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La Robin Tax é soltanto un’una tantum

di Alberto Mingardi - 19/06/2008

 
 

 

Per il presidente dell’Unione petrolifera, Pasquale De Vita, la "Robin Hood tax" di Giulio Tremonti è ispirata «da un chiaro scopo punitivo». Con tutto il rispetto, il dottor De Vita scopre l’acqua calda. Nel meritorio pacchetto per lo sviluppo economico al quale il governo sta dando gli ultimi ritocchi, non manca una componente demagogica. 

 

Non è sorprendente, vista l’aria che tira. Nelle misure presentate ieri alle parti sociali, c’è tanta speranza e tanta paura. La speranza di un’Italia disincrostata nel lavoro e nella pubblica amministrazione, aperta alla concorrenza persino nei servizi pubblici locali, votata a un rapporto più rispettoso ed equo fra contribuente e fisco (non si può disconoscere a Tremonti il merito di volere una "pace fiscale", dopo i tormenti di Visco). E pure, però, la paura di una congiuntura a tinte fosche, nella quale i dati della crisi in atto sono stati esagerati fino a farne la madre di tutte le crisi.

 

In questa sorta di "strategia della tensione" economica, c’è un po’ di ideologia ma anche tanto pragmatismo. Il centrodestra sa bene non solo che la luna di miele con il Paese non durerà per sempre, ma che già ci sono segnali di disamoramento. Quella coi sindacati è una pace armata. E l’opposizione, titillata sui temi della giustizia e del conflitto d’interesse, non può che recitare la sua parte ed affilare le armi.

 

In un quadro di questo tipo, il tremontismo è l’ariete che irrompe in campo avversario e disperde le truppe nemiche agendo sul fronte tradizionalmente più presidiato dalla sinistra: quello delle idee. Il rinvio (e, possibilmente, la ristrutturazione) della class action, le misure di "restauro" della legge Biagi fortemente volute da Maurizio Sacconi, l’ammodernamento della pubblica amministrazione perseguito da Renato Brunetta, la "ghigliottina" al 2010 sui contratti in house, sono medicine amare da mandar giù. Ma è più difficile fare saltare il tavolo, quando l’immagine dell’esecutivo, nell’opinione pubblica, è associata in prima battuta al brigante di Sherwood. Non è detto che si riveli vincente, però è sicuramente una tattica di comunicazione intelligente: disorientare con il soprattutto-i-ricchi-piangano, mentre si lavora per una riforma vera e radicale di taluni pezzi di Italia presidiati al millimetro dai sindacati.

 

Nel merito, man mano che se ne precisano i contorni, sul "pacchetto" del governo è lecito avanzare una perplessità. La "Robin Hood tax" va a colpo sicuro: è una sorta di una tantum su scorte che in gran parte sono obbligate per legge a mantenere. Se si voleva colpire la speculazione, non lo si fa ma in compenso si crea incertezza in un settore (ha ragione Emma Marcegaglia) tanto più problematico e delicato in uno scenario di prezzi del greggio al rialzo. Si inasprisce poi il prelievo su banche ed assicurazioni. In buona sostanza, si colpisce la borsa: il grosso del listino italiano è fatto da credito, assicurazioni, ed energetici. E’ comprensibile che vi sia un moto di simpatia per chi va a mungere quelle che nella percezione popolare sono vacche troppo grasse. Ma un’impresa, qualsiasi impresa, non è altro dai suoi azionisti: e a dispetto della natura oligarchica del capitalismo italiano, questo provvedimento si farà inevitabilmente sentire sul portafoglio di tanti investitori di medio e piccolo taglio. Che tradizionalmente guardano a quelle realtà come casseforti sicure in cui mettere i propri risparmi.

 

Il pacchetto è però molto più sfaccettato. Il piano di contenimento della spesa è aggressivo e radicale, e chiunque abbia a cuore le sorti del Paese può solo augurarsi che abbia successo. Stupisce in positivo l’intenzione di privatizzare la Sace (la società di assicurazione di crediti all’export), stupisce in negativo la volontà di stanziare 800 milioni a vantaggio della rete di nuova generazione in fibra ottica, dando in buona sostanza una lauta mancia a Telecom Italia. Pare siano assenti le privatizzazioni, se si esclude il piano Brunetta sugli alloggi Iacp. Ed è un peccato, perché la valorizzazione e cessione del patrimonio pubblico era uno dei punti-cardine dello stesso programma del Pdl.

 

Sul piano politico, bisognerà aspettare di vedere cosa sopravvivrà, del pacchetto. Pur comprendendone le ragioni, la scelta di sposare spinte di modernizzazione a provvedimenti di sapore populistico è schizofrenica. Cosa resterà? La risposta probabilmente sta tanto all’opposizione quanto alla maggioranza. Se il clima si invelenisce, la crescita è bassa, lo scenario internazionale non migliora, è lecito prevedere che l’investimento politico che darà maggiore ritorno sarà quello sulla paura. Se la sinistra si sposta a sinistra, sarà più difficile anche per il governo tenere la barra dritta.