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Licio Gelli proconsole americano e le trame atlantiche della P2

di Francesco Lamendola - 09/02/2008

 

 

 

Un notevole avvenimento editoriale è stato, recentemente, la pubblicazione del libro del giornalista e scrittore Ferruccio Pinotti Fratelli d’Italia (Milano, Rizzoli, 2007), dedicato alla storia recente della Massoneria nel nostro Paese. Un’inchiesta assai voluminosa e minuziosamente documentata: circa 750 pagine, fitte di nomi, date, fatti, interviste e documenti.

Pinotti si era già occupato dei misteri recenti di casa nostra; ricordiamo, in particolare, Berlusconi Zampanò (scritto in collaborazione con Ugo Grumpel), uscito nel 2996; Poteri forti e Opus Dei segreta, entrambi pubblicati nella B.U.R., rispettivamente nel 2005 e nel 2006. Egli è quindi uno che se ne intende, avendo dedicato molti anni di inchieste e ricerche, per raccogliere attendibili dossier sul volto nascosto degli affari e  della politica italiana. E il quadro che emerge dal suo recentissimo Fratelli d’Italia è, a dir poco, allarmante.

Non possiamo qui dare neppure una veloce sintesi dell’opera, che, come si è detto, ha una struttura monumentale e indaga a trecentosessanta gradi sulla struttura interna delle tre grandi strutture massoniche esistenti nel nostro Paese: il Grande Oriente d'Italia, la Gran Loggia Nazionale d'Italia e la Gran Loggia Regolare d'Italia, nonché sui rapporti  - ed è la parte più interessante del libro - fra Massoneria e poteri deviati: della finanza, della criminalità organizzata, di taluni settori della Chiesa cattolica.

Tra l’altro, di particolare importanza ci sono sembrate le ipotesi, suffragate da una serie di indizi tutt’altro che irrilevanti, circa il tragico destino toccato a due coraggiosi giornalisti italiani, dei quali, oggi, pochi si ricordano: Italo Toni e Graziella De Palo, scomparsi a Beirut il 2 settembre 1980, a un mese esatto dalla strage della stazione ferroviaria di Bologna, nel corso di una inchiesta scottante che, forse, li avrebbe messi in grado di gettare nuova luce anche su quel tragico e misterioso episodio della storia italiana contemporanea. Oggi si parla abbastanza, e giustamente, di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin; ma bisognerebbe tornare a parlare anche di Toni e De Palo e riavviare l’inchiesta sulla loro morte (anche se i cadaveri non sono mai stati ritrovati). Ciò permetterebbe di chiarire, almeno in parte, anche altri misteri, politici e finanziari, legati al traffico d’armi internazionale e al terrorismo mediorientale. Ma l'impresa non si presenta facile, perché i mandanti di quel duplice delitto sono rimasti impuniti, così come sono rimaste nell’ombra le loro motivazioni e la stessa natura dei poteri forti, per conto dei quali esso venne concepito e portato a termine - non senza il solito corollario di depistaggi nel corso dell'inchiesta.

In questa sede, comunque, di tutti gli sterminati materiali che il libro-inchiesta di Pinotti offre, ci limiteremo a fermare la nostra attenzione sulle rivelazioni dell’ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, il professor Giuliano Di Bernardo (dal 1990 al 1993), docente di filosofia della scienza presso l’Università di Trento, circa il ruolo svolto da Licio Gelli nel contesto nazionale e internazionale degli anni d’oro della Loggia Propaganda 2.

Tali rivelazioni gettano una luce molto particolare e, a nostri parere, alquanto sinistra, sui metodi e sulle finalità con i quali la C.I.A. e, in genere, il governo degli Stati Uniti d’America, si è pesantemente ingerito negli affari interni del nostro Paese, negli anni cruciali della “guerra fredda” e, in modo, particolare, durante la leadership di Aldo Moro sulla Democrazia Cristiana. Certo sarebbe estremamente ingenuo scandalizzarsi più di tanto di fronte a tali rivelazioni, dal momento che si è sempre saputo che, dietro la vernice della diplomazia ufficiale, dei normali rapporti diplomatici fatti di sorrisi, strette di mano e trattati politici e commerciali, esiste una guerra spietata di tutti i servizi segreti contro ciascuno degli altri. Crediamo, però, che il cittadino medio abbia di che riflettere sui retroscena che emergono dall’inchiesta di Pinotti, in quanto è probabile che molti di noi  non arrivassero a immaginare fino a quali estremi di cinismo e di machiavellismo brutale potessero giungere gli “alleati”  americani nei confronti dei loro partners europei, e, nella fattispecie, dell'Italia.

Alla domanda precisa del giornalista su chi o che cosa ci fosse dietro la figura di Licio Gelli negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, da assicurargli tanto potere all’interno della Massoneria e tanto consenso da parte di persone anche in buona fede, la risposta del professor Di Bernardo è netta e recisa.

La riportiamo integralmente (Op. cit., pp. 26-28), affinché il lettore possa giudicare da sé e trarre le conclusioni del caso:

 

“«Dietro Gelli c’erano gli ambienti americani. Gelli è un prodotto degli americani.»

“ È un’affermazione forte, netta. Per quanto quest’ipotesi sia stata discussa, sentirla sostenere da chi è stato alla guida della principale realtà massonica ha un altro sapore. Chiediamo a Di Bernardo di approfondire, di spiegare, di entrare nel dettaglio.

“«In quel tempo – prosegue dopo un sospiro – Aldo Moro aveva perso la fiducia  degli americani. Lo statista democristiano era ormai considerato un cavallo di Troia, il ‘ponte’ che avrebbe consentito ai comunisti di arrivare al potere. Quindi gli americani si trovarono senza rappresentanti autorevoli e affidabili  in un Paese chiave dello scacchiere internazionale. E in piena guerra fredda.

“Sono anni convulsi, nei quali il confronto tra il mondo atlantico e il blocco comunista  è durissimo: anni di riarmo nucleare, di servizi segreti attivissimi, di spie, di omicidi politici. Tutto appare lecito, in quel momento. La prospettiva di un ‘sorpasso’ elettorale da parete dei comunisti, così come l’ipotesi di un ‘compromesso storico’ tra Dc e Pci, terrorizza gli ambienti atlantici.

“Ampi settori della leadership statunitense avevano perso fiducia nei governanti italiani. I quali, secondo gli americani, stavano operando per operare un passaggio di fronte dell’Italia ai comunisti. Quando gli americani si sono trovati in questa situazione, che non comprendevano e non riuscivano a gestire, si sono lasciati prendere dal panico. Sembra strano, ma è così:  eppure stiamo parlando della potentissima Cia, che noi siamo abituati a vedere come l’espressione della più alta razionalità umana. Invece anche in quei mondi, spesso attraversati da interessi personali di basso livello,si commettono errori grossolani ».

“Il racconto di Di Bernardo si fa avvincente. Cosa avvenne, nel momento in cui il Dipartimento di Stato americano e la Cia si convinsero di avere a che fare con una situazione di emergenza in Italia?

“«Qualcuno disse loro che in Italia c’era un personaggio che aveva la capacità di arginare il pericolo comunista, essendo il venerabile della più potente loggia massonica mai esistita. Gelli fu ricevuto dagli americani con tutti gli onori: ma la cosa più importante fu che gli diedero carta bianca, il mandato esclusivo di operare  per loro conto in Italia. Non soltanto tutti i soldi che gli servivano, quindi, ma molto di più.  In sostanza fecero pervenire ai politici più potenti un messaggio chiaro:  mettetevi all’obbedienza di Gelli».

“L’analisi di Di Bernardo spiega molte cose: perché un politici di primo piano come Giulio Andreotti prestasse attenzione a Gelli sin dai tempi in cui si faceva ritrarre con luiie il cardinale Ottaviani a inaugurare uno stabilimento di materassi diretta dal piduista (Frosinone, 28 marzo 1965; perché politici di ispirazione 'atlantica' come Francesco Cossiga abbiano sempre concesso udienza a Licio Gelli. Si trattava di obbedienza alla ragion di Stato, a rapporti di potere nati in una democrazia a sovranità limitata, come quella italiana.

"Di Bernardo ne è certo: «Gelli si è ritrovato a essere il più potente uomo che sia mai esistito in Italia, erano tutti al suo servizio».

"Il problema è che l'interlocutore scelto dagli americani era stato un discusso fascista della prima ora, un volontario della guerra di Spagna decorato personalmente da Francisco Franco e da Benito Mussolini. Un uomo di estrema destra che aveva aderito alla Massoneria non certo per amore verso gli ideali di uguaglianza e libertà, ma per riciclarsi dopo la sconfitta del fascismo, ottenendo i contatti necessari per proporsi agli americani e ai servizi segreti di una Repubblica nata fragile e malata.

"Di Bernardo inquadra bene questo punto.

"«A Gelli fu affidato un potere enorme. Ma per fare che cosa? In teoria, una volta che si crea un potere così forte, bisogna governarlo per il bene del Paese in cui si opera. Ma come poteva un materassaio, coinvolto in mille situazioni oscure sin dagli anni Trenta, capire qual era il bene dell'Italia? Non era in grado. Gelli allora utilizzava molte delle persone che erano entrate nella P2 per i suoi affari, per interessi economici più che politici o strategici».

"La chiave dell'affarismo è molto importante per comprendere la P2. Rapidamente, la motivazione 'atlantica' lascia spazio alla rete de favoritismi, delle promozioni, dei finanziamenti concessi ai privati dalle banche vicine ai 'fratelli', ai rapporti con mondi sempre più torbidi. Su questo punto  il Gran Maestro è netto.  E la verità di Di Bernardo si sposa con quella delle sentenze.

"«Gelli non ha mai fatto una vera lotta allo Stato, una cospirazione in senso stretto, perché non era in grado di farla. Ma aveva attivato tutti i canali per attivare una rete di potere funzionale a un certo numero di persone. Le faccio un esempio: nel momento in cui un colonnello dei carabinieri aspirava a diventare generale, era Gelli che indicava la strada. Aveva il potere di farlo nominare e, dunque, successivamente, di subordinarlo a sé. Ra così potente ,in questo senso, che riusciva a condizionare anche coloro che non aveva potuto far salire di grado. Per questi 'esclusi' riusciva sempre a trovare un 'premio di consolazione' o, comunque essi sapevano che dovevano solo aspettare il momento in cui Gelli avrebbe aperto loro le porte di un più grande potere».

 

Pur tenendo conto che si tratta di una intervista a un ex Gran Maestro e non di documenti ufficiali degli archivi dei servizi segreti o di una sentenza emessa da un tribunale, c'è di che rimanere pensierosi, specialmente dopo aver osservato - come, giustamente, fa rilevare Pinotti - che le verità processuali sembrano concordare con una tale linea interpretativa della storia italiana di quegli anni, non poi tanto lontani.

E subito si affaccia alla mente una domanda: scomoda, imbarazzante, e tale da implicare altri, inquietanti interrogativi di natura politica, non solo italiana, ma internazionale: se Gelli era il proconsole americano, nel nostro Paese, all'epoca della 'eresia' di Moro e del 'compromesso storico', chi è, attualmente, il loro proconsole?

E non giova osservare che la fase più acuta della guerra fredda è finita per sempre, anzi che la stessa guerra fredda è finita per sempre. La guerra fredda non è mai finita: è solo cambiato - in parte, si badi - il volto del "nemico". Ma, da quando Khomeini ha fatto la sua rivoluzione integralista, la superpotenza americana ha già individuato un altro volto del male assoluto: non più il comunismo sovietico, bensì l'integralismo islamico. E l'Italia, nel nuovo scenario della politica internazionale, si trova ancor più in una posizione strategica essenziale, di quanto non lo fosse al tempo del confronto con l'Unione Sovietica e col Patto di Varsavia. Infatti, mentre le basi atlantiche nel centro e nord Europa vengono smantellate o drasticamente ridotte, quelle italiane vengono ampliate e rafforzate: con quella di Aviano che sta diventando la più importante base aerea statunitense di tutto il vecchio continente, coi suoi missili puntati verso i Balcani, verso il Mediterraneo orientale e verso gli "stati canaglia" del Medio Oriente: Siria e Iran.

Torniamo dunque alla domanda: chi è, oggi, il proconsole della superpotenza a stelle e strisce nel nostro Paese?

Per tentar di rispondere a questo indovinello, rimandiamo il lettore del libro di Ferruccio Pinotti alle pagine in cui si parla dei nomi eccellenti degli iscritti alla loggia P2, all'epoca in cui esplose il tormentone della Massoneria deviata.

Tra quei nomi eccellenti, ve ne sono diversi che, ancora oggi, riempiono le prime pagine dei giornali e le cronache della vita politica italiana.

Ma uno balza all'occhio, al di sopra di ogni altro, per la strabiliante scalata al potere che ha caratterizzato la sua carriera negli ultimi tre decenni: quello di Silvio Berlusconi.