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Valle Giulia: la prima battaglia del ’68

di Roberto Beretta - 21/02/2008


 
   
C’è una Valle piazzata a metà del Sessantotto, che gli fa da culmine e intanto lo separa.
Lì – a dispetto delle convenzioni geografiche – l’anno fatidico sembra terminare la salita e comincia una discesa: un po’ spaesante, certo, ma che cosa del resto non lascia sconcertati e sorpresi nel periodo che più di tutti vorrebbe essere la quintessenza della novità e del cambiamento?
Semmai, quando ci s’addentra in Valle Giulia, il problema è sortire dalle ricostruzioni di maniera. Suona pertanto già buon inizio di revisionismo la scelta di considerare l’evento non soltanto come apice «glorioso» e celebrato della contestazione studentesca italiana, ma anche quale incipit del suo declino e simbolo rivelatore di alcuni difetti intrinseci del Sessantotto. La salita, la discesa. Tal quale il saliscendi del campo di combattimento romano che quel 1° marzo 1968 – un venerdì tiepido d’ante­primavera, attestano le rievocazioni nostalgiche – vide il diciassettenne Giuliano Ferrara di parecchi chili or sono saltare agilmente giù da un muretto per sfuggire ai lacrimogeni dei celerini...
La «battaglia di Valle Giulia»: così sono rimasti catalogati negli annali gli scontri in cui furono violentemente opposti gli studenti (da 1000 a 4000, le stime di parte oscillano sempre) e la polizia nei giardini (oggi, ahimé, paradiso dei trans...) intorno alla facoltà d’Architettura di Roma. Alla fine dell’epica giornata si contarono 211 feriti – di cui 158 tra le forze dell’ordine: Pasolini non aveva poi tutti i torti a dichiarare che lui «simpatizzava coi poliziotti» proletari – e soltanto 4 arrestati (compreso il futuro famoso architetto Massimiliano Fuksas) su 228 fermati: non molto, dopo ore di lanci di pietre e manganellate che alcuni s’ostinano a considerare il primo episodio di guerriglia urbana in Italia.
Però la fama di Valle Giulia dipende parecchio anche dalle facce celebri – e forse inaspettate – che vi si videro.
C’erano difatti Paolo Liguori detto «Straccio» e Paolo Flores d’Arcais, oggi giornalisti di tendenza tutt’altro che rivoluzionaria; i politici Claudio Petruccioli e Renato Nicolini, poi Antonio Russo, Enrica Bonaccorti, Antonello Venditti... «Valle Giulia per i contestatori vale come la Marcia su Roma per i fascisti», ha scolpito Ernesto Galli della Loggia, uno che comunque c’era; e chissà se il giudizio suona elogio oppure critica dei «saranno famosi» che fecero l’impresa (o dissero ad ogni buon conto d’averla fatta).
In fondo gli eventi di quel «maggio romano» (così sarebbe stato dipinto l’episodio, rivendicando un anticipo persino sulle barricate «alla maniera di Francia») sono invece piuttosto semplici da spiegare: Architettura era stata occupata il 29 febbraio – anno bisesto, anno funesto –, quindi sgomberata e presidiata dai questurini chiamati dal rettore Pietro Agostino D’Avack. Da cui il corteo che il giorno seguente muove da Piazza di Spagna per «liberare» la facoltà e gli scontri tra i giovani inizialmente preponderanti in numero e la polizia che deve soccombere – almeno finché non arriveranno i rinforzi. «Non siam scappati più…», canterà poi Paolo Pietrangeli – anche lui tra i reduci della giornata –, a significare un’altra delle (presunte) novità epocali di Valle Giulia: ovvero l’accettazione per la prima volta dell’aperta battaglia da parte degli studenti, che incendiarono 8 camionette ai questurini e addirittura «conquistarono» la facoltà.
È dunque Valle Giulia ad avallare per prima la violenza nello scontro socio-politico italiano? In realtà c’era già stato altro, sia a Milano che altrove. Di certo però il primato d’efficacia rivoluzionaria dimostrato dall’«ala romana» del movimento studentesco farà invidia a Mario Capanna, il quale vedrà di lì a poco di recuperare il tempo perduto a suon di spranghe coi suoi katanghesi della Statale.
Ma ben altri confini passano per il 1° marzo 1968. Quello tra destra e sinistra, ad esempio: non solo, infatti, il teatro della battaglia si trova a ridosso del quartiere-bene dei Parioli – tradizionale «covo» dei fascisti di Ordine nuovo –; agli scontri parteciparono in prima fila anche alcuni esponenti dell’estrema destra giovanile (tra gli altri Stefano Delle Chiaie e Guido Paglia), anzi c’è chi sostiene che furono proprio loro – non i «sinistri»!– a fornire il vero know how militare dell’operazione. E sarà tuttavia l’ultima volta di tale alleanza trasversale, visto che il 16 marzo seguente i missini verranno espulsi dalla contestazione in seguito all’assalto compiuto alla Sapienza occupata: azione cui forse allude Gianfranco Fini quando oggi lamenta il distacco tra la destra e i sessantottini.
D’altra parte Valle Giulia incrinò pure il legame tra movimento studentesco e Pci («Via, via/ la nuova polizia!» era uno degli slogan scanditi dagli universitari all’indirizzo dei rossi «ortodossi») e si capisce come mai il comunista PPP intitoli il suo celeberrimo proclama-poesia sull’evento «Il Pci ai giovani», destinandolo per di più alla rivista dell’intellettualità marxista Nuovi Argomenti: «È triste. La polemica contro/ il Pci andava fatta nella prima metà/ del decennio passato. Siete in ritardo, figli.../ Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte/ coi poliziotti,/ io simpatizzavo coi poliziotti!/ Perché i poliziotti sono figli di poveri».
Dilemma: i contestatori non piacevano al poeta friulano in quanto borghesi, oppure perché non organici al partito? Suona maliziosa ma acuta l’interpretazione di Giuliano Ferrara (figlio peraltro di un notabile comunista) quando un decennio fa notava come la «presa di posizione di Pasolini non nasceva da un sentimento di solidarietà con i poliziotti.
In quella condanna non c’era nessuna poetica. Pasolini, semplicemente, aveva visto quel che succedeva in Francia, dove i giovani davano delle vecchie barbe all’intellighentia di sinistra. E, in modo astuto, cercava di contrastare una generazione ambiziosa che gli avrebbe tolto spazio».
PPP «reazionario». Forse; ma almeno sincero, e più originale dei soliti Renato Guttuso e Alberto Moravia subito pronti a solidarizzare con la rivoluzione giovanile: per annettersela, però. Come fece in modo addirittura spudorato Paese Sera, all’epoca il secondo quotidiano comunista d’Italia, uscendo in edizione straordinaria il giorno stesso di Valle Giulia con una palese strumentalizzazione: «Battaglia ad Architettura. Gli studenti si difendono disperatamente dai brutali attacchi della polizia e dei CC».
Ebbene sì, Valle Giulia – più che un trofeo – potrebbe essere per molti aspetti una dolorosa frattura. Anni dopo l’«ex» Lanfranco Pace – che pure seguirà fin in Potere operaio i due leader assoluti di quella giornata, Oreste Scalzone e Franco Piperno – ha avuto occasione di rivedere una parte del mito: «Che a Valle Giulia fossimo stati caricati selvaggiamente da una brutale polizia, come scrissero a titoli cubitali i giornali del pomeriggio e della sinistra, è una delle tante panzane che si tramandano allegramente di padre in figlio. Lo scontro fu voluto e preparato dalla sera prima. Accanto a noi, con noi anche gruppetti di fascisti, nazi-maoisti. Un’ora scarsa di lanci di sassi e qualche carica contro la polizia. Cosa anche questa modesta ma che ebbe grande impatto». Non doveva essere poi così verde, quella Valle.