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L'inarrestabile espansione delle colonie israeliane in West Bank

di Elle Emme - 24/06/2008

 

Intorno a Nablus, l'antica città palestinese nel cuore della West Bank, colonie e avamposti israeliani illegali si moltiplicano come funghi velenosi, assestando un colpo fatale alle fioche speranze di pace: è fin troppo evidente il progetto israeliano di spezzare la continuità territoriale della West Bank. Condoleezza Rice, alla sesta visita in Israele dall'inizio dell'anno, ammette che l'espansione delle colonie rappresenta un “problema,” ma Olmert spergiura che gli insediamenti verranno bloccati: nel frattempo, autorizza la costruzione di migliaia di nuove abitazioni illegali nei Territori. Un viaggio nei villaggi palestinesi attorno a Nablus, soffocati dalle colonie, mette in mostra il cuore del conflitto, legato a doppio filo alla lotta per la terra.

Con i suoi centocinquantamila abitanti, Nablus si adagia elegante in una conca al centro della West Bank: dalla città vecchia, con i suoi vicoli di epoca romana, i palazzi bianchi si arrampicano sul fianco delle colline fino a metà del Monte Gerizim: oltre non si può costruire, pena la demolizione, perché sulle montagne attorno alla città fanno capolino basi militari israeliane e avamposti illegali dei coloni. In questa zona centrale della West Bank si alimenta il cuore pulsante del conflitto tra israeliani e palestinesi: ci si contende ogni singolo ettaro di terreno, anche se alla fine ad averla vinta sono sempre gli occupanti, aiutati dall'esercito. Il popoloso blocco di colonie di Ariel s’incunea in profondità da Ovest verso Est, eruttando in continuazione piccoli avamposti illegali tutt'intorno, soffocando i villaggi palestinesi e la città di Nablus. Il Muro di separazione è in costruzione attorno alle colonie, decine di chilometri all'interno della Linea Verde del '67.

Uscendo da Nablus verso Gerusalemme ci s’imbatte nel check point di Huwwara, dove un'interminabile coda di centinaia e centinaia di palestinesi attendono ogni giorno di uscire dalla città. Tra le batterie di taxi gialli incastrati nella polvere, in fila sotto il sole cocente, si vedono soprattutto donne, bambini ed anziani: l'IDF vieta a tutti gli uomini palestinesi tra i quindici e i trentacinque anni di uscire dalla città, che si è trasformata per loro in una prigione, come per i cugini nella Striscia di Gaza. L'ironia della sorte ha voluto che, per facilitare il passaggio del personale internazionale e dei notabili dell'ANP, l'esercito israeliano costruisse un secondo piccolo check point a duecento metri di distanza, dove il cartello “V.I.P.” in bella mostra ricorda che è off-limits per i comuni palestinesi che abitano lì attorno. Oltrepassato il check point, per visitare i villaggi più vicini bisogna attraversare una zona militare e un poligono di tiro dell'IDF, finché girata la curva non s’intravede la valle del Giordano e la Giordania stessa sullo sfondo.

Il paesaggio in questa zona è collinare, un su e giù di rilievi tra le cui valli si annidano piccoli villaggi palestinesi. Ma l'apparenza bucolica è presto sostituita dalla drammatica realtà dell'Occupazione: tutte le colline, senza eccezione, sono sovrastate da colonie israeliane, grappoli di casette dal tetto rosso, con al centro piccole basi militari, circondati a volte dall'onnipresente Muro elettrificato. Non c'è collina che scampi all'opera di colonizzazione. Alcuni insediamenti risalgono ai primi anni ottanta, ma molti di essi sono in realtà recentissimi. Spesso containers o prefabbricati, a volte nemmeno abitati, ma eretti soltanto per rivendicare la proprietà della terra, di derivazione biblica. In tutti gli avamposti sono evidenti i lavori di espansione, la costruzione di nuove case non si è mai arrestata, anzi ha subito un'improvvisa accelerazione proprio in seguito alla conferenza di pace di Annapolis. Lungo le strade per soli ebrei attorno ad Ariel, si vedono passare tir carichi di prefabbricati, pronti per fondare un nuovo avamposto. Di collina in collina, le piccole colonie s’ingrandiscono e si uniscono una con l'altra, fino a unire senza soluzione di continuità il popoloso blocco di Ariel con la valle del Giordano, tagliando in due il nord della West Bank e isolando Nablus da Ramallah.

Proprio sulla dorsale di questa linea strategica si trova il villaggio di Yanoun: ottanta abitanti e venti case in tutto. Il sindaco racconta che i suoi concittadini sono terrorizzati dai coloni israeliani. Lì vicino si trova infatti l'insediamento illegale di Itamar, costruito dai più estremisti tra i coloni israeliani, che non riconoscono nemmeno l'esistenza dello stato ebraico e si scontrano spesso persino con la Border Police israeliana. Poche centinaia di metri sopra il villaggio svettano i tetti rossi della colonia: il villaggio è circondato da avamposti su tutti i lati. Qualche anno fa, un contadino fu ucciso da un colono mentre si arrampicava sul fianco della montagna. Da quel giorno, l'IDF ha dichiarato il fianco della montagna zona militare e vietato l'accesso ai palestinesi: ufficialmente per proteggerli dai coloni. Di anno in anno, gran parte delle terre coltivate del villaggio sono state dichiarate off-limits per i palestinesi, per motivi di sicurezza, e in seguito i coloni se ne sono appropriati.

Gli avamposti ebraici sulla cima delle colline non sono protetti dal Muro: i coloni qui si difendono da soli, armati fino ai denti con fucili e armi automatiche. Poiché l'IDF vieta categoricamente ai palestinesi di costruire nuove case o riparare case già esistenti (una ONG italiana ha costruito le pareti della piccola scuola di Yanoun, ma l'IDF ha vietato loro di costruire il tetto, che è rimasto di lamiera, sempre per motivi di sicurezza), tutti i giovani del villaggio se ne vanno verso i villaggi vicini o a Nablus. In pochi anni il villaggio si spopolerà, lasciando tutti i terreni della valle nelle mani dei coloni.

Il villaggio ospita quattro internazionali: uno svedese, due ragazze svedesi e un sudafricano. Sono volontari e fanno gli osservatori: il loro mestiere è prendere nota degli abusi di cui sono testimoni e farne denuncia alla polizia israeliana. La loro presenza in realtà scoraggia i coloni dall'intraprendere le azioni più efferate, ma non sempre è sufficiente. Spesso, durante la notte bande di adolescenti scendono dalle colonie e corrono per le strade del villaggio tirando pietre alle finestre. Non passa “sabba” senza assistere ad una provocazione dei coloni.

La settimana scorsa, una decina di ragazzi, dai cinque ai sedici anni, armati di M16 tenuti a tracolla con noncuranza, sono scesi a fare una passeggiata avanti e indietro per le strade del minuscolo villaggio per alcune ore, terrorizzandone gli abitanti. Dopo aver chiesto al sindaco di bere l'acqua del pozzo del villaggio, hanno fatto abbeverare i loro cani nell'acqua potabile, per provocare una reazione e avere un pretesto per un attacco. Solo con la mediazione degli internazionali, i giovani coloni hanno risalito la collina con i loro mitragliatori.

Ogni anno, quando si avvicina la stagione della raccolta delle olive e delle mandorle, unica fonte di sostentamento per i pochi abitanti di Yanoun, i coloni bruciano sistematicamente gli alberi e picchiano i contadini che raccolgono le olive. Da quando gli internazionali vivono nel villaggio questi episodi si verificano più di rado, perché gli osservatori fanno intervenire la polizia israeliana a protezione dei contadini palestinesi, tenendo lontani i coloni. Per ironia della sorte, il villaggio si trova nella zona B, che secondo gli accordi di Oslo è sotto il controllo militare israeliano, quindi l'ordine pubblico è mantenuto dalla polizia con la stella di David. I palestinesi dunque devono chiedere aiuto all'occupante, per sfuggire alla violenza dei coloni.

Per denunciare queste violenze quotidiane, l'associazione israeliana B'tselem ha recentemente fornito un centinaio di videocamere a contadini palestinesi. Pochi giorni fa, in prima serata sui telegiornali israeliani si sono viste le immagini impressionanti di un pestaggio in perfetto stile Arancia meccanica: quattro giovani coloni in passamontagna aggrediscono selvaggiamente a colpi di spranga una coppia di anziani contadini palestinesi in un agguato premeditato: la scena è stata filmata interamente dalla figlia della coppia, che ha subito sporto denuncia alla polizia.

Uno degli osservatori internazionali del villaggio di Yanoun racconta il suo singolare punto di vista sulla “situazione.” Sudafricano, ha partecipato alla lotta di liberazione del popolo dalla schiavitù nei primi anni Novanta. L'Occupazione israeliana gli ricorda per molti aspetti l'apartheid sudafricana. Secondo lui, l'unica speranza per i palestinesi è però il contrario di quanto si potrebbe pensare. I palestinesi non potranno farcela finché resteranno separati in diverse fazioni, contrapposte da un odio fratricida. In Sudafrica, il primo passo decisivo verso la vittoria è stato l'accantonamento delle proprie ideologie per concentrare la resistenza contro il comune nemico dell'apartheid. La causa della frammentazione del popolo palestinese?

L'eccessivo coinvolgimento della comunità internazionale, Europa e Stati Uniti da una parte, paesi arabi e Iran dall'altra, che hanno sfilacciato il tessuto sociale palestinese, una volta compatto contro l'Occupazione ai tempi della prima Intifada ma ora non più. Solo una ritirata strategica dell'occidente riuscirà a cambiare qualcosa, lasciando nelle mani dei palestinesi il loro futuro. In Sudafrica, la lunga lotta di liberazione ha infine trionfato su un nemico che sembrava invincibile. La stessa vittoria si ripeterà anche in Palestina, secondo il nostro amico osservatore.