La terza possibilità. Architettura e anima. Intervista a Jader Tolja
di R. Sicchi - 10/03/2008
Fonte: pensarecolcorpo
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| La progettazione classica e quella rinascimentale sono umanistiche perchè "al centro di quell'architettura c'era il corpo umano, e il loro metodo era quello di trascrivere nella pietra le condizioni fisiche più vantaggiose", sosteneva all’inizio del secolo scorso Geoffrey Scott nella sua opera L'architettura dell'umanesimo. Oggi c'è chi studia l’effetto che lo spazio ha sul cervello e sul corpo e, più specificamente, lavora sui principi che regolano questo rapporto, allo scopo di renderli disponibili ai gruppi di progettazione degli spazi verdi contemporanei. |
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E' stata una conseguenza naturale della mia storia professionale. Come si è rivelato questo collegamento? Facendo ricerca con pazienti psichiatrici cronici (persone che funzionando senza il filtro dell' "io", rivelano più direttamente ciò che succede a livello inconscio), è emerso come mente, corpo e spazio non fossero separabili, perchè quando cambiava la mente, non solo cambiava anche il corpo, ma, inaspettatamente, anche la percezione dello spazio. Per altro, a un mutamento dello spazio corrispondeva una variazione a livello corporeo e mentale. E i giardini cosa c'entrano con tutto questo? Durante un viaggio in Giappone nell'82, sono passato da Kyoto, dove, per prima cosa, visitai il Ryoan-ji, probabilmente il giardino zen più intenso in assoluto. Quando varcai la porta che dà sul giardino ebbi la sensazione di accedere immediatamente a quello stesso stato di coscienza che prima ero in grado di raggiungere faticosamente solo tramite strumenti elettronici sofisticati come il bio-feedback o tecniche somatiche avanzate, come quelle sviluppate da Amos Grunsberg, con cui avevo lavorato a N.Y. nei mesi precedenti. Cioè? Anche a livello scientifico sta diventando sempre più chiaro, come gran parte delle malattie siano in realtà equivalenti somatici della depressione ed è stato dimostrato per esempio per cancro, per malattie autoimmunitarie, per attacchi di panico, per bulimia, anoressia eccetera. Queste condizioni migliorano con la somministrazione di farmaci antidepressivi, che come il Prozac, producono un aumento forzato della serotonina. Ora se pensiamo che il 95% della serotonina è prodotta dall’intestino e che le viscere si “aprono” in una condizione di centratura sottocorticale, riconducibile alla mia esperienza nel giardino zen, possiamo facilmente capire come questa particolare condizione attivi in pratica una specie di doccia di serotonina per tutto l’organismo e quindi faciliti l’uscita dalla depressione, riattivando una vitalità e una sensibilità che ci risana a livello fisico e psicologico, con un’amplificazione della percezione dell'aspetto spirituale. In che senso “una percezione dell’aspetto spirituale”? Oltre al senso di benessere di cui si parlava prima, tra i vari effetti del rilascio di serotonina c’è anche quello di provocare un “senso di appartenenza” a tutto ciò che ci circonda. Questo è il motivo per cui sostanze che agiscono sulla serotonina, come ad esempio il Peyote, usato dagli sciamani in centro america, o i derivati dell'acido lisergico, usati ad Eleusi nell'antica Grecia, venivano impiegati soprattutto a scopo di iniziatico o rituale. Di conseguenza come potrebbero essere progettati giardini e parchi per contribuire al benessere e alla salute? Non esiste un criterio assoluto, ma solo relativo al luogo e al momento preso in considerazione. E nella nostra realtà oggi? Nel caso di zone fortemente urbanizzate troviamo una pervasiva dominanza di richiami al controllo razionale, dal modo in cui educhiamo, facciamo sport, a quello in cui costruiamo e organizziamo lo spazio. E’ praticamente quasi impossibile trovare luoghi che attivino il centro del cervello e che mettano invece in stand-by, a riposo, la parte corticale. Come si può ottenere questo effetto in fase di progettazione? Direi soprattutto attraverso l'equilibrio e l’armonia dell’insieme, l’unitarietà dei codici formali e la presenza di acqua. Attraverso l'utilizzo di forme archetipiche, già presenti in natura, di forme semplici che l’organismo conosce già naturalmente, e che quindi sostengono la sottocorticalità, la centratura. Quali spazi evocano maggiormente una condizione di centratura sottocorticale? Quelli naturali che risultano ben assortiti e in cui non prevalgano elementi particolarmente caratterizzanti e riconoscibili che distolgano l’attenzione dall’insieme, come una serie di catene montuose al tramonto, quasi fosse un quadro astratto, o il mare con isole sparse, come le pietre di un giardino Zen. Tu hai accennato all’opportunità di evitare elementi forti, ma per quanto riguarda gli spazi aperti si pongono spesso obbiettivi di riconoscibilità. Credo che il problema non stia tanto nel connotare o meno un luogo, ma nel come questo viene fatto. Quindi per i progettisti solo due possibilità: realizzare spazi cerebrali o rimettersi a progettare giardini romantici e copiare giardini zen? Chiaro che no.
dalla rivista PAYSAGE |


