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Pterodattili e uccelli giganteschi solcano ancora oggi i nostri cieli?

di Francesco Lamendola - 20/06/2008

 La vicenda di un bambino, o magari di un adulto, assalito e rapito in cielo da un uccello gigantesco non può appartenere al mondo della realtà, ma solo a quello - fantastico - delle fiabe o dei racconti letterari; al mondo de Le mille e una notte, per esempio, in cui si parla del terribile uccello Rokk, che terrorizzava i naviganti dell'Oceano Indiano.

Ma allora, se è così, che cosa diavolo era la creatura alata che alle 8,10 di sera di un bel giorno d'estate, il 25 luglio del 1977, scese in picchiata nei pressi della cittadina di Lawndale, nell'Illinois, verso un bambino di dieci anni, Marlon Lowe, lo ghermì con i suoi artigli e risalì in alto, portandolo via con sé?

Una storia del genere sembra uscita dalla penna di uno scrittore di romanzi o di racconti del terrore, ad esempio da quella di Ambrose Bierce: e più che mai viene a proposito la domanda che costituisce il titolo di una delle sue celebri raccolte del mistero: Can such things be?, «possono accadere cose del genere?». No, non possono, sentenziano in coro i nostri scienziati. Non c'è un solo zoologo di formazione accademica che sarebbe disposto a sottoscrivere anche la semplice possibilità di un fatto come quello che abbiamo riportato. Eppure…

Lasciamo che parlino i testimoni dell'incredibile vicenda: nella fattispecie, la signora Ruth Lowe, ossia la madre del piccolo Marlon. Un bambino di dieci anni, ripetiamo; non un neonato o un bimbo di  due o tre anni; un individuo, cioè, che può pesare tranquillamente dai 30 ai 40 chilogrammi. La signora, peraltro, non fu l'unica a osservare qualcosa d'insolito, in quella calma sera d'estate, nelle campagne della valle del Mississippi. Un uomo di nome Cox aveva visto due enormi uccelli, apparentemente simili a dei condor, che scendevano in volo, provenienti da sud-ovest.

Marlon stava giocando con alcuni compagni nel prato davanti a casa, e non si accorse dei due giganteschi volatili che si abbassavano sempre più alle sue spalle, fino a sfiorare il terreno. A un tratto, mentre stava correndo, di sentì afferrare da dietro e poi, senza avere il tempo di rendersene conto, si trovò trasportato in alto, proprio come succede nelle favole o nei sogni; solo che, in questo caso, il sogno era piuttosto un incubo.

Fu in quel momento che sua madre, che era presente all'esterno della casa, si rese conto della scena inverosimile che si stava svolgendo proprio davanti ai suoi occhi e cominciò a urlare, terrorizzata. Quindi si mise a correre, cercando di inseguire l'uccello che aveva rapito suo figlio. Quel volo terrificante durò, per il ragazzino, quanto ci vuole a percorrere circa mezzo chilometri; poi, miracolosamente, la bestia - che non si era alzata di molto dal terreno - aprì gli artigli e lasciò andare la sua vittima, che si ritrovò al suolo, frastornata ma praticamente illesa. Forse il pennuto si era accorto che quella preda era troppo pesante per consentirgli di rialzarsi in volo; sta di fatto che, assieme al suo compagno, proseguì in direzione nord-est, scomparendo alla vista. In tutto, erano state ben sei le persone che avevano assistito al fatto, rimanendo senza parole.

 

I mezzi d'informazione diffusero la notizia, ma praticamente nessuno vi prestò fede; tutti pensarono che si trattasse di una specie di scherzo di dubbio gusto. La signora Lowe fu accusata esplicitamente di essersi inventata ogni cosa; e una serie di burle crudeli colpirono la sua famiglia, con quel  particolare accanimento di cui è capace la provincia americana e che ben conosciamo attraverso innumerevoli film e romanzi. Ad esempio, qualcuno abbandonò il cadavere di un'aquila fuori della  porta dei Lowe; a Marlon, poi, i compagni di scuola diedero il nome derisorio di "ragazzo-uccello". Intanto i capelli del ragazzino erano diventati grigi, e per molto tempo egli non ebbe più il coraggio di uscire di casa dopo il tramonto.

Non si capisce, tuttavia, perché i Lowe avrebbero dovuto inventarsi una storia così inverosimile, che sembra fatta apposta per non essere creduta; inoltre, non erano stati i soli a vedere quelle stranissime creature. La signora descrisse gli uccelli come simili a dei condor, con il becco lungo circa 15 cm. e con il collo lungo mezzo metro e un caratteristico collare bianco nel mezzo; l'apertura alare superava i due metri e mezzo.

Riferisce in proposito il linguista e archeologo newyorkese Charles Berlitz, nel volume Il libro dei fatti incredibili ma veri (titolo originale: World of Strange Phenomena, 1988; traduzione italiana di Andrea D'Anna, Rizzoli, Milano, 1988, p. 126):

 

Due anni dopo, rievocando l'esperienza, la signora Lowe disse agli investigatori Loren e Jerry Coleman: «Ricorderò sempre come quell'enorme uccello incurvava il suo collo orlato di bianco e sembrava voler prendere a beccate Marlon, mentre volava via. Io ero sulla porta, e tutto quello che ho visto è stato un piede di Marlon che penzolava nell'aria. Non ci sono dalle nostre parti uccelli così che potessero sollevarlo in quel modo.»

 

Prima di accantonare questo episodio come frutto di pura invenzione, bisogna segnalare il fatto che un anno e mezzo prima, il 14 gennaio del 1976, qualche cosa di analogo era accaduto in tutt'altra parte degli Stati Uniti: a Raymondville, nel Texas (che si trova, però, giusto a sud-ovest rispetto  all'Illinois: cioè nella direzione da cui provenivano i due uccelli di Lawndale che aveva aggredito Marlon Lowe).

Erano le 22,30 e Armando Grimaldo, un cittadino americano di origine ispanica, si trovava in visita nella casa della suocera, nei quartieri settentrionali della cittadina. Nonostante la stagione invernale e l'ora inoltrata, in quella regione del Sudovest americano la temperatura era mite e il signor Grimaldo era seduto sulla corte di casa. Probabilmente stava pensando ai casi suoi; sua moglie Christina era tornata ad abitare con la propria madre e, in quel momento, si era ritirata nella sua stanza per dormire. Era per vedere lei che il signor Grimaldo si era recato fin lì, e adesso stava riflettendo, seduto all'aperto, sotto la volta del cielo stellato.

Ecco come Charles Berlitz racconta questo secondo episodio di un terrorizzante incontro ravvicinato fra un essere umano e un uccello dalle proporzioni gigantesche, simile in tutto e per tutto a una creatura di un altro mondo (Op. cit., pp. 194-196).

 

«Mentre mi voltavo per guardare l'altro lato della casa - raccontò poi - mi sono sentito afferrare da qualcosa, qualcosa che aveva grandi artigli. Mi sono voltato e, liberatomi, ho cominciato a correre. Non avevo mai avuto paura di niente prima di allora, ma quella volta ero davvero spaventato, mai stato così spaventato in vita mia».

Qualcosa era sceso in picchiata dal cielo: ed era qualcosa che Grimaldo non aveva mia visto prima di allora e non vorrebbe più rivedere. Era alto come lui, circa un metro e settanta, e aveva un'apertura alare di tre metri, tre metri e mezzo. La sua pelle era «marrone scuro, quasi nerastra», simile a cuoio ed era priva di penne. Gli occhi erano rossi ed enormi.

Grimaldo gridò e cercò di correre, ma preso dal panico, incespicò e cadde a faccia in avanti. Mentre si sforzava di rialzarsi, poté sentire che i suoi abiti venivano lacerati dagli artigli del mostro. Riuscì a sgattaiolare sotto un albero, e il suo aggressore, che ora ansava affannosamente, volò via nella notte.

Christina fu svegliata dalle grida di suo marito, e stava scendendo quando lo udì entrare precipitosamente in casa «in una specie di shock». Incapace di parlare in modo coerente, egli continuava a borbottare pájaro (uccello, in spagnolo). Fu portato all'ospedale della contea di Willacy e dimesso mezz'ora dopo quando i medici ebbero riscontrato che non presentava lesioni.

Probabilmente Grimaldo fu più fortunato della capra di Joe Suárez. Qualcosa la fece a pezzi nelle prime ore del 26 dicembre. L'animale era stato lasciato legato in un recinto dietro la stalla di Suárez a Raymondville. Intorno alla carcassa non c'erano orme umane e la polizia non riuscì a capire come la bestia fosse stata uccisa.

Qualcosa aveva invaso la valle del Rio Grande. Prima che scomparisse, circa un mese dopo, i buontemponi locali 'avevano battezzato il "Grande Uccello". Per la maggior parte delle persone era un argomento faceto, ma quelli che l'avevano visto non se la sentivano di riderci sopra.

Una creatura di questo tipo andò a sbattere contro la macchina di Alberico Guajardo nella vicina Brownsville. Guajardo uscì di casa, salì sulla sua giardinetta, accese i fari e vide ciò che descrisse come «qualcosa proveniente da un altro pianeta». Non appena fu colpita dalla luce dei fari, la creatura si alzò e lo fissò con rossi occhi fiammeggianti. Guajardo, paralizzato dalla paura, poté soltanto voltarsi a guardare il mostro, che aveva ali di pipistrello ripiegate sulle spalle ed emetteva continuamente dalla gola «un verso orribile».Alla fine, dopo due o tre minuti, l'animale arretrò di un metro fino al vialetto e scomparve nell'oscurità.

Un altro incontro con la creatura avvenne il 24 febbraio a San Antonio, dove tre insegnanti di scuola elementare che si avviavano in automobile al lavoro su una strada isolata a sud-ovest della città scorsero un enorme uccello con un'apertura alare di «cinque o sei metri, se non di più». Volava così a bassa quota che quando calò improvvisamente sull'automobile la sua ombra coprì l'intera strada.

Mentre i tre osservarono la bizzarra creatura volare, ne videro un'altra in lontananza girare al di sopra di un armento. Sembrava, a quanto dissero, un «gabbiano di dimensioni spropositate».

Più tardi, i maestri scartabellarono nei libri per cercar d'identificare il primo uccello che avevano visto e ci riuscirono: la singolarità risiedeva nel fatto che si trattava dello Pteranodon, un dinosauro volante estinto da 150 milioni di anni.

Essi non furono gli unici abitanti del Texas meridionale convinti di aver visto un rettile alato preistorico. Proprio un mese prima due sorelle di Brownsville, Libby e Deany Ford, avvistarono «un grande uccello nero» preso uno stagno. La creatura era alta come loro e aveva «muso da pipistrello». In seguito, quando videro su un libro la figura di uno Pteranodon, conclusero che era proprio quello che avevano visto.

La paura del Grande Uccello venne meno all'inizio del 1976, ma la creatura avrebbe fatto un'altra comparsa nella valle del Rio Grande. Il 14 settembre 1982 James Thompson, un meccanico di ambulanze di Harbinger, vide un «grande oggetto simile a un uccello» sorvolare la statale 100 a una distanza di circa cinquecento metri. Erano le 3.55 di mattina.

«Mi aspettavo che atterrasse come un aeromodello», dichiarò Thompson al Valley Morning Star. «Pensavo appunto che fosse un modellino, ma batteva le ali quanto bastava per tenersi al di sopra dell'erba. Aveva una pelle ruvida nera o grigiastra, senza penne, ne sono certo. L'ho guardato mentre volava via». Era, si sarebbe poi reso conto, un «uccello simile a uno pterodattilo».

La Società Internazionale Di Criptozoologia, un'organizzazione scientifica che sottopone a scrutinio le notizie su avvistamenti di animali sconosciuti o che si presumono estinti, osservò che gli incontri con questo grande uccello, questo pterodattilo «avvennero solo a 300 chilometri a est della Sierra Madre orientale del Messico, una delle regioni meno esplorate del Nord America».

 

Fin qui, abbiamo avuto a che fare con le testimonianze di persone qualsiasi, prive di un alto livello di istruzione e delle quali nulla sappiamo, per cui non possiamo fare altro che concedere loro il  credito della buona fede, ma con il beneficio del dubbio.

Ma che cosa potranno dire anche gli spiriti più scettici ed esigenti, se avessimo a disposizione la testimonianza di persone altamente qualificate, ad esempio di zoologi e naturalisti dotati di una impeccabile preparazione scientifica?

Ebbene, una simile testimonianza "qualificata" ce l'abbiamo; anzi, ne abbiamo più di una.

L'insigne naturalista, scrittore e viaggiatore scozzese Ivan Terrance Sanderson, naturalizzato americano (1911-1973) si trovava in una regione poco nota del Camerun - già colonia tedesca, passato all'amministrazione francese come mandato fiduciario -, e precisamente nelle montagne di Assumbo, quando ebbe la ventura di fare una delle esperienze più emozionanti, ma anche più paurose, della sua pur lunga e varia carriera.

Così la riferisce lo studioso italiano Leo Talamonti, divenuto - a partire dagli anni Settanta del secolo scorso - uno dei massimi esperti del paranormale; ma che, in precedenza, si era interessato anche agli enigmi della criptozoologia.

Così, dunque, scriveva Talamonti in un articolo intitolato Questi «mostri» non conformisti, sulla bella (e, purtroppo, scomparsa) rivista Scienza e vita, nel numero di ottobre 1961, pp. 41-43.

 

…Un giorno, verso il tramonto, posero le tende sulle sponde di un fiume limpido e non molto profondo, che scorreva in una gola incassata fra alte pareti di roccia. Erano entrati nel fiume, sperando di catturare qualche esemplare della fauna acquatica locale. Ad un tratto, Sanderson scivola e cade nell'acqua; mentre si sta rialzando, ode un grido d'allarme del compagno e fa appena in tempo a ributtarsi in acqua, che un volatile nero ed enorme piomba su di lui. Mancata la sua preda, l'uccellaccio scompare; Sanderson riguadagna allora la riva e animatamente discute con l'amico sulla natura dello strano volatile, che nessuno di loro ha mai visto prima di ora.

Non s'erano ingannati? L'enorme uccello scuro possedeva davvero una lunga coda da rettile, ali da pipistrello e un lungo becco armato di denti da pescecane? Sì, così era parso, ad entrambi; senonché, volatili del genere non esistono più - secondo la scienza ufficiale - da settanta milioni di anni. In realtà sono ben più antichi, come origine, perché risalgono al periodo Triassico dell'era Secondaria: fu allora che la natura provò a far volare i rettili e creò, in via di esperimento, i primi pterosauri. Fu un tentativo notevole, ma non interamente azzeccato; motivo per cui i rettili volanti dovettero, in seguito, cedere il posto ad altre specie ben più adatte a conquistare l'aria: gli uccelli. Come mai, dunque, un volatole del genere poteva solcare i cieli di oggi?

Stavano ancora discutendo, quando un curioso rumore fece alzare loro la testa. Dall'alto della rupe su cui s'era rifugiato, il sinistro volatile veniva ancora all'assalto. Il rumore era quello delle sue mascelle, che si aprivano e chiudevano come quelle di una bestia spaventosamente affamata. Questa volta fu il compagno di Sanderson, a correre il pericolo maggiore; ma infine se la cavò anche lui a buon mercato, perché quella specie di goffo aliante nerastro non era affatto agile, nei suoi movimenti, ed era quindi facile sottrarsi alle sue "picchiate". Doveva essere davvero il reliquato di ère superate, quello lì! pochi colpi di fucile, infine, bastarono a farlo scomparire per sempre alla vista.

Quando i due europei, in prosieguo di tempo, descrissero agli indigeni del posto lo strano volatile che li aveva assaliti, quelli spalancarono gli occhi ed espressero i segni del terrore più genuino. Osavano appena sussurrare il nome di olitiau, «l'uccello diabolico che scende al calar della notte a cercare la sua preda».

Lo stesso terrore che agli indigeni del Camerun ispira l'olitiau, nella Rhodesia del nord - ad oltre mille km. di distanza - viene manifestato da quelle popolazioni per il kongamato, un volatile descritto con caratteristiche identiche: «un uccello che non è un uccello; ha la pelle scura e liscia, senza piume; una bocca con denti a sega ed una apertura alare di due metri». Ai confini dell'Angola, l'inglese tenente colonnello C. R. S. Pitman ha raccolto testimonianze identiche, delle quali ha narrato diffusamente in un suo libro di memorie apparso nel 1942, in Inghilterra. Un illustre esploratore contemporaneo - Stany - ha cercato a lungo le tracce del kongamato - della cui esistenza era perfettamente convinto - ed ha raccolto in proposito le dichiarazioni e i racconti di indigeni, missionari e funzionari coloniali; ne parla nel quarto volume dei suoi ricordi di viaggio, intitolato Lontano dai sentieri battuti. Pur non avendo mai visto l'olitiau, è convinto, come Sanderson, che debba trattarsi di «qualcosa di molto simile ad uno pterodattilo».

Ed ecco, infine, una testimonianza che può forse considerarsi decisiva, quanto all'identificazione della natura del volatile misterioso. Nel 1922 l'esploratore inglese Frank H. Melland, noto anche come letterato e scrittore, si trovava nel cuore dell'Africa e precisamente nella regione paludosa del Giundu, situata nell'angolo nord-occidentale della Rhodesia, non lontano dalle frontiere con il Congo belga e l'Angola. Alcuni cacciatori indigeni gi parlarono di kongamato, descrivendolo nei termini ormai noti, e non nascosero di averne un'enorme paura. Melland ebbe allora un'idea: prese un libro di storia naturale che aveva con sé, e mostrò ai cacciatori le raffigurazioni dei peterosauri, i rettili alati del Giurassico. Quegli uomini non ebbero alcuna esitazione e indicarono immediatamente lo petrodattilo: era quello, kongamato, il loro nemico più temibile! L'episodio è stato narrato dallo stesso Melland, in un suo libro apparso a Londra nel 1923, con il titolo Nel cuore dell'Africa stregata.

 

Ivan Sanderson, lo ripetiamo, è stato un viaggiatore e uno studioso che godeva di un notevole prestigio per la sua serietà e per la sua preparazione nel campo delle scienze naturali. I suoi libri di viaggi, tra i quali Uomini delle nevi e uomini dei boschi (Parigi, 1961) e Mostri del mare (New York, 1977) sono considerati dei classici della criptozoologia scientifica (il termine criptozoologia, ossia «zoologia degli animali nascosti», è stato coniato da lui). L'avventura sopra riportata è stata da lui narrata in uno dei suoi primi libri, Animal treasure (Viking Press, 1937; e Pyramid Books, 1966).

Quanto a Pitman, Stany e Melland, erano viaggiatori ed esploratori che godevano di un certo credito e non usi, comunque, a spararle grosse.

Ora, il quesito che tali avvistamenti ci sottopongono è il seguente: quando, e a quali condizioni,  si può affermare, con certezza, che una determinata specie vivente, animale o vegetale, è estinta? Il criterio usato dai paleontologi per rispondere a questa domanda è il seguente: a partire dal periodo in cui i resti fossili di quella determinata specie non si trovano più negli strati geologici, essa si deve ritenere estinta.

Strano modo di ragionare, osservava il massimo esperto in materia, lo zoologo belga Bernard Heuvelmans, nel suo libro Sur la piste des bêtes ignorées (Parigi, Plon, 2 voll., 1955).  Infatti, la formazione dei resti fossili di una determinata specie vivente deve considerarsi alla stregua di un evento tutt'altro che "normale"; al contrario, si tratta di un evento casuale e sporadico. Esso non dipende solo dal fatto che quella specie di piante o d'animali sia presente in quella determinata epoca geologica, ma anche da una quantità di altre circostanze, le quali ben di rado si verificano tutte insieme. Di conseguenza, i fossili di una data specie possono anche scomparire dagli strati geologici, senza che ciò attesti automaticamente la sua estinzione.

Un esempio?

Se ne potrebbero fare parecchi; qui ci basta ricordare quello del Celacanto, presunto pesce fossile del Devoniano, ritenuto estinto da 320 milioni di anni e ripescato invece, vivo e vegeto, nelle acque dell'Oceano Indiano, a partire dal 1938. Ne abbiamo già parlato ampiamente in un precedente lavoro, al quale rimandiamo il lettore curioso di approfondire l'argomento (La resurrezione del Celacanto, fossile vivente dei mari, sempre sul sito di Arianna Editrice).

Del resto, tornando ai casi segnalati in questo articolo, è chiaro che essi si riferiscono a specie di volatili diversi. Quello dell'Illinois, che assalì il piccolo Maelon Lowe, doveva essere un vero uccello, dato che i testimoni lo descrivono simile a un condor; mentre quelli degli episodi  che si riferiscono al Texas, come pure le creature africane di cui parlano Sanderson e altri, indicano senza dubbio dei rettili.

E allora?

Alla scienza, alla scienza vera non ottenebrata da dogmi razionalisti, non resta altro che continuare a cercare, sempre, senza stancarsi; seguendo tutti gli indizi e non trascurando quelli che sembrano in contrasto con lo stato attuale delle nostre conoscenze. Le conoscenze, per poter progredire, devono essere continuamente verificate, ampliate e approfondite. Guai se gli scienziati, a un certo punto, decidessero di sedersi a riposare sui risultati raggiunti, ritenendo che ormai non c'è più nulla da scoprire, nulla che possa destare il nostro stupore.

Una scienza che non sa più stupirsi, che non osa battere nuovi sentieri, è un scienza mummificata, che serve solo alla pigra vanità di quanti si sono eretti a suoi custodi ufficiali. E la custodiscono così bene, che rischiano di farla soffocare per mancanza di idee e di coraggio intellettuale.