A Kabul si inizia a parlare di ‘afganizzazione’ del conflitto
di Enrico Piovesana - 28/03/2008
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La situazione va di male in peggio in Afghanistan, ormai considerato più pericoloso dell’Iraq. Nell’ultima classifica redatta dal rinomato centro studi britannico d’intelligence Jane's Information Group, il Paese asiatico risulta il terzo più instabile al mondo dopo Gaza e Somalia, mentre l’Iraq è al ventiduesimo posto.
![]() Invece nel governo afgano, sempre più a disagio per l’aumento delle vittime civili causate dai bombardamenti aerei alleati, si sta facendo strada l’ipotesi della ‘afganizzazione’ del conflitto, ovvero lasciare che siano gli afgani a combattere i talebani, non più le forze straniere. Lo ha ribadito nei giorni scorsi il ministro Mohammad Hanif Atmar, stretto collaboratore di Karzai. “Non abbiamo bisogno di più soldati stranieri, abbiamo solo bisogno di armi e addestratori per i nostri combattenti, che riuscirebbero a sconfiggere il nemico nel giro di cinque anni invece dei quindici previsti dalla Nato, e a un decimo del costo che oggi l’Occidente sostiene per finanziare le sue truppe”.
![]() Dal canto loro, i politici tagichi e uzbechi dell’ex Alleanza del Nord che oggi sono all’opposizione – ma che controllano di fatto l’esercito regolare, oltre a disporre ancora delle loro mai smobilitiate milizie private – da tempo si dicono pronti a farsi carico della lotta anti-talebana.
Insomma, visto che l’Afghanistan non è l’Iraq, un’afganizzazione del conflitto rischierebbe di scatenare una nuova, sanguinosa e lunghissima guerra civile. A meno che l’Afghan National Army (Ana) non diventi un vero esercito ‘nazionale’ e multietnico: parole sconosciute al vocabolario degli afgani. |