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Il petrolio danna Maputo

di Marinella Correggia - 27/06/2008


 

La necessità di importare combustibili fossili sempre più costosi è un peso schiacciante sulle economie dei paesi impoveriti. E non bastano ad alleviarlo sporadici gesti di solidarietà da parte di un paese produttore di petrolio come il Venezuela, che offre l'oro nero a prezzi di favore a paesi amici a basso reddito.
Allora si potrebbe pensare che la scoperta di giacimenti sia una fortuna per un paese in difficoltà. Eppure, secondo uno studio condotto dal mozambico, non è così, almeno non subito.
In Mozambico una compagnia brasiliana sta rispolverando le miniere di carbone di Moatize, nella provincia di Tete: dopo i decenni di guerra, entro il 2010 la miniera riprenderà a funzionare. Il governo si propone di utilizzarne i proventi per sradicare la miseria: i quattro quinti della popolazione (20 milioni di mozambicani) vivono con meno di 2 dollari al giorno secondo le Nazioni Unite. Oltre a ciò, cinque anni fa la compagnia sudafricana Sasol ha iniziato le prospezioni nei giacimenti di gas naturale nella provincia di Inhambane; irlandesi e sudafricani scavano titanio nella provincia di Gaza (200 km a nord di Maputo); e una schiera di americani, brasiliani, canadesi, norvegesi, italiani e malesi stanno esplorando le riserve petrolifere. Se troveranno il petrolio, il profilo economico del Mozambico è destinato a cambiare drasticamente. Secondo il Ministero della Pianificazione e dello sviluppo, anche piccole riserve potranno far crescere le esportazioni del paese da 6,5 miliardi di dollari a 10 miliardi, da qui al 2020; e qualora se ne trovasse di più, il valore totale dell'export potrebbe arrivare a 60 miliardi di dollari.
Eppure, come riferiva Irin News, l'agenzia dell'ufficio Onu per gli affari umanitari, la prospettiva suscita più costernazione che euforia... Possibile? Sì, se si guarda a casi africani come Angola, Nigeria, Guinea Equatoriale e Sudan: grandi riserve e nessun miglioramento delle condizioni di vita dei più. I timori si riflettono in uno studio commissionato dallo stesso Ministero mozambicano della Pianificazione e sviluppo («Esplorare le risorse naturali del Mozambico: benedizione o maledizione?»). Analizzando i dati di altri paesi africani ben dotati dal punto di vista fossile e minerale, lo studio ha osservato che, in media, il rapporto fra ricchezza minerale nazionale e prodotto nazionale lordo è negativo. Peggio: è ugualmente negativa la correlazione fra ricchezza petrolifera e l'indice di sviluppo umano elaborato dall'Onu.
E' il ben noto «anatema delle risorse naturali»: tra gli effetti negativi delle ricchezze del sottosuolo sul benessere dei più bisogna includere, oltre alle conseguenze ambientali, anche aspettative miopi e irrazionali da parte dei governi interessati, con un'accumulazione di debiti. Lo studio nota che in certi paesi perfino le spese per l'istruzione diminuiscono e la corruzione arriva a mangiarsi gran parte degli incassi a titolo di royalties. I grandi progetti minerari in corso nello stesso Mozambico sono lì a dimostrarlo.
Ma allora, come evitare l'anatema? Gli autori dello studio raccomandano un approccio cauto allo sviluppo di nuove riserve. Insomma, non avviare estrazioni finché non c'è un piano preciso di controllo delle spese, finché non è incoraggiata la diversificazione economica, e non si mette in piedi un sistema per il contenimento della corruzione. In Mozambico, concludono, occorre più pianificazione e più dibattito. Del resto, dicono, il petrolio avrà sempre (più) valore; e non scappa da nessuna parte.