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Sakhalin: indigeni contro la Shell

di Enrico Piovesana* - 28/12/2005

Fonte: peacereporter.net


Il più grande progetto petrolifero della storia minaccia gli indigeni e l'ambiente di Sakhalin 
   
 
La grande isola russa di Sakhalin, poco a nord del Giappone, è un paradiso terrestre coperto di montagne boscose solcate da migliaia di limpidi corsi d’acqua che si gettano nel freddo Mare di Ohotsk, dimora degli ultimi cento esemplari di balene grigie esistenti al mondo. In queste terre selvagge – e fino a pochi anni fa incontaminate – vivono le popolazioni indigene dei Nivci, dei Nanai, degli Orochi e degli Evenchi, pacifiche tribù di pescatori e allevatori di renne, oggi costretti a lottare per la sopravvivenza di quell’ambiente da cui essi dipendono al cento per cento. Sopravvivenza seriamente minacciata dallo sfruttamento degli immensi giacimenti petroliferi locali da parte della Shell, che ha iniziato a lavorare qui sei anni fa ma che solo ora sta cominciando a fare sul serio con l’avvio del più colossale progetto petrolifero della storia. Un progetto che preoccupa la popolazione locale, ma che in questi giorni ha inspiegabilmente ottenuto il via libera dalla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo proprio in materia di sostenibilità ambientale e sociale. Un brutto colpo per gli indigeni di Sakhalin, che però non sono intenzionati ad arrendersi.
 
Le prove dell’impatto ambientale. Negli anni Ottanta, sotto i fondali al largo delle coste di Sakhalin sono stati scoperti i maggiori giacimenti mondiali di petrolio e gas naturale ancora vergini: almeno 14 miliardi di barili di greggio e 3,3 triliardi di metri cubi di gas naturale! Un affare d’oro su cui le maggiori compagnie petrolifere globali e il governo russo si sono gettati a capofitto, senza pensare troppo alle conseguenze ambientali e umane dei loro progetti.
Le prime trivellazioni sono iniziate nel 1999 e le conseguenze furono immediate. Centinaia di tonnellate di aringhe morte vennero a galla allarmando i pescatori. Gli scienziati dell’associazione ambientalista Pacific Environment analizzarono i pesci morti rinvenendo nelle loro carni tracce di petrolio e metalli pesanti. Molte foche morirono. Gli uccelli che normalmente si cibavano di plancton iniziarono a nutrirsi di insetti. Tutto il pesce pescato puzzava di petrolio e la pescosità delle acque di Sakhalin crollò ai minimi storici. Per non parlare dei timori sul destino delle ultime cento balene grigie del mondo.
 
Proteste inascoltate: il progetto ‘Sakhalin II’. Gli indigeni di Sakhalin hanno iniziato a protestare: assemblee, dimostrazioni, blocchi dei cantieri. Non hanno mai preteso lo stop allo sfruttamento petrolifero della loro isola e del loro mare. Hanno chiesto solo valutazioni indipendenti sull’impatto ambientale e sociale del progetto e l’istituzione di un fondo per lo sviluppo dei popoli indigeni di Sakhalin finanziato dalle compagnie petrolifere. Ma queste, dopo aver negato il rischio di pericoli ambientali e aver dato vaghe rassicurazioni in merito, hanno tirato dritto per la loro strada avviando la ‘fase due’ dello sfruttamento, quella più massiccia, quella a più alto rischio ambientale. Il progetto ‘Sakhalin II’ prevede la costruzione di due piattaforme estrattive davanti alle coste dell’isola, di un mega-impianto di liquefazione del gas naturale e di due condutture che porteranno petrolio e gas alla terraferma russa attraversando l’isola. Il fatto che le tubature attraverseranno almeno 1.300 corsi d’acqua e che la regione di Sakhalin sia ad altissimo rischio sismico allarma gli indigeni locali, che temono una catastrofe ambientale in caso di incidenti.
 
L’ultimo schiaffo agli indigeni arriva da una banca. Il progetto, gestito dalla Compagnia di Investimento Sakhalin Energy – impresa a guida Shell cui partecipano le aziende giapponesi Mitsui e Mitsubishi – costerà almeno 12 miliardi di dollari, più probabilmente 20. I finanziatori sono l’americana Corporazione per gli Investimenti Privati Oltreoceano, la Banca Giapponese per la Cooperazione Internazionale e la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, che il 14 dicembre è stata la prima a giudicare positivamente, a scopo di finanziamento, gli standard ambientali e sociali presentati dalla Sakhalin Energy. La quale ha reagito con comprensibile entusiasmo dato che questo aprirà certamente la strada al coinvolgimento di altre banche che nutrivano dubbi sulla sostenibilità del progetto.
La notizia è stata invece accolta con sconforto dagli indigeni di Sakhalin, che nonostante la rottura delle trattative con la Sakhalin Energy e con il governo russo, avvenuta ormai un anno fa, sperano ancora di riuscire a salvare il loro paradiso.
  

 
*Associazione per i Popoli Minacciati