Massimo Fini - 14/09/2005

Fonte: Massimo Fini

Una vita coerente
“Sono molto stanco”

Massimo Fini

Su Libero Cesare Lanza,
recensendo “Massimo
Fini è Cyrano, contro
tutti i luoghi comuni”, che
riassume la mia esperienza
teatrale, si dice ammirato del
fatto che io, per un anno, sia
riuscito a cambiare mestiere
stile di vita, aspirazione che,
suo dire, è di molti che però,
per una ragione o per l’altra,
non riescono a realizzare.
conclude il suo articolo, intitolato
“Cambiare vita. La prodezza
di Cyrano Fini”, chiedendomi
di raccontare “come
si fa”.
Sono grato a Cesare Lanza per
le sue affettuose parole e lo
accontento subito. Come si fa?
È semplicissimo. Se in questo
Paese, e in particolare nel
giornalismo, uno ha la pretesa
di conservare un certo gusto
all’indipendenza, viene a poco
a poco, emarginato, in modo
felpato, sornione, ammiccante
e persino sorridente (come ho
visto fare in certi pestaggi
Padova, all’epoca dell’Autonomia,
in cui gli aggressori ridevano
e avevano l’aria di divertirsi
moltissimo, ma intanto,
facendo finta di niente, menavano
sulla vittima botte da orbi), e,
per carità, democratico,
e quindi inattaccabile, e resta
perciò isolato. Per cui cambiar mestiere
e vita non è una scelta, e nemmeno
un atto di coraggio, ma una necessità.
Certo io ho molte colpe. Non ho partecipato
al Sessantotto, non ho mai civettato
con la violenza e col terrorismo
nostrano, non ho nemmeno assassinato
un commissario di polizia (per cui mi
sono vietate le tribune d’onore), non
mi sono intruppato in partiti, lobbies,
clan, non sono omosessuale, femminista
e nemmeno donna, non faccio parte
di alcuna “minoranza organizzata”
appartengo a quei “quattro gatti” della
maggioranza, cioè a quegli individui
che, se sommati, sarebbero la maggioranza,
ma siccome non fan lega fra
loro non contano nulla. Inoltre ho sempre
pagato le tasse e rispettato le leggi.
Insomma ho cercato di comportarmi in
modo leale nei confronti dei miei concittadini.
Eppure, nonostante questi handicap,
negli anni ‘70, quando la politica non
aveva ancora messo del tutto le mani
sul giornalismo, ero considerato, come
ricorda anche Lanza, una delle giovani
penne più brillanti del nostro mestiere.
Tommaso Giglio, mitico direttore dell’Europeo
disse: “Con le qualità di
Fini ho visto arrivare qui solo Bocca e
la Fallaci (naturalmente si riferiva alla
straordinaria Oriana di allora, non a
quella imbarazzante, di oggi)”. Forse
avrà sbagliato valutazione. Però non
c’è direttore, da quelli che mi hanno
voluto bene, come lo stesso Giglio o
Zucconi o Magnaschi o Montanelli o
Feltri o Belpietro o Bacialli, quelli che
mi hanno solo sopportato, che non
abbia espresso apprezzamento per il
mio lavoro. Non pianto grane. Se una
situazione non mi va me ne vado: come
feci con l’Europeo occupato dai socialisti
di Martelli e la Rizzoli devastata
da Tassan Din o col Giorno diretto da
Damato. Un recente libro, “I giganti di
carta”, mi mette fra i settanta più
importanti giornalisti italiani. Nel
2002 un mio libro, “Il vizio oscuro dell’Occidente”,
è stato in testa alla saggistica
degli autori italiani preceduto
solo da “Stupid White Men” di
Michael Moore. Eppure non ho mercato.
Nessun giornale nazionale mi vuole
(e quindi sono particolarmente grato
al Gazzettino che mi lascia la libertà
che mi lascia nonostante ci siano lettori
che mi danno del “comunista” così
come, altrove, mi danno del “fascista”):
Con la Tv di Stato come con
Fininvest-Mediaset, non ho mai avuto
rapporti, nemmeno uno di quei contratti
di consulenza, in genere fasulli,
su cui vive tutta la Roma intellettuale.
L’unica volta che è capitato, non per
mia iniziativa, il mio programma Cyrano,
è stato cancellato il giorno prima
di andare in onda. Non per i contenuti,
che nessuno aveva ancora visto, ma
semplicemente perché qualcuno aveva
deciso che io alla Tv di Stato non devo
lavorare. Adesso si è scoperto che non
ci posso nemmeno comparire: recentemente
sono stato eliminato all’ultimo
momento, da un faccia a faccia che
avrei dovuto avere con Vittorio Feltri
sulla Fallaci “senatrice a vita” e sostituito
con Paolo Liguori. Del resto, in
tanti anni, non sono mai stato invitato,
nemmeno una volta, nè da Vespa nè da
Santoro. Potrebbe essere un vanto,
però a furia di essere escluso di qua e
di là, di su e di giù, la mia situazione
comincia a farsi critica sotto ogni punto
di vista, anche economico. Per questo,
caro Lanza, mi sono dato al teatro.
Ho sessant’anni, mi guardo indietro e
cerco di capire dove è cominciato l’orrore.
Ne Il Settimo sigillo di Bergman
il Cavaliere, tornato al suo posto dopo
dieci anni di guerra in Terra Santa, vi
trova solo la sposa, tutti gli altri sono
fuggiti per paura della peste. I due a
malapena si riconoscono. Lei dice:
“Anche tu sei mutato. Però ora vedo
che sei proprio tu. Nel fondo delle tue
pupille, celato nelle pieghe del tuo volto,
turbato, c’è ancora il ragazzo che
se ne andò di qui tanti anni fa”. Il
Cavaliere: “Sono tornato. E sono un
po’ stanco”.
Lei, temendo che tutto quel sacrificio
non sia servito a nulla, nemmeno ad
appagare i Sogni di lui, gli chiede, con
un tremito nella voce: “Dimmi sei
pentito di ciò che hai fatto?”. “No,
non lo sono affatto. Sono solo un po’
stanco”.
Anch’io non sono pentito di aver tenuto
fede ai miei sogni di ragazzo.
Dopo quarant’anni di vita “contro”,
sono solo un po’ stanco. Molto stanco.