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La morsa della globalizzazione: Intervista a Samir Amin

di Emanuele Piano - 20/01/2006

Fonte: liberazione.it

 
Intervista all'economista egiziano Samir Amin. Dalle speranze del dopoguerra alla morsa della globalizzazione

«Il capitalismo ci guarda ancora come il continente
di negri e scimmie, a cui rubare petrolio e diamanti»



Bamako - Samir Amin, economista egiziano, è specializzato in tematiche dello sviluppo. Ex-direttore dell'Istituto africano di studi per lo sviluppo economico di Dakar, in Senegal, è attualmente a capo del Forum del Terzo Mondo. Lo abbiamo incontrato nella giornata dedicata ai 50 anni dalla Conferenza di Bandung del 1955, primo meeting dei paesi non allineati svoltosi in Indonesia.


Quale bilancio si può trarre a 50 anni dall'incontro di Bandung?

Il meeting di Bandung è stato un momento molto positivo nella storia dei popoli dell'Africa e dell'Asia. A mezzo secolo di distanza possiamo affermare che non ha cambiato la storia, anche se, grazie alle lotte di liberazione nazionale che scuotevano il mondo in quegli anni, ha portato a trasformazioni sociali, e a volte socialiste, di proporzioni gigantesche nei nostri paesi. Bandung è stata la vittoria dei movimenti nazionalisti usciti dalla seconda guerra mondiale, che hanno portato alla sconfitta del colonialismo. In quel preciso momento storico i partecipanti all'incontro godevano di una legittimità e di una credibilità popolare frutto proprio di quelle lotte. E l'analisi all'epoca non era "Andiamo a vivere su Marte", ma fondiamo una nuova globalizzazione che si basi sui principi di parità, diritti per tutti e sviluppo autonomo da modelli imposti ed impostati altrove. Una conquista incredibile da trent'anni sotto attacco da parte dell'imperialismo e del capitale, oltre che dei programmi di aggiustamento. Se dopo Bandung i forti avevano capito che dovevano rimediare agli squilibri e venire incontro alle esigenze dei piu' poveri, oggi è esattamente il contrario. Grazie a quella logica, imposta dal basso dal sud del mondo, furono possibili enormi passi in avanti nei settori dell'educazione, della salute e delle economie nazionali, anche grazie ai processi di nazionalizzazione delle risorse naturali. Qualcuno salutava, in modo un po' naif, la "fine della storia". Il tempo ha dimostrato che alcune contraddizioni, come quella di adottare forme di capitalismo spurie e non sino in fondo progressiste, hanno portato all'erosione del progetto permettendo l'offensiva attuale dei capitali.


In alcuni casi però sono state proprio le classi politiche nate dalle lotte di liberazione a tradire le aspettative dei propri popoli

Sicuramente. Possiamo fare a posteriori un'analisi fredda e senza concessioni sul fallimento, l'incapacità e, in qualche caso, addirittura il tradimento delle classi politiche. Non ci sono problemi a farlo perché noi, anche se mi viene difficile capire a quale noi mi riferisco, non abbiamo mai dato nessun certificato di onestà permanente a chicchesia. Dall'altro lato quello che avviene oggi, ovvero il processo di denigrazione di quelle esperienze per esaltare quei miliardari che i grandi centri del potere vorrebbero piazzare alla testa dei nostri paesi, non è accettabile.


Quale ruolo ci può essere per la società civile africana in questo contesto?

Nessuno crede che potremo cambiare il mondo nelle prossime 24 ore. Al tempo della mia giovinezza, subito dopo la seconda guerra mondiale, i nostri politici ci dicevano: «L'equilibrio del mondo è contro di noi, adattiamoci». Noi eravamo quella minoranza rumorosa che si opponeva e oggi possiamo dire di avere vinto perché avevamo ragione. Davanti all'offensiva del capitalismo attuale abbiamo dimostrato che il sistema non è invincibile, come dimostra la sconfitta dell'imperialismo in Iraq.


C'è un messaggio specifico che questo primo forum in Africa può dare?

E' molto importante che ci sia finalmente un forum mondiale in una parte di mondo troppo spesso - uso provocatoriamente un termine forte - disprezzata dalla classe politica internazioale. Ed è ancora più importante che questo avvenga in uno dei paesi più poveri e vulnerabili del mondo, principale vittima della globalizzazione capitalista.


Quello che sembra che manchi spesso all'interno del dibattito è un'analisi delle crisi africane, penso ad esempio a quelle alimentari, che superi il fatalismo riduttivo della dipendenza dalle condizioni climatiche

E' vero, ed è per questo che le organizzazioni contadine nel mondo hanno messo in piedi una commissione che oltre a Via Campesina include anche l'insieme delle organizzazioni contadine dell'Africa occidentale. L'analisi è incentrata sui crimini che il progetto capitalista sta perpetrando contro i contadini del mondo. Realtà che nei vostri paesi sono ormai minoritarie, ma che riguardano invece la vita di tre miliardi di persone. Per fare una provocazione potrei dire: perché esistono diritti particolari per le donne quando non esistono per i contadini o per tutte le categorie che soffrono? Le classi rurali sono minacciate da processi di accerchiamento, dalle appropriazioni privatistiche delle terre da parte di una minoranza, sono condannati a un processo di urbanizzazione forzata che non potrà mai assorbirli tutti e dare loro una vita dignitosa. Questo realizza, a mio modo di vedere, l'idea di creare un pianeta di bidonville. Non è soltanto una minaccia concreta, punta al genocidio. Una tendenza pericolosissima che è alla base dei processi migratori. Tutto torna ed è riconducibile al processo di globalizzazione capitalistica attuale.


Quale può essere quindi la lezione dell'Africa?

L'Africa subisce un processo di marginalizzazione dei propri popoli e Stati al fine di meglio predisporre il saccheggio delle sue risorse naturali. Il capitalismo chiede all'Africa non manodopera a basso costo come alla Cina, o l'apertura dei mercati come all'America Latina, ma le sue risorse. Nella logica dei capitalisti il continente è ancora popolato "da negri e da scimmie", ma è ricco di petrolio, diamanti etc. Questo è il pensiero super-razzista del capitalismo moderno. Oltre una facile denuncia di questo atteggiamento, dobbiamo opporci allo sfruttamento e liberare l'Africa con forze nuove.