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La pedagogia di Comenio ci interroga se sia giusto insegnare tutto a tutti

di Francesco Lamendola - 17/12/2007

 

 

 

Se c'è un pedagogista che ha superato l'ambito culturale del proprio tempo per farsi idealmente nostro contemporaneo, quello è certamente Comenio, nome latinizzato di Jan Amos Komensky, un Ceco nato a Nivnice, in Moravia, il 28 marzo 1592 e morto in esilio, a Naarden, non distante da  Amsterdam, il 15 novembre 1670. Il suo nome è legato al grande rinnovamento della pedagogia europea verificatosi del XVII secolo  e l'impronta da lui impressa nella storia di questa disciplina è ancor oggi profonda e notevolmente attuale.

Figlio di un mugnaio, studiò teologia e divenne pastore della chiesa dei Fratelli Boemi, poi vescovo di Leszno, impegnandosi al tempo stesso nell'ambito dell'educazione, dirigendo scuole e scrivendo opere pedagogiche che gli diedero una vasta celebrità. Le persecuzioni religiose che caratterizzano le vicende dell'Europa centrale all'epoca della Guerra dei Trent'anni lo costrinsero ad abbandonare la sua terra e a vivere quasi sempre in esilio. In particolare, i suoi sogni di rinnovamento culturale e spirituale del popolo ceco, culminati nel progetto di una vasta enciclopedia che avrebbe dovuto racchiudere l'intero scibile umano (precorrendo di un oltre un secolo gli illuministi francesi) vennero infranti dall'esito infausto della battaglia della Montagna Bianca, nel 1620, che videro gli Asburgo e i Gesuiti scatenare una durissima repressione anti-protestante in Boemia, la quale ebbe anche caratteri di germanizzazione forzata a danno della popolazione slava e provocò una massiccia emigrazione politica di quanti non poterono o non vollero piegarsi a tali avvenimenti. Comenio, in particolare, soggiornò a lungo in Svezia, su richiesta di quella corte (erano gli anni della folgorante avanzata in Germania di Gustavo Adolfo, il "re delle nevi") e viaggiò fra l'Inghilterra, ove risiedette nel biennio dal 1641 al 1642, l'Ungheria e le Province Unite, ovunque cercando di fondare scuole e di realizzare - tra mille difficoltà - il suo grande ideale pedagogico.

Un incendio, nel 1596, causò la perdita di buona parte delle opere da lui scritte. Fra quelle che ci sono pervenute, ricordiamo Janua linguarum reserata (1631), Schola materna (1633), Methodus  linguarum novissima (1648), Didactica magna (1657), Orbis sensualium pictus (1658), la Pampaedia (una delle sette parti di un'opera molto più vasta, rimasta incompiuta); e infine quello che si può, a giusto titolo, considerare il suo testamento spirituale, Unum necessarium (1668), che tratta della pace universale.

Come pedagogista, il suo ideale era quello di omnes omnia docere, insegnare tutto a tutti, attraverso una formazione integrale della personalità che deve investire sia la sfera della vita spirituale che quella della vita civile. Per lui, educare è vivere, tuttavia per educare è necessario individuare con chiarezza gli obiettivi da realizzare, nonché il metodo con cui si intende trasmettere il sapere. Come per i grandi filosofi del Rinascimento italiano - Marsilio Ficino, Pico della Mirandola e Tommaso Campanella - egli parte dal presupposto che l'uomo è un microcosmo che riassume le caratteristiche dell'intero universo, del quale costituisce la sintesi e il momento dell'autocoscienza, gettando un ponte tra sostanza materiale e sostanza spirituale, tra finito e infinito. In questo senso, egli persegue il fine di un superamento del dualismo cartesiano e ciò, forse, spiega almeno in parte la freddezza che caratterizzò l'unico incontro tra Comenio e Cartesio, avvenuto ad Amsterdam, mentre il primo era diretto a Stoccolma.

Le idee centrali del suo pensiero pedagogico sono, oltre alla pansofia (insegnare tutto a tutti, senza distinzione di ceto sociale o di sesso), l'indagine e l'imitazione della natura, considerata maestra insuperabile (tanto che il suo realismo pedagogico è stato definito naturalistico e non storico, perché non indica il percorso che dovrebbe concretamente condurre l'uomo all'agognata autonomia); la ciclicità dell'insegnamento (con la suddivisione del corso di studi in quattro cicli, ciascuno dei quali riprende e approfondisce le materie di quelli precedenti); l'importanza dell'insegnamento linguistico, a partire dalla propria lingua nazionale (nel caso della Boemia e della Moravia, il ceco); la centralità della figura del maestro; l'opportunità di stimolare l'alunno alla ricerca del sapere, piuttosto che saziarlo di conoscenze; la necessità di una scuola che sia al tempo stesso informativa e formativa (che trasmetta cioè non solo delle conoscenze, ma anche dei valori, primo fra tutti la conquista dell'autonomia).

Scrivono Battista Mondin e Fernando Salvestrini (in Pedagogia e Filosofia, storia e problemi, Milano, Massimo, 1978, vol. 2, pp. 228-231):

 

"Pur perseguendo lo stesso ideale educativo di Campanella, Comenio ebbe  una coscienza pedagogica più moderna e realistica.

"La sua ambizione di omnes omnia docere attraverso l'adozione di un metodo lo pone su un piano decisamente rivoluzionario. Sii tratta infatti del primo tentativo di  naturale, logica conseguenza sul piano pedagogico della riforma del metodo scientifico iniziata dall'umanesimo. «La pampaedia - egli afferma nell'opera omonima - è l'educazione universale di tutta l'umana gente. Per i Greci,, infatti, παιδεια [paidèia] significa l'educazione e la disciplina nella quale gli uomini sono eruditi; παν [pan] significa l'universalità. Si richiede, dunque, che tutti siano educatori in tutto e totalmente. […]] Vogliamo proporre, dunque, tre cose inconsuete (ripetiamo perché vogliamo essere compresi): e cioè che vengano istruiti all'universale cultura 1) tutti gli uomini; 2) intorno a tutte le cose; 3) affinché divengano colti totalmente» (Comenio, Pampaedia, trad. it. di P. Cannurata, Armando, Roma, 1968, pp. 23-27).

"Comenio sostiene la necessità della scuola (egli attribuisce scarsa fiducia alla famiglia) e conseguentemente della formazione dei futuri maestri.

"Il problema è affrontato nella Didactica magna in cui afferma la necessità di affidare ai futuri maestri un metodo ben congegnato per poter dare buoni risultati: un metodo valido, che segua la natura del fanciullo senza forzarlo.

"Un metodo dunque naturale e graduale perché «la natura non fa salti, ma procede per gradi»…«la natura attende il tempo propizio…la formazione dell'uomo deve cominciare nella primavera dell'età. Tutto ciò che deve essere imparato va talmente proporzionato all'età che nulla sia dato ad apprendere che non possa essere compreso». E inoltre «non graviamo la fanciullezza con cosa che sono riservate all'età adulta. Ciò costituisce l'anticipazione delle parole rousseiane: «la natura vuole fanciulli i fanciulli prima di essere uomini».

"Il metodo di Comenio è inoltre ciclico perché tutto il programma iniziale viene riproposto nelle classi successive; spontaneo perché rispetta la libertà umana e gli interessi specifici di ogni età.

"Fine dell'educazione è lo sviluppo della personalità dell'educando, per cui le tappe non devono essere bruciate, ma hanno tutte un loro 'optimum'.

"Il pensiero educativo di Comenio riflette naturalmente la sua concezione filosofica dell'uomo, che infatti, rispecchia l'ordine e l'armonia delle cose del mondo come microcosmo. «La natura è attentissima all'opportunità del tempo […]. Gli errori che nella scuola si commettono contro questo principio fondamentale sono due: 1) non si coglie il tempo per esercitare le menti; 2) non si ordinano gli esercizi in modo che tutto proceda infallibilmente, secondo la giusta gradazione […]; appare evidente che quell'ordinamento che vogliamo sia il modello universale dell'arte dell'insegnare e imparare ogni materia, non si deve o non si può ricavare da altro che dagli insegnamenti della natura». L'uomo però deve conquistare questo ordine perché infatti potrebbe anche deviare. Proprio per questo è necessaria l'educazione.

"«Che cosa mai - afferma il Comenio - in noi e nelle nostre cose è rimasto al suo posto, niente in nessun luogo… ma la prima cosa che le Sacre Scritture ci insegnano è che sulla terra non c'è altra via più efficace a correggere tutte le specie di umana corruzione che la retta educazione della gioventù […]. Perciò non erroneamente qualcuno definì l'uomo un essere animato disciplinabile, perché l'uomo non può diventare se non è educato. E invero disse una cosa da sapiente chi disse che le scuole sono officine d'uomini, in quanto che producono sicuramente l'effetto, che l'uomo divenga veramente uomo…».

"Il metodo adottato è quello naturale, ma se la natura è per se stessa attiva, l'unico compito del maestro sarà quello di guidare l'attività già presente nel fanciullo. Non siamo certo ancora nell'attivismo moderno, ma si può già parlare di un metodo attivo.

"Dal punto di vista didattico si cerca di superare l'insegnamento verbalistico. Suo è infatti il primo libro illustrato per avviare i bambini alla lettura secondo un metodo che noi oggi chiamiamo globale.

"La disciplina deve essere ferma, ma senza odio; infatti «una scuola senza disciplina è un mulino senza acqua».

"Riteniamo necessario, come appunto conclusivo, riportare alcuni brani tratti da una delle sue opere (Pampaedia) che riassumono la sua concezione pedagogica: «Noi bramiamo che tutti gli uomini siano pansofi e cioè: 1) comprendano le articolazioni delle cose, dei pensieri e dei discorsi; 2) comprendano gli scopi di tutte le azioni (proprie e altrui), i mezzi e i modi per realizzarli; 3) sappiano distinguere nelle azioni, come anche nei pensieri e nelle parole, che si diffondono e si confondono, l'essenziale dall'accidentale, l'indifferente dal nocivo. E quindi rilevare le differenze proprie e altrui dei pensieri, dei discorsi e delle azioni e saper sempre e dovunque ritornare sulla buona strada».

"Se tutti gli uomini fossero dotti in tutto questo, tutti diventerebbero totalmente sapienti; il mondo, poi, diverrebbe pieno di ordine, di luce e di pace. «…Bisogna ormai dimostrare che nelle scuole si deve insegnare tutto a tutti: si badi però che non intendiamo dire che tutti devono acquistar conoscenza di tutte le scienze e di tutte le arti…».

"Comenio è quindi il padre della pedagogia moderna perché apre una nuova prospettiva alla riflessione sui problemi educativi, ma anche la sua concezione presenta dei limiti. Egli infatti si basa su ciò che è comune a tutti, senza render conto delle caratteristiche individuale, considerate o eccessi o difetti da eliminare. «Insomma, poiché dagli anni della fanciullezza e dall'istruzione e dall'educazione dipende tutto il resto della vita, se l'animo di ciascuno non si prepara allora a ciascuna di quelle cose, che deve fare per tutta la vita, è bell'e finita. Come dunque nell'utero della madre si formano le medesime membra per ogni essere, che dovrà diventare un uomo, e per ciascuno si formano tutte, le mani, i piedi, la lingua ecc., benché non tutti abbiano a diventare artigiani, corridori, scrivani e oratori, così nella scuola a tutti si devono insegnare tutte quelle cose, che riguardano l'uomo, anche se dopo una sarà per tornare più utile a uno e una a un altro».

"Comenio elabora la più vasta e profonda sintesi pedagogica fino allora concepita. «Egli è il teorico dell'educazione realistica attraverso le cose; il difensore dell'educazione naturale  adatta allo sviluppo spontaneo del fanciullo; l'inventore di metodi intuitivi e attivi; il fautore d'un insegnamento popolare aperto a tutti.» (René Hubert, Storia della pedagogia, Armando, Roma, 1971, pp. 248-249). Egli è dunque il fondatore della pedagogia moderna e il suo influsso durò intatto nelle scuole tedesche fino agli inizi del sec. XIX."

 

Vi è un altro aspetto del pensiero pedagogico di Comenio che merita di essere evidenziato: egli non aveva molta fiducia nella capacità educativa della famiglia. I suoi quattro cicli d'istruzione pubblica (che erano, dall'inferiore al superiore, la scuola del grembo, la scuola di lingua nazionale, la scuola di latino e l'accademia), coprono praticamente tutta la fascia d'età dai 3 anni in su (e, come vedremo, in pratica fino alla morte). Di fatto, ai genitori è lasciata l'educazione del solo primo triennio di vita dei loro figli, e anche quel breve periodo deve essere impiegato per avviare i piccoli verso i primi rudimenti del sapere. Perciò, oltre che di una sopravvalutazione dell'aspetto cognitivo e formativo dell'educazione rispetto a quello affettivo, ci sembra si possa parlare anche di una sopravvalutazione dell'aspetto logico-razionale rispetto a quello ludico e intuitivo. Questa fretta, per non dire questa impazienza, di avviare i bambini alla scuola pubblica, non si riallaccia nemmeno alla scuola romana dell'antichità, ma sembra piuttosto preannunciare la smania di efficientismo che caratterizza la scuola odierna, dove pure ci si è limitati - per ora - ad anticipare l'inizio della scuola primaria dell'obbligo dai sei ai cinque anni di età. È come se il sapere, in questa prospettiva pedagogica, contasse in qualche modo più di colui che deve essere portato alla conoscenza; come se l'educazione fosse un valore ipostatizzato e in qualche misura astratto, che vale indipendentemente dalle persone concrete che dovrebbero riceverne i benefici. Inoltre, sminuendo la funzione educativa della famiglia, Comenio svilisce la dignità di quella che oggi si definisce la prima agenzia educativa o, se si preferisce un'altra espressione, la prima società educante, con la quale il bambino viene a contatto nella sua vita.

Si tratta, a nostro avviso, di un gravissimo errore sia dal punto di vista affettivo, sia dal punto di vista formativo; perché se si vuol delegare l'intero processo educativo alla scuola pubblica, non resta che trasformare l'intera società in una grande istituzione scolastica obbligatoria e perciò, al di là delle intenzioni personali di Comenio - che erano certamente nobili e degne - procedere a quella radicale scolarizzazione della società contro i cui rischi Ivan Illich ha giustamente messo in guardia. Infatti la scolarizzazione del sociale va nella direzione opposta a quello che ci sembra essere il giusto rapporto fra educazione e società: ossia l'esigenza di trasformare, per quanto possibile, l'intera società in una società educante, e non già l'intera società in una scuola, la scuola essendo solo uno strumento - anzi, uno degli strumenti - per raggiungere l'obiettivo della formazione integrale e armoniosa della persona. La scuola, in altri termini, non deve o, almeno, non dovrebbe essere un luogo protetto e separato dalla società, una sorta di oasi nel deserto ovvero una fortezza assediata in territorio nemico; ma, al contrario, la naturale espressione di una volontà e di una finalità educative proprie della società tutta e, pertanto, parte di un progetto educante che non sta a sé, ma si integra e interagisce da un lato con la famiglia, dall'altro con il mondo del lavoro, della socialità, della ricerca vera e propria (artistica, scientifica, filosofica, ecc.).

Del resto, la volontà di Comenio di procedere a una sorta di scolarizzazione totale dell'individuo e della società appare evidente nel suo progetto di "scuola della nascita", una sorta di consultorio rivolto ai genitori per acquisire consapevolezza dei loro doveri educativi ancor prima di mettere al mondo le proprie creature (anzi, addirittura ancor prima di sposarsi). Si ha pertanto l'impressione che, nello zelo pedagogico di Comenio, traspaia una sorta di ossessione di coprire l'intero arco della vita umana, mediante la presenza massiccia di una istituzione scolastica che è, sì, rivolta a tutti, indipendentemente dal sesso e dal ceto sociale (e questo è l'aspetto, diciamo così, democratico ante litteram del suo pensiero), ma  che, appunto, non prevede la possibilità di una opzione diversa e, quindi, pretende di imporsi come una verità auto-evidente, dei cui benefici ogni essere umano deve essere portato a godere, bon gré mal gré (e questo è l'aspetto pedagogico, invero poco considerato, che non esiteremmo a definire, almeno tendenzialmente, totalitario). In questo senso, la scuola tende a diventare non più uno strumento, ma il fine stesso dell'educazione; anche se il pensatore moravo, dotato di un istintivo senso dell'equilibrio, cerca di tenersi lontano dalle implicazioni aberranti di una tale visione, indicando con chiarezza i fini del processo educativo: formare un individuo responsabile verso Dio, verso le cose e verso i propri simili.

Scrivono J. M. Prellezo e R. Lanfranchi in Educazione e pedagogia nei solchi della storia Torino, Società Editrice Internazionale, 1995, vol. 2, pp. 135-138):

 

"In prospettiva biblica, Comenio pensa che l'uomo - microcosmo, figlio e immagine di Dio -, è stato chiamato a offrire il proprio contributo al ristabilimento dell'armonia nell'universo, facilitando il cammino di ritorno di tutte le cose all'unico Creatore. Impedito di svolgere questo compito a causa el peccato, si rese necessaria l'opera di redenzione realizzata da Cristo, che ristabilì l'uomo alla sua funzione e dignità. Per rendere l'uomo consapevole di tale missione, e per facilitarne la messa in pratica diviene necessario l'intervento educativo.

Anche se gli scritti di Comenio non offrono una definizione puntuale di educazione, si possono tuttavia individuare due elementi complementari in stretto rapporto con la visione teologico-religiosa accennata. Il primo, di restaurazione dei danni provocati dal peccato originale; il secondo, di riabilitazione alla missione originaria dell'uomo. In altre parole: il compito della formazione umana si esplica in due momenti fondamentali: uno negativo, di soppressione dei difetti, e un altro positivo di crescita con la capacità di raggiungere i fini a cui il soggetto è destinato, mettendolo in grado di adempiere responsabilmente i suoi compiti nei confronti di Dio, delle cose e degli uomini. (…)

"Nella Pampaedia, staccandosi dal concetto tradizionale di 'scuola' e utilizzando il termine in senso piuttosto simbolico, Comenio aggiunge quattro nuovi tipi di scuole:  'scuola della nascit', 'scuola della maturità', 'scuola della vecchiaia' e 'scuola della morte'. Per ognuna di tali scuole vengono dati suggerimenti didattici, e sono esaminate le caratteristiche dei testi e delle diverse classi. Per esempio, la 'scuola della nascita' dovrebbe offrire «indica<zioni utili ai genitori sui problemi della prima ed indispensabile cura verso il genere umano già nel grembo materno», e dovrebbe comprendere tre 'classi': una specie di consultorio prematrimoniale, orientamenti sul comportamento durante il primo periodo del matrimonio, cura della «prole già concepita fino al momento della nascita».

"La scuola non è più intesa come 'preparazione alla vita' o come un'istituzione con funzioni limitate nel tempo, ma come un vero ambiente di vita e come un mezzo necessario per la realizzazione dell'uomo stesso lungo tutte le tappe della sua esistenza: dal grembo della madre fino alla tomba."

 

Ecco, questo appunto è il pericolo insito, a nostro avviso, nel vastissimo e ambizioso progetto scolastico di Comenio: la sostituzione del concetto di scuola al concetto di educazione. Infatti, se è vero che l'educazione dovrebbe essere permanente e non cessare mai fino all'ultimo giorno di vita dell'individuo, è altrettanto vero che non si vede perché la scuola dovrebbe divenire l'unica e costante agenzia educativa fra la culla e la tomba.

Qui si vede, secondo noi, il limite intrinseco del pensiero di quei pedagogisti che hanno voluto tradurre in termini di progetto didattico assoluto la propria organica visione del mondo, la loro filosofia. Comenio, da buon teologo, ha chiaro in mente chi sia l'uomo, quale sia la sua destinazione finale, quali i suoi doveri nei confronti di Dio, del creato e dei suoi simili; ma, allorché progetta un disegno educativo globale, capace di tradurre in pratica la sua concezione dell'uomo, inevitabilmente scivola verso una forma di educazione totalitaria.

Qualcuno potrebbe obiettare che la pedagogia di Comenio è, sì, totale e anche, magari tendenzialmente totalizzante, ma non totalitaria. Ne conveniamo di buon grado. Tuttavia ci sembra che, nella sua concezione educativa, il pericolo di una 'tentazione' totalitaria esista, e sia insito nelle sue premesse: vuoi per la pretesa di insegnare tutto a tutti, vuoi per aver immaginato solo la scuola, o quasi solo la scuola, come il luogo idoneo e necessario per un siffatto disegno. Di quest'ultimo aspetto abbiamo già avanzato una critica, particolarmente per la scarsa fiducia accordata da Comenio al valore educante della famiglia e della società extra-scolastica. Per quanto riguarda il primo aspetto, la convinzione che si possa e si debba insegnare ogni cosa a ciascun individuo, e sia pure con la doverosa gradualità (convinzione spinta sino al punto di addossare interamente all'educatore l'eventuale insuccesso nel processo di apprendimento del discente) ci resta ancora da dire qualche cosa.

È proprio vero che sia giusto e possibile omnes omnia docere?

Di solito, questo viene presentato come l'aspetto più simpatico del pensiero di Comenio. Ciò avviene perché, con l'avvento della scuola di massa e con l'affermarsi della democrazia liberale - due elementi caratteristici della modernità, tra loro intimamente legati - ci siamo familiarizzati con l'idea che il sapere debba essere accessibile a tutti e che tutti ne possano godere i benefici, indipendentemente dalle attitudini, dagli interessi, dalla maturità e dallo stesso principio di motivazione. Anzi, come abbiamo visto, se uno studente stenta ad apprendere, la "colpa" non può che essere del maestro, il quale non ha saputo motivarlo adeguatamente. In questo, non lo neghiamo, vi è una parte di verità; ma solo una parte. Il resto è demagogia allo stato puro. Il fatto è che, se un'istruzione e una formazione di base devono essere impartite a tutti, non è altrettanto evidente che ciò debba proseguire nei livelli superiori e fino all'università, come oggi invece avviene; col risultato che vediamo avanzare una generazione di diplomati e laureati peggio che incompetenti: perché, oltre alla profonda ignoranza in ciò che dovrebbe essere il contenuto specifico del loro sapere, manifestano una perfetta inconsapevolezza del loro essere inadeguati, una allarmante incapacità di auto-valutazione.

Se ci volgiamo alla concezione che, del sapere, avevano gli antichi - e intendiamo pensatori del calibro di Platone e Aristotele - ci accorgeremo che ben diversa era la loro concezione circa la trasmissibilità del sapere. La filosofia greca, come ha esemplarmente chiarito Aristotele nell’Etica Nicomachea, non mirava a una semplice “saggezza” (phrónesis), relativa alle cose mutevoli e contingenti, ma a una suprema sapienza (sophía), che è contemplazione delle cose eterne e, quindi, capace di rendere quasi divini coloro che la raggiungono. Di conseguenza, non tutti possono accedere ai livelli superiori del sapere, perché non tutti potrebbero comprenderli a fondo e, quindi,  farne un buon uso. Non da egoistico esclusivismo, ma da autentica preoccupazione pedagogica e sociale deriva allora l’opportunità di trasmettere solo a discepoli scelti, e con estrema prudenza, il sapere ultimo del maestro. Da ciò la diffidenza nei confronti della parola scritta, del libro, che appunto non distingue fra coloro che hanno i requisiti per accedere alle verità superiori, e coloro che non li possiedono.

Il maestro, pertanto, per dirla con Omero (Iliade, II, 361), non deve “buttare le proprie parole”; esse devono cadere solo entro orecchi di persone capaci di assumersi le responsabilità che la conoscenza  vero comporta. Platone, ad esempio, nella VII Lettera (generalmente considerata autentica), così si esprime:

 

"Ogni uomo serio deve con grande cura evitare di dare mai in pasto le cose serie, scrivendo su di esse, all’invidia e all’incapacità di capire degli uomini».

 

E ancora:

 

"Questo ho da dire su tutti quelli che hanno scritto o scriveranno, quanti sostengono di conoscere l’oggetto delle mie indagini, sia per averlo ascoltato da me sia da altri, sia per averlo scoperto da se stessi: non è possibile, a mio parere, che costoro abbiano capito niente dell’argomento. Certamente non esiste un mio scritto sul tema né mai esisterà. Infatti non può essere enunciato in nessun modo come gli altri insegnamenti; ma in seguito a una lunga frequentazione del suo oggetto, e dal conviverci, all’improvviso, come una luce che si accende da una scintilla di fuoco, compare nell’anima e si nutre ormai da se stesso. E so almeno che queste cose, se fossero scritte o dette da me, lo sarebbero nel modo migliore; e se fossero scritte male, ne soffrirei moltissimo. Se poi avessi ritenuto che fossero da scrivere in modo sufficiente per la massa e fossero comunicabili, quale compito più nobile avrei potuto affrontare nella vita, dello scrivere una cosa che è di grande utilità per gli uomini e del portare in piena luce per tutti quanti la natura? Ma non penso che il metter mano, come si dice, a questi argomenti sia un bene per gli uomini, se non per un numero limitato di persone capaci di arrivarci da se stesse attraverso una minima indicazione…".

 

Il fatto è che la rivoluzione pedagogica di Comenio, che affianca - cronologicamente e concettualmente - la cosiddetta rivoluzione scientifica del XVII secolo, dati i suoi presupposti razionalisti (ancorché di matrice teologica), non può non avere una visione orizzontale, quantitativa, "estensiva" del sapere; pertanto non può ammettere che non tutte le persone siano ugualmente adatte e predisposte ad accedere ai livelli superiori del sapere stesso. Il quale ultimo è visto, in una prospettiva sostanzialmente evolutiva, come accumulo di singole conoscenze e non come gerarchia di verità che, portando da un sapere puramente umano verso uno di natura divina, presuppongono un processo ascensionale dell'anima che non tutti gli esseri umani desiderano compiere, o hanno la capacità di compiere, o la predisposizione a compiere. L'ansia delle verità ultime, infatti, non si può instillare negli esseri umani per decreto, né si possono livellare le loro aspirazioni e i loro valori in nome di un democraticismo che vorrebbe far scomparire quello che di unico e irripetibile vi è al fondo di ciascuna persona.

Tuttavia, non separiamoci così da Comenio e dal suo pensiero pedagogico: con un senso di amarezza e di profonda insoddisfazione. Egli fu un nobile educatore, un pensatore coerente e appassionato, un uomo retto e sincero; il che non è poco.

Ci piace, pertanto, accomiatarci da lui con le parole di Diega Orlando Cian nel suo saggio Le ragioni dell'insegnare (in Studium Educationis, Padova, Cedam, 1999, vol. 1, p. 89):

 

"Comenio va alla ricerca di un sapere universale, la Pansophia, che riesca a unificare tutti i saperi, da quello teologico a quello scientifico, a quello matematico e filosofico. I fondamenti delle conoscenze devono essere insegnati a tutti- «tutto a tutti» - in modo adatto alle varie età dell'educando, che è tale per tutta la durata della sua vita, dal grembo materno alla morte. La Pampaedia tratta di tutte le età della vita e ci fa comprendere come anche il 'perché' insistente del bimbo di tre anni sia già un interrogare il mondo, proprio come fa il filosofo; ma anche chi sta per concludere il cammino terreno si pone i problemi che nessuna scienza è riuscita a risolvere e va anch'egli aiutato perché la sua esperienza e la sua situazione sono 'nuove' per lui e richiedono un nuovo pensare. L'unità della coscienza, d'altronde, l'unica che possa permetterci di parlare di cultura educativa, va perseguita non attraverso i multa - oggi diremmo i vari frammenti dei saperi - ma attraverso il multum, che indica la 'qualità' come valore, come validità, collegata al fine che si intende conseguire:  un'esperienza concreta, basata sul 'faciendo didscimur' o 'fabricando fabricamur', col fare facciamo non soltanto la realtà, ma anche noi stessi, nell'identità ,che è armonia col mondo, con sé e con gli altri.

"E ciò in tutte le età, ciascuna delle quali, secondo il metodo critico, può raggiungere la sua pienezza, la sua qualità umana, che prepara a una ulteriore pienezza, specifica di un'altra età: il processo educativo, alimentato dalla cultura, diventa un processo di ampliamento ma anche di approfondimento, in cui la gradualità del sapere non rappresenta una via longitudinale di accumulo di dati, ma un'esperienza specifica di una determinata età, un 'apprendere' che prepara un nuovo apprendere in tutti i campi che interessano la vita umana.

"Per questo, anche nella Methodus Linguarum Novissima le parole e le cose sono interocnnesse  (quando non ci sono le cose ci si serve delle immagini), perché ogni esperienza deve avere un suo senso per l'essere umano.

"Il concetto di un sapere, i cui 'semi' si manifestano nella sete di conoscenze, nella curiosità, insita nell'essere umano, al punti che la mancanza d'interesse, di impegno dell'allievo sono da ascrivere alla responsabilità dell'insegnante e all'organizzazione della scuola, e non necessitano quindi di 'disciplina', e quello, diverso, di un ordine interiore, che va costruito dall'educando attraverso un costante impegno di volontà, aprono la via a una cultura educativa che va prospettata fin dal 'grembo materno' e continua per tutta la vita.

"Ma non sono soltanto questi i motivi da recuperare nel pensiero del rande pedagogista boemo.

"Il compito di educazione attraverso la cultura coinvolge, sia pur in modo e con competenze diverse, i genitori, gli insegnanti, i governanti, tutti i responsabili del pubblico bene: si va dalla 'scuola' in ogni famiglia alla 'scuola' in ogni paese, dove la didattica di gruppo - alcuni alunni affidati a uno più responsabile - garantisce il compimento di un dovere anche dove mancano gli insegnati, fino alla 'scuola' dell'Europa ,in cui dovrebbero circolare libri e strumenti alla portata di tutti, perché solo la cultura educativa garantisce la pace, da irradiare alla 'scuola' del mondo intero."