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"Quaderni Rossi" e "Classe Operaia", due riviste dei primi anni '60

di Romolo Gobbi - 01/07/2008



Rispondo in ritardo a chi mi aveva chiesto di raccontare la storia dei Quaderni Rossi e di Classe Operaia. Su questo argomento ho pubblicato nell'89 "Com'eri bella Classe Operaia", liquidando quest'esperienza. Ora riassumo le mie posizioni citando da una "Intervista a Romolo Gobbi - 14 dicembre 2000".
"... Da buon storico materialista, inizio dicendo che l'individuo è collocato nella società in cui vive. Mentre l'esperienza operista è precedente, praticamente finisce con Gramsci, quindi negli anni '20, la rabocaia opposizia (opposizione operaia) venne sciolta da Lenin; la Kollontai divenne ambasciatrice in Finlandia, credo, quindi l'esperienza operaista con questi personaggi si chiuse.
Perché negli anni '60 a Torino c'è un revival operistico? La domanda è questa. Intanto c'è una continuità teorica, nel senso che soggetti determinati (poi dirò dei nomi) portano e conservano la memoria, la teoria e i valori dell'operaismo, e non sono dentro il Partito Comunista, anche se si sa che lì vinse l'ala degli ordinovisti, cioè quelli che Lenin accusava di essere operaisti, di essere anarcosindacalisti; ad esempio, quando si rivolse a Terracini dicendo che a Torino c'è stato qualcosa di anarcosindacalista, ma niente di marxista. Chi conserva parte di questi valori? E' una parte del Partito d'Azione, la sua sinistra che si chiama Vittorio Foa, che durante il Fascismo pubblica un quaderno di Giustizia e Libertà sull'Ordine Nuovo e sui consigli, e poi divenne socialista e vicesegretario della CGIL. Vi è anche un altro soggetto di origine azionista, Trentin, figlio del Trentin azionista, e divenne vicesegretario della CGIL. Quindi, furono i due vicesegretari della CGIL che nel 1960 o '61 si rivolsero a Raniero Panieri, che rappresenta l'altro filone socialista; Panzieri e i Libertini i quali avevano teorizzato le tesi sul controllo operaio. C'è poi questo riferimento internazionale che è stato rappresentato dalla Jugoslavia e basta. Quindi, è un filo flebile, non ci sono altri, sono quelli; e sono soprattutto quei due vicesegretari che puntano a realizzare in Italia una qualche forma di controllo operaio. L'operaismo ha vinto perché è riuscito a far fare al sindacato i consigli di fabbrica, anche se poi sono stati svuotati. Allora, come potevano due vicesegretari della CGIL ottenere questo risultato, se non facendo marciare l'esperienza con gambe più giovani, e comunque rendendo la cosa più evidente, dal momento che non potevano loro (in nome di chi?) far passare questa cosa. C'è stata dunque questa liaison Panieri-Foa-Trentin e l'idea di fare i Quaderni Rossi, questa è la base soggettiva portante di questi valori.
D'altra parte, la società italiana di quegli anni stava vivendo il boom economico, cioè una fase di reindustrializzazione. Gli anni del boom economico produssero una crescita vertiginosa, il miracolo italiano di industrializzazione. La FIAT fece Rivalta, si estese a Carmagnola, costruì stabilimenti da tutte le parti, nacque il polo elettromeccanico. Ci fu questa situazione di banale consumismo che il capitalismo mondiale aveva già superato: in Italia i frigoriferi, le automobili, il consumo di massa di questi beni durevoli arriva in quegli anni lì. Allora, cosa succede secondo me? Che ricreandosi le condizioni dell'industrializzazione dei primi anni del secolo, è stato possibile che individui che avevano nella loro memoria questi valori cogliessero questa occasione per proclamare una qualche preminenza della Classe Operaia, perché la classe operaia in quegli anni era in espansione ed era protagonista. Congiunti questi fattori con la società, veniamo fuori anche noi, prodotti di questa stessa società, cioè coinvolti in questo fenomeno vistoso di crescita operaia. Quindi, scatta tutta una sequela di entusiasmi, la crescita entusiasmante della classe operaia ci porta ad essere solidali con essa, ad auspicare una trasformazione delle società in maniera radicale, in cui la classe operaia sia protagonista.
Adesso arriviamo a noi, poveri tapini che veniamo soggiogati dal fenomeno sociale e veniamo indottrinati e strumentalizzati da chi invece aveva delle idee più chiare, anche se penso che nemmeno loro sapessero bene dove sarebbero andati a finire, ma avevano questi valori in tasca. Noi come veniamo fuori? Siamo il prodotto di una società chiusa, che è Torino, tipico esempio: se uno volesse in tutto il mondo indicare una società chiusa, Torino è la più rappresentativa. Quindi, apparteniamo ad una classe media, piccolo borghese, caratterizzata da questa chiusura mentale. Ci sono invece degli individui che per ragioni genetiche o culturali si vogliono ribellare, si dice che Torino è la culla ed il covo di sperimentazione, in realtà, secondo me, è la reazione alla sua chiusura: è talmente chiusa che ad un cero punto deve esplodere. Allora vengono fuori le punte critiche e le punte polemiche nei confronti della società, che magari in una società più permissiva non verrebbero fuori. Di fatto, veniamo tutti da esperienze religiose, frustranti, alla ricerca di una realizzazione pratica. Io credo di essere stato l'unico cattolico in crisi; degi altri, Rieser era ebreo valdese. Infatti, c'è questa componente valdese, lo sono Mottura, Manu Bonnet, Paola Vinai, mentre Edda Saccomani era figlia del pastore battista. Quindi in crisi, non dico mistica, ma senz'altro religiosa, e dunque giustamente c'è il collegamento con minoranze religiose: da questo impasto viene fuori la psicologia di queste persone. E' una cosa così banale che qualsiasi psicologo avrebbe potuto fare, non è un risultato eccezionale, non eravamo degli individui eccezionali. A riprova di questo, si sa che nell'area dei Quaderni Rossi gravitano personaggi quali Gianni Vattimo, Guglielminetti, lo stesso Coppellotti, quelli del gruppo Mounier, cattolici operaisti per conto loro. Anche Greppi viene fuori dall'esperienza valdese, e poi c'è anche Miegge che diventa pastore a Roma, un altro valdese. Io con questo ho spiegato tutto: una religiosità vissuta in maniera di crisi, quindi un voler superare la propria religiosità con qualcosa di più soddisfacente e tangibile, ed eccoci approdare alla religione operaista: chiaramente per noi questo aveva valore di sostituzione, e si guardava alla classe. In "Come eri bella Classe Operaia" racconto di questa matrice religiosa, adesso sono stato più esplicito, forse allora avevo meno chiaro questo quadro complessivo, ma direi che l'operaismo a Torino rinasce da questa convergenza di spinte sociali, esperienze religiose individuali in crisi e personalità comunque illustri che invece ci utilizzano.
Nel '61 io faccio il discorso alla conferenza dei comunisti delle grandi fabbriche davanti a Togliatti e a tutti gli altri, Amendola, Ingrao: "parla lo studente Gobbi di Torino", era impensabile. Lo studente Gobbi di Torino, iscritto da due mesi al Partito Comunista, alla conferenza dei comunisti delle grandi fabbriche non può parlare, non è nemmeno concepibile: però se dietro ha due vicesegretari della CGIL che gli scrivono il discorso, allora questo può anche parlare. Si fa un piccolo conciliabolo, "vai tu, no io no": Soave si è subito ritirato, lui è una chiocciola, si ritira dentro la sua libreria o a casa sua; Romano, naturalmente no; Pierluigi, no; quindi faccio io il discorso e mi piglio le ire di Togliatti, mi processano nel partito e mi sbattono fuori dopo pochi mesi. E naturalmente io faccio il discorso, che non è più rintracciabile, ma io ce l'ho a casa in copia; quella praticamente è un'anticipazione dei consigli operai, si dice: "il partito in fabbrica non conta più, il sindacato nelle sue strutture attuali non ha una presa un contatto diretto con la classe, e la classe è disponibile, bisogna creare degli organismi". E si parla proprio di assemblee e di delegati di reparto; cioè questi ce lo avevano in testa, lo fanno dire a me. Togliatti naturalmente se la prende con me perché suocera intenda. [...]
Comunque, la strumentalizzazione era fatta da altri, e cioè dai Foa e dai Trentin, poi questi naturalmente fanno valere la loro posizione sulla Camera del Lavoro di Torino, e quindi vengono fuori i Garavini, i Pugno, gli Alasia; tutti questi personaggi che collaborano ai "Quaderni Rossi", ma è già più ovvio perché c'è una autorità gerarchica che li fa marciare. Poi c'è il caso FIAT, che improvvisamente esplode, e questo dà forza al discorso, perché la cosa non vene prevista dal partito, questo, anzi è sempre lì che si lecca le ferite perché è stato fatto fuori dalla FIAT, e noi diventiamo sindacalisti. Partecipiamo ai direttivi sindacali, alle commissioni interne FIAT con diritto di parola, ci affidano la campagna elettorale del '61 alla Mirafiori e in qualche altra sessione, come le Ferriere. Ci dividiamo il lavoro: io e Gasparotto ci occupiamo delle Ferriere, siamo in organico del sindacato e siamo responsabili sindacali della CGIL alle Ferriere [...]
Nell'estate del '61, quando scoppiano degli scioperi spontanei alla manutenzione delle Ferriere, facciamo dei volantini, firmati "un gruppo di operai delle Ferriere" e ciclostilati alla Camera del Lavoro di Torino. [...] Ma questa firma, automaticamente ci delegittima, perché dovresti firmarli "Commissione Interna". Addirittura, in questi volantini si mette in luce che "siamo riusciti a scioperare perché le commissioni interne erano in ferie, cioè abbiamo superato le divisioni e le pastoie burocratiche". L'auto-organizzazione e l'autonomia operaia sono le cose che fanno incazzare i sindacalisti e avevano fatto incazzare Togliatti pochi mesi prima, quando ero andato a dirglielo in faccia: "la classe sa organizzarsi senza bisogno del partito e senza bisogno del sindacato". Al ritorno dalle ferie, facciamo un altro volantino, nel quale comunichiamo agli altri operai della FIAT che c'è stato uno sciopero, di poche ore e di pochi operai, ma che comunque è possibile far uno sciopero auto-organizzato dagli operai. [...] Lanzardo è d'accordo e ce lo ciclostila pressa lo SFI, il Sindacato Ferrovieri, al quale lui apparteneva, ma nei "Quaderni Rossi" c'è discussione: su questa cosa c'è rottura. Infatti, ci sbattono tutti fuori dal sindacato, anche quelli che non erano d'accordo sul secondo volantino. [...] Quindi, mentre al primo numero dei "Quaderni Rossi" partecipa la Camera del Lavoro di Torino, al secondo numero non ci sono già più Trentin e Foa. [...]
Noi invece cavalchiamo questa deriva gruppuscolare, estremista, e con Faina a Genova e Toni negri a Padova facciamo questo primo numero di "Classe Operaia". [...]
Invece, Panzieri e quelli dei "Quaderni Rossi" che si occupavano di sociologia continuano la loro ricerca: infatti l'Italia scopre la sociologia, la cultura italiana, perennemente in ritardo, scopre la sociologia. E' naturalmente compito ancora più arduo fare accettare al partito ed alle organizzazioni sindacali la sociologia come strumento di conoscenza della classe. "E' pazzesco che la scienza borghese pensi di essere superiore alle capacità euristiche del partito, dei propri militanti, dell'intellettuale collettivo". Invece noi continuiamo una scelta di tipo estremistico, prima con il "Potere operaio" di Emilio Soave, poi con "il Gatto Selvaggio" di Romolo Gobbi, e "Classe Operaia" di Genova, di Faina, che poi finì nelle Brigate Rosse. Tutte queste esperienze vengono fatte confluire nella rivista di Tronti, "Classe Operaia", che però ci obbliga ad un percorso assurdo, perché si spacciava per un'esperienza militante, uno strumento improponibile, impraticabile alla comunicazione con gli operai, testi illeggibili e discorso intellettualistico (i "Quaderni Rossi" erano già un bell'esempio in questo senso).
Non capisco perché voi vi interessiate tanto di questa cosa, è una assurdità, è un parto ritardato di trenta o quarant'anni, un aborto che però ha prodotto la deformazione di questo sindacato italiano, che è una delle forze dominanti di questa società. Il sindacato conta molto in Italia, e conta di più perché questa nostra esperienza è andata in porto: il salario come variabile indipendente, i delegati, hanno avuto un impatto pazzesco sulla società italiana. E questo è successo anche perché esisteva una classe imprenditoriale incompetente, il cui principale rappresentante era il torinese Agnelli, che divenne anche presidente della Confindustria. La classe imprenditoriale che dice: "facciamo l'accordo e appoggiamo le sinistre perché queste possono fare quello che le destre non possono". E' una frase testuale, Agnelli l'ha detta proprio a proposito del governo di centro-sinistra, ma lui lo pensava fin dal '75 quando firmava l'accordo con i sindacati. Se le cose vanno così, cosa succede? Durano un po' di tempo, passato il quale i tuoi si ribellano e si verifica la rivolta dei 40.000; mentre gli altri alle prime elezioni, dopo che si sono comportati come le destre, perdono il governo. [...]
In realtà, l'Italia vive una controtendenza, dovuta alla sua arretratezza, per cui in quegli anni si espande ancora la classe operaia, mentre negli altri paesi si sta già riducendo. Quindi, il sogno operista era tanto più un sogno perché provinciale, italico, abbastanza nordico. [...]
Ad un certo punto io mi rendo conto di questo, che cioè a livello mondiale si muovono ormai forze che sovrastano questa micro-dimensione; si tratta di un quarto dell'umanità che probabilmente diventerà anche in un breve periodo ancora più ridotto. [...]
A differenza degli altri, io ho la percezione del boom demografico che stiamo vivendo, la popolazione sta crescendo in maniera pazzesca, a livelli esponenziali, ed è inutile discutere dei 4.000 o dei 40.000 operai quando ci sono seicentomilioni di islamici che invaderanno l'Europa nei prossimi vent'anni. La Fondazione Agnelli ha fatto i suoi studi ormai da alcuni anni, prevedendo che nel 2020 la popolazione dell'area Sud del Mediterraneo raddoppierà: adesso sono 580milioni, se ne aggiungeranno altrettanti. Allora, se uno pensa che raddoppiando la popolazione raddoppierà l'immigrazione, si sbaglia, perché se la popolazione attuale produce l'odierna ondata migratoria, tutta la popolazione che si aggiungerà sarà una potenziale massa migrante verso l'Europa. [...]
Il movimento operaio non ha mai fatto i conti con questi dati sull'immigrazione; se arriveranno 600milioni di persone dal Sud del Mediterraneo, poiché la popolazione europea non arriva a seicentomilioni, si avrà un'islamizzazione dell'Europa, oppure si avrà un conflitto, ma i conflitti non hanno mai impedito le immigrazioni di massa. Anche da un punto di vista puramente oggettivo, se uno deve difendere il più debole, ci si deve rendere conto che un operaio è straricco rispetto ad un povero marocchino cha raccatta quattro soldi pulendo i vetri delle macchine. Lui è un vero proletario, mentre gli operai hanno già da difendere i loro privilegi. Infatti, la classe operaia è fondamentalmente razzista, sono loro i primi razzisti, anche giustamente, perché gli immigrati mettono in discussione i loro livelli di vita, la sicurezza del posto di lavoro e i loro livelli di consumo. Ma io non voglio condannare l'egoismo degli operai, la cosa travalica le valutazioni morali, la cosa ci sovrasta, è apocalittica. Inesorabilmente ed ineludibilmente arriveranno, si vede cosa fanno, si fanno stivare dentro i container e poi muoiono disidratati, annegano con barconi fatiscenti, passano sotto i muri, come quello che gli Stai Uniti hanno costruito per migliaia di chilometri lungo la frontiera messicana per impedire il passaggio dei latinos, ma loro entrano, passano sotto o lo scavalcano. La condizione dell'altra parte dell'umanità è talmente disperante che non c'è più niente da fare. E il Movimento Operaio non ha niente da dire. Da un lato c'è il buonismo di quelli che dicono "Lasciamoli venire", e nella misura in cui lo dicono, gli operai diventano sempre più anti-movimento operaio e sempre più razzisti. E anche quando sono qua, il movimento operaio non riesce a prendere una posizione coerente, non riescono a decidere tra l'integrazione o la difesa della loro identità; non riescono a decidere e quindi vengono sbattuti fuori dal governo. Sono impossibilitati dal loro retroterra culturale a decidere, posto che questa cosa sia decidibile. In realtà, davanti a seicentomilioni, tu non decidi niente, non puoi fare altro che preparare sei letti a casa tua e aspettare che vengano: la cosa non è altrimenti razionalizzabile, a meno di mobilitare armi di sterminio di massa, ma seicentomilioni non li ammazzi; la seconda guerra mondiale ha ammazzato sessanta milioni di persone, la decima parte, 600 milioni di morti, questo sì sarebbe un "vero" olocausto. [...]